“Da un punto di vista tecnico non è una pandemia, ma è una sindemia, ovvero la sintesi di 3 emergenze: quella ovviamente di natura sanitaria, una derivante dal mutamento climatico che causa deforestazione e il cosiddetto spillover; e inoltre un’emergenza socio economica, acuita dalla diseguaglianza a livello mondiale. Sarebbe utopico voler far fronte alla situazione agendo solo sul lato della salute, in quanto si agisce quando i buoi sono già scappati; come insegna papa Francesco nella Laudato Si bisogna collegare l’impegno contro la crisi ambientale a quello contro le diseguaglianze che continuano a crescere. Perché è molto probabile che tra 9 o 10 anni scoppierà un’altra pandemia e non possiamo assolutamente correre il rischio di rivivere la situazione attuale”.
Così ha risposto Stefano Zamagni, economista, professore alla John Hopkins University e Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali interrogato sul rapporto tra crisi ecologica e pandemia, nel corso della sua Lectio magistralis “L’uomo al centro dell’economia circolare” tenutasi a Circonomìa, il Festival Nazionale dell’Economia Circolare e delle Energie dei Territori ad Alba.
Nel corso del suo intervento il professor Zamagni ha poi affrontato il tema dell’economia circolare, definendo i due approcci all’economia circolare: uno è l’ottimizzazione, ovvero che nella consapevolezza non sia possibile produrre e crescere come si è fatto finora, occorra riciclare e surrogare l’utilizzo fonti fossili. Secondo questa visione sono le imprese a condurre il gioco, mentre occorre un altro approccio: lo sviluppo umano integrale. “Non è questione di parole – ha spiegato Zamagni – una cosa è la semplice crescita, altro è sviluppo. Svilupparsi è un’ambizione solo dell’uomo: vuol dire liberarsi dalle catene, ovvero crescere con maggiore libertà, mentre la semplice crescita è propria di tutti gli elementi della natura, piante e animali, che non hanno la capacità di decidere come modificare il proprio destino. Dobbiamo cambiare a livello di società civile: dobbiamo convincerci che sono alcuni stili di vita che vanno cambiati; se manteniamo in piedi il modello neo consumistico, sarà come il cane che si morde la coda; per quanto si voglia modificare l’offerta, fondamentale è invece cambiare la domanda. Bisogna agire sui modelli culturali, perché la nostra cultura è obsoleta. Ad esempio il concetto di fast fashion: la seconda fonte inquinamento a livello mondiale sono i vestiti in acrilico, diretta conseguenza di una moda che ci dice che possiamo e dobbiamo cambiare il nostro look ogni mese con una bassa spesa. Non bisogna consumare meno, ma consumare di più cose che non inquinano”.
Il professor Zamagni ha concluso con un passaggio relativo al prossimo appuntamento Cop 26 di Glasgow. “La transizione ecologica non sarà un passaggio istantaneo, se non troviamo modi di compensazione per chi in questa fase subirà degli svantaggi, ci saranno processi di aggregazione di chi sarà sfavorito e cercherà di bloccare il cambiamento. Cop 26 non ha elaborato un percorso di transizione; la reazione alle parole del Ministro Cingolani e l’annuncio dell’aumento delle bollette energetiche possono costituire un esempio di quello che ci aspetta se non ci saranno misure di accompagnamento lungo il processo di transizione”.