La mia alimentazione, la mia attività di consumatore responsabile e, la mia sensibilità accrebbero con l’usufruire del servizio. Il cibo, per me, iniziò sempre più ad essere impregnato da valori etici di cura, quali: la sostenibilità, il rispetto per l’ambiente, la condivisione e lo scambio. Più volte, mi ritrovai a donare o a scambiare del cibo recuperato con qualche gentile signora e con altri ragazzi, che conobbi proprio grazie all’attività di Re-Popp, perché qualcuno preferiva un alimento invece di un altro o semplicemente per un desiderio di uno fra noi. Il cibo in questo modo acquistò una grande forza trasformatrice, sia dei miei valori etici, sia delle mie relazioni sociali, grazie ad un‘interdipendenza di attività apparentemente distanti tra loro, ma, allo stesso tempo, fortemente interconnesse.
Notai, l’accrescere della mia attenzione nei riguardi della raccolta differenziata, non solo all’interno del mio appartamento, ma anche in altri contesti, magari a casa di amici, prendendo così a volte il ruolo del moralista di turno, sfondando la mia tipica timidezza senza più timore.
Infine, anche al supermercato, vidi un cambio radicale nella mia spesa, riuscivo a concedermi qualche capriccio di gola in più e, parallelamente, prestavo più attenzione all’origine e la produzione degli alimenti che acquistavo. I supermercati che iniziai a preferire, erano quelli che offrivano appositi spazi per i prodotti in scadenza, messi al 50%, o che fornivano il pane del giorno prima ad un prezzo stracciato, circa 10 centesimi.
L’interconnessione di pratiche che l’attività era in grado di fornire, fu fin da subito palese, modificando il modo in cui reperivo il cibo, la sua quantità, le mie preferenze, la mia cucina ed il mio modo di mangiare.
Frutta e verdura, cominciarono a prendere spazio in casa, tanto che, a volte, le dispense ed il frigo non bastavano per contenerle. Il “portavoce” ancor oggi rimane sicuramente la banana, con le sue mille variabili. Alcuni dei metodi, che appresi attraverso la mia esperienza per utilizzarla, sono:
– il banana bread, un semplice dolce fatto con banane mature ridotte a polpa, a cui si aggiunge un limone spremuto e del bicarbonato oppure lievito, un pizzico di sale, un pezzo di burro o mezzo bicchiere di olio di semi, farina in quantità da rassodare ma in modo da mantenere il composto abbastanza liquido e uova (evitabili). Tutti questi ingredienti vengono incorporati assieme e riposti in un tegame da forno, successivamente infornato per 45minuti circa.
– La crema di banana inventata da noi. Si parte frullando a piacere delle banane, alla polpa si aggiunge del latte ed un po’ di limone. Successivamente il composto deve essere portato ad ebollizione a fiamma dolce per qualche minuto, per poi venire spento e lasciato raffreddare. Su una terrina, nel frattempo, bisogna montare energicamente delle uova (circa 3 ogni 350g di banane) a cui si aggiunge zucchero e maizena, che successivamente si dovranno integrare al composto di banane, precedentemente lasciato a riposo. Il tutto a questo punto deve essere rimesso su di un pentolino con il fuoco acceso per altri 2/3 minuti, fatto raffreddare e servito in un bicchiere con dei biscotti spezzettati (io preferisco quelli al cioccolato o integrali).
– Il gelato alla banana (anche con le pere), infine, forse risulta la ricetta meno impegnativa per utilizzare diversamente, il suddetto frutto. Il procedimento è molto breve e consiste nel tagliare le banane e riporle in freezer per qualche ora, così da lasciarle congelare, fatto ciò estrarle del frigo e frullarle con un frullatore ad immersione, ancora meglio un bimby se lo si ha in casa, per aver un risultato ottimale.
La banana, come si può intuire, fu solo il primo alimento a dare il via alla nostra fantasia culinaria. La nostra tavola ed i nostri pasti vennero considerevolmente arricchiti da pietanze diverse ed alcune abitudini drasticamente stravolte.
La mia colazione, da sempre pane o biscottate e confettura-marmellata, non ha subito grandi variazioni se non per il fatto che la confettura- marmellata del supermercato è stata sostituita dalla composta fatta con il quasi 100% di frutta da me ed i miei coinquilini. Il procedimento è talmente semplice da sembrare banale, basta infatti tagliare e spelare o meno la frutta (per la confettura di mandarini, io, consiglio di mantenere la buccia, che mangiata cotta richiama la consistenza dei canditi), riporla in una pentola larga e molto capiente, aggiungere zucchero (io personalmente metto due cucchiai per kg di frutta), una mela a pezzetti e delle spezie: cannella, curcuma, zenzero a piacimento. Lasciar cuocere per almeno 2 ore, fino a quando la composta non si sarà addensata. Prova del piatto: mettere la composta cotta in un piatto, aspettare che si raffreddi e poi inclinare il piatto, se essa non scivola velocemente, ma rimane per lo più nel posto dove è stata riposta, allora la vostra composta è pronta.
La frutta, ovviamente, non era l’unica cosa che recuperavo, ma vi era anche una grande presenza di verdura. Così, che mi resi conto, che il pesto è una cosa magica, tutte le verdure possono diventare pesto o salsine prelibate. Avete mai mangiato il pesto di melanzane, di zucchine, di peperoni o la salsa di sparagi e curry? Beh, io sì e, ve le raccomando! La ricetta è molto semplice, basta solo far bollire o cuocere in padella il tipo di verdura prescelta, precedentemente sminuzzata e condita a piacimento. Dopo la cottura aggiungere olio, formaggio (grana, pecorino, parmigiano) e della frutta secca, se la si ha in casa, per dare quella sensazione di croccantezza che rende più sfizioso il composto e, infine, utilizzare un frullatore ad immersione fino a raggiungere la consistenza (a piacimento) del pesto. Finito il procedimento, il pesto o la salsa sono pronti per essere utilizzati come condimento per una pasta o sopra una semplice fetta di pane. Le verdure in questo modo soprattutto se in grandi quantità, si conservano più a lungo ed occupano meno spazio in frigo.
La conservazione non era più un problema. Il riutilizzo trasferito anche all’oggettistica, con l’accumulo di barattoli di vetro, sopperiva le precedenti difficoltà. Bastava collocare gli alimenti trasformati o anche gli avanzi di cibo del giorno prima, all’interno di questi barattoli richiusi con il loro coperchio e per una conservazione nel lungo periodo, bollire i barattoli e riporli per qualche ora capovolti in un qualsiasi ripiano, così da creare il sottovuoto al loro interno.
Queste pratiche diedero il via ad una moltitudine di momenti di convivialità e di fantasia in cucina a cui si associarono svariate cene, in cui come ospite dovevi portare un’unica cosa che non si poteva recuperare gratuitamente, cioè: l’alcol.
Il tempo dedicato a cucinare, alle volte, sembrava maggiore sul momento, ma il risultato, era uno scambio continuo di Know-How, di risate ed esperimenti, portando ad un risparmio economico e di tempo nel lungo periodo sostanziale.
Anche un’abitudine, come quella del classico sabato sera universitario, fu sconvolta. Ogni settimana, tutt’ora io ed i miei coinquilini aspettiamo trepidanti il sabato sera, non più per uscire in centro, ma per recarci al mercato di Porta Palazzo ed effettuare il nostro classico recupero di cibo. Nell’attesa, prendendo domestichezza con gli orari, abbiamo trasferito quella pratica anche all’interno del Balon, il mercato delle pulci, che il sabato ha luogo nello stesso contesto; in modo da recuperare libri, maglioni, pantaloni, specchi e molto altro, che vengono lasciati sistematicamente lungo le strade dai mercanti, per poi venire raccolti e buttati dagli spazzini comunali.
Il ritorno è sempre la parte più dura, infatti, le nostre cartelle da trekking sono sempre colme delle cose più varie, ma il risultato, vi assicuro che vale la fatica. Arrivati a casa, il sabato sera dopo il recupero solitamente non usciamo, perché preferiamo gustarci, l’ormai consolidata classica cena di “famiglia” con il cibo recuperato, per poi infine guardare tutti assieme i vari oggetti trovati nelle strade del Balon.
Potrei dilungarmi e parlare delle nostre più varie ricette, visto che ora abbiamo fatto un ricettario e, dei nostri molteplici ritrovamenti, ma sarebbero veramente troppe le cose da dire, come tutto quello che l’attività di Re-Popp è stata in grado di trasmettermi. Concludo, a questo punto, con un augurio per chiunque volesse intraprendere questa strada e condivido una frase diventata il nostro mantra di buon auspicio: “un recupero, non è recupero, se non porti a casa almeno una cipolla! Quindi, se non te la danno, cercala per terra.”