Dopo l’azione di polizia che ha visto il sequestro di 8 tonnellate di sacchetti illegali da parte degli Agenti del Reparto specialistico di Tutela Ambientale del Comune di Napoli, abbiamo contattato telefonicamente Carmine Pagnozzi direttore di Assobioplastiche per capire quali verifiche tecniche verranno effettuate sui campioni dei sacchetti sequestrati e, più in generale, come procede la campagna di sensibilizzazione e contrasto agli shopper illegali a quasi dieci anni della messa al bando dei sacchetti in plastica monouso in Italia.
Che tipo di accertamenti andrete a fare sui sacchetti sequestrati a Napoli?
La conformità alla legge prevede dei requisiti e quindi ci sono da espletare delle verifiche. Se si tratta di sacchetti in plastica tradizionale e che quindi non riportano i loghi di compostabilità va verificato lo spessore del sacchetto in funzione della forma e dell’esercizio commerciale nel quale è stato prelevato. Le normative vigenti ci dicono che un sacchetto in plastica si può vendere quando è riutilizzabile e quindi conforme a determinati spessori. Se il sacchetto ha la maniglia interna, la cosiddetta manica a fagiolo, e non verrà utilizzato per uso alimentare lo spessore minimo è di almeno 60 micron, mentre se per uso alimentare lo spessore della singola parete dovrà essere non inferiore di ai 100 micron.
Se invece la maniglia è esterna, quindi il classico shopper, lo spessore minimo richiesto per l’uso non alimentare della singola parete deve essere di almeno 100 micron, mentre se il sacchetto viene utilizzato per alimenti lo spessore non deve essere inferiore ai 200 micron, ovvero lo spessore delle borse riutilizzabili che troviamo alle casse dei supermercati per intenderci.
Ovviamente è sempre meglio portarsi delle borse da casa quando si va a fare la spesa, ma se non avviene, abbiamo sempre la possibilità di acquistare alla cassa dei sacchetti biodegradabili e compostabili che per legge possono essere venduti per il trasporto delle merci. Per biodegradabili e compostabili intendo quelli certificati secondo lo standard EN 13432. Una volta svolta la funzione di trasporto merci questi sacchetti possono quindi essere riutilizzarli per la raccolta del rifiuto umido.
Discorso a parte va fatto per i sacchetti per il primo imballo alimentare di alimenti sfusi, come quelli, diffusissimi, per frutta e verdura. Questi hanno come unico requisito quello di essere biodegradabili e compostabili con contenuto di materia prima rinnovabile che, nel 2021, deve essere almeno pari al 60%. Ciò significa che il carbonio che compone il biopolimero del sacchetto proviene almeno al 60% da fonte rinnovabile.
Sempre nella nota stampa del Comune di Napoli si legge che verranno fatti anche accertamenti tecnici per “qualificarne il reale potenziale dannoso”. Di che accertamenti parliamo?
Un sacchetto non a norma e anonimo è potenzialmente dannoso. Semplicemente perché se non a norma il cittadino può essere tratto in errore e quindi riutilizzarlo per il conferimento dei rifiuti organici creando serie criticità alla trasformazione del rifiuto umido in compost. Perché la plastica non certificata EN 13432 non si trasforma in compost, anzi genera problemi di smaltimento negli impianti di compostaggio, peggiorandone le performance e aumentando i costi. Senza dimenticare l’effetto trascinamento che producono sacchetti non a norma, nel senso che eliminando questi sacchetti con loro vanno via anche i rifiuti organici contenuti al loro interno e che quindi non possono essere valorizzati secondo i criteri dell’end of waste, creando così un duplice danno.
Proprio per evitare questi problemi nella produzione di compost di qualità Assobioplastiche segue da anni il tema dell’illegalità delle borse per la spesa. Supportiamo le iniziative delle polizie locali come ad esempio quella di Napoli, di Roma o come è accaduto a fine febbraio nel Comune di Montemurlo, in provincia di Prato, dove è stato possibile individuare una fabbrica che produceva sacchetti illegali.
Come nasce questo rapporto con le polizie locali?
I nostri rapporti nascono grazie al lavoro di sensibilizzazione sul territorio italiano che Assobioplastiche fa per identificare quali sacchetti sono a norma e quali no. Alcune polizie locali ci contattano per comprendere meglio come identificare questi sacchetti dal punto di vista tecnico. Altre volte siamo noi, dopo aver appreso di operazioni volte al contrasto dei sacchetti illegali, che proponiamo la nostra consulenza tecnica. Inoltre da quattro anni abbiamo siglato una convenzione con i Carabinieri Forestali, ai quali forniamo collaborazione per la formazione per il riconoscimento dei materiali per poi verificarne i requisiti di legge.
A quasi dieci anni dall’introduzione in Italia di una legge che norma l’uso dei sacchetti a che punto siamo?
Non c’è un catasto dell’illegalità, mentre possiamo dare dei dati e numeri rispetto al quantitativo dei sacchetti compostabili a norma che vengono immessi sul mercato italiano. In base alla nostra esperienza di cittadini e consumatori la sensazione è che il fenomeno rispetto a dieci anni fa è in riduzione. Ma non mi sento però di dire che il fenomeno non è più consistente. Oggi raccogliamo i risultati degli sforzi fatti dal legislatore in questi dieci anni. Però basta fare un giro negli impianti di compostaggio per capire che ci sono ancora svariate migliaia di tonnellate di sacchetti non a norma. E le notizie di cronaca non smentiscono quello che si vede negli impianti.
È un fenomeno persistente. Può variare su scala regionale ma l’attenzione deve essere massima perché appena ci si distrae questi fenomeni di illegalità riprendono fiato e si ripresentano.
Come faccio da consumatore ad accorgermi se mi viene venduto o regalato un sacchetto non a norma?
Un sacchetto non a norma di solito è un sacchetto anonimo. Per anonimo intendo un sacchetto che non riporta nessuna dicitura di nessun tipo. Un sacchetto a norma di quelli biodegradabili e compostabili certificati riportano il logo che certifica la compostabilità, una dichiarazione di conformità allo standard EN 13432, una indicazione del fine vita nella raccolta dei rifiuti organici e una indicazione su chi lo ha prodotto. Inoltre, essendo un sacchetto destinato alla raccolta dei rifiuti organici, alcune volte troviamo anche un numero che identifica la data di produzione di quel lotto. Insomma il sacchetto ci parla con una serie di indicazioni che aiutano il consumatore a riconoscerlo per un corretto utilizzo a fine vita.
Va da sé che anche il sacchetto in plastica, ovviamente quello a norma, parla e riporta delle indicazioni che rimandano ai requisiti previsti per legge in fatto di spessori. Per concludere, quando ci imbattiamo in un sacchetto anonimo c’è l’altissima probabilità che non sia a norma.