Sul progetto di costruzione di un inceneritore a Roma e le numerose dichiarazioni di questi ultimi giorni in merito, il WWF Roma e Area Metropolitana prova a fornire un contributo ai fini di una maggiore chiarezza. In particolare, su quella che lo stesso WWF definisce “la giostra del termovalorizzatore”, l’associazione condivide una riflessione a partire da cosa deve fare concretamente la Capitale per lasciarsi alle spalle l’emergenza rifiuti.
Intanto ricorda il D.Lgs. 152/2006 Articolo179 (Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti) comma 1:
La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento.
L’Art. 205 comma 1 del D.lgs. 152/2006 indica poi l’obbligo di raggiungimento di almeno il 65% entro il 31 dicembre 2012 di raccolta differenziata dei rifiuti urbani prodotti, mentre Roma Capitale ha raggiunto il 43,75 % nel 2020 (Dati fonte ISPRA). Bisogna quindi aumentare la raccolta differenziata sottraendo materiali riciclabili.
Il D.lgs. 116/2020 prevede inoltre obiettivi di riciclo ben precisi da raggiungere per gli imballaggi. Bisogna quindi lavorare anche sulla qualità del rifiuto differenziato raccolto: fare campagne di comunicazioni rivolte ai cittadini, passare a modalità di raccolta più efficienti (raccolta differenziata domiciliare) e prevedere controlli e sanzioni per chi non rispetta il regolamento comunale. Ricordiamo che più il materiale raccolto è di qualità (cioè non presenta materiali estranei a quel tipo di raccolta) e più è alto il corrispettivo che il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) riconosce al Comune e che può essere utilizzato per ridurre la TARI.
“Già a partire dalle prime evidenze che emergono dalle norme di settore vigenti – dichiara Raniero Maggini Presidente del WWF Roma e Area Metropolitana – ci si domanda se nella Capitale s’intenda veramente lavorare per una gestione efficace e sostenibile dei rifiuti o limitarsi a guardare al passato, anziché misurarsi con le sfide attuali e che veramente consentirebbero di proiettare Roma nel futuro. Una città nella quale sia garantito il benessere dei suoi abitanti, dove non si parli di solo decoro ma di buon governo della Città Eterna.”
Il quantitativo di rifiuti biodegradabili di cucine e mense intercettato nel territorio di Roma Capitale nel 2020 è la metà di quello che si poteva intercettare 40,79 kg/ab.*anno pro capite (2.783.809 abitanti, 113.557.850 kg rifiuti biodegradabili di cucine e mense prodotto) in quanto la quantità di rifiuto effettivamente compostabile è stabilita secondo la nota dell’ex MATTM per le utenze domestiche pari a 80 kg/ab *anno per ciascun componente del nucleo familiare. Quanto non intercettato e raccolto in maniera differenziata è stato quindi conferito nell’indifferenziato.
Il rifiuto indifferenziato non può andare tal quale in discarica né al termovalorizzatore ma va agli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB). Secondo il Piano dei Rifiuti della Regione Lazio approvato ad agosto del 2020 quello che esce da un TMB (resa media dei TMB della Regione Lazio) è circa:
· 25% di FOS (Frazione Organica Stabilizzata utilizzata per copertura discariche o recupero paesistico);
· 1% di Materie Prime Seconde (sostanzialmente metalli);
· 13% Perdite di processo (acqua);
· 28% Rifiuti a discarica (CER 19.12.12);
· 32% Rifiuti a recupero energetico (CER 19.12.10).
Quindi solo il 32 % dell’indifferenziato che entra in un TMB può andare al termovalorizzatore e comunque sia il 28 % di quello che entra avrà bisogno di essere inviato in discarica. Bisognerebbe realizzare quindi nuovi TMB all’interno del territorio comunale per non dover inviare il rifiuto indifferenziato in altre province.
Quanto può entrare nel termovalorizzatore viene definito Combustibile Solido Secondario (CSS) e deve avere specifiche caratteristiche (es. potere calorifico, contenuto cloro e mercurio) definite da norme tecniche UNI dichiarate da laboratori accreditati tramite i risultati di specifiche analisi (dichiarazione di conformità). Per avviare il rifiuto al termovalorizzatore il Comune paga un costo di trattamento del rifiuto indifferenziato per separare quella parte che potrà essere conferita a quel tipo d’impianto, non ha quindi un vantaggio economico.
Nel Piano dei Rifiuti della Regione Lazio approvato ad agosto del 2020 come termovalorizzatore per il fabbisogno regionale è stato previsto solo l’impianto già esistente di ACEA di San Vittore nel Lazio (FR) avente capacità complessiva autorizzata 397.200 t/anno che nel 2020 non ha lavorato a pieno regime. Un termovalorizzatore sovradimensionato rispetto alle esigenze reali o che si dovrebbero avere una volta raggiunto l’obbiettivo di legge di raccolta differenziata porterebbe (come successo in Germania e ora a Copenaghen) a dover importare rifiuti da fuori il proprio territorio di competenza e a bloccare l’aumento della raccolta differenziata per poter rendere economicamente vantaggioso il suo utilizzo.
Il termovalorizzatore bruciando il rifiuto crea calore che viene utilizzato per produrre energia elettrica (ed eventualmente calore per il teleriscaldamento), ma dalla combustione si producono ceneri pesanti e dalla depurazione del gas emesso si producono ceneri leggere che contengono sostanze inquinanti. Il termovalorizzatore quindi genera rifiuti pericolosi che vanno inviati a recupero/smaltimento in appositi impianti.
“La favola della tecnologia salvifica – conclude Maggini– che risolve tutto senza mettere in campo competenze e una sana programmazione è già da tempo stata svelata. L’ultima volta che nella Capitale se ne parlò con insistenza, ci ritrovammo a fare i conti con l’inchiesta ‘Mafia capitale’, ma parliamo di altri tempi. La domanda è: quali tempi stiamo vivendo oggi?”