Ospitati dalla Fiera internazionale di Ecomondo a Rimini, sisono tenuti il 10 novembre i primi Stati generali per la Salute del Suolo organizzati da Re Soil Foundation e numerosi altri enti di ricerca e istituzioni, due sessioni di alto livello per far luce sui diversi volti, nazionali e globali, del problema e sulle azioni più efficaci per affrontarlo, evidenziando le best practice che già dimostrano come invertire la rotta.
Nonostante i numeri del sistema suolo allarmino, e non da oggi, gli esperti, sul tema non esisteva finora un appuntamento che affrontasse il problema in modo olistico. Fotografando cioè la natura multiforme della questione e coinvolgendo i diversi attori in gioco. Accademico, politico, economico e culturale.
All’organizzazione dell’evento hanno contribuito, insieme a Re Soil Foundation, il Gruppo di Coordinamento Nazionale per la Bioeconomia (GCNB), presso il CNBBSV della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che comprende anche i Ministeri delle Politiche Agricole, dell’Istruzione, dell’Università e Ricerca, della Transizione ecologica, dello Sviluppo economico e tutte le Regioni, in collaborazione con ISPRA e CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).
“Il tema della salute del suolo è senza dubbio di primario interesse non solo per gli addetti ai lavori ma anche per l’intera collettività” spiega Fabio Fava, Coordinatore del GCNB. “Dalla salute del suolo dipende la sicurezza alimentare globale, le rese agricole e la resilienza e la rigenerazione degli ecosistemi e della Biodiversità oltre che la possibilità di sequestro di anidride carbonica da parte dei terreni, gas che al contrario viene rilasciato nell’atmosfera quando i suoli sono degradati, contribuendo all’aumento dei cambiamenti climatici”.
I numeri principali sulla salute dei terreni sono decisamente preoccupanti: secondo il rapporto “Caring for Soil is Caring for life” pubblicato dalla Commissione Europea nel 2020, il 60-70% di tutti i suoli europei è malsano a causa delle attuali pratiche di gestione, dell’inquinamento, dell’urbanizzazione e degli effetti dei cambiamenti climatici: in particolare, Il 25% dei suoli nell’Europa meridionale, centrale e orientale è ad alto o molto alto rischio di desertificazione, mentre il tasso odierno di riutilizzo del suolo è fermo al 13%. Il costo stimato associato al degrado del suolo nell’UE supera i 50 miliardi di euro/anno.
“Gli Stati Generali per la Salute del Suolo – spiega Debora Fino, Presidente di Re Soil Foundation – intendono quindi riunire i principali stakeholder ed esperti nazionali e internazionali per elaborare una piattaforma programmatica volta a supportare lo sviluppo di una Strategia del Suolo italiana, attraverso l’analisi dello scenario ambientale, economico, legislativo e sociale, di buone pratiche e progetti esistenti multidisciplinari e multi-attore, che stanno già fornendo risposte in questa direzione”.
“Senza suolo non mangiamo e se l’Italia non approverà finalmente la legge sulla tutela del suolo, è impossibile parlare di sicurezza e sovranità alimentare”. Lo ha dichiarato Michele Munafò, responsabile del Sistema informativo nazionale ambientale dell’ISPRA. “Il 95% di ciò che troviamo nel piatto dipende dal suolo fertile. Se quei terreni spariscono perché coperti da cemento, asfalto, erosi, salinizzati, contaminati e non più fertili, noi non mangeremo più. Di una legge per tutelarlo si parla da 10 anni ma senza risultati” ricorda Munafò. “È fondamentale adeguare il nostro sistema nazionale indirizzandolo verso gli obiettivi di arresto del consumo di suolo fissati dalla Ue, il bilanciamento dei servizi ecosistemici del suolo. E ciò va fatto entro il 2030 perché gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile ci richiamano a questo impegno. Quell’anno è un punto di non ritorno”.
Il dirigente ISPRA ha ricordato anche i dati più preoccupanti del consumo di suolo in Italia: il nostro Paese ha perso nel 2021 più di 2 metri quadri al secondo (valore più elevato dell’ultimo decennio), il livello di artificializzazione del suolo è quasi il doppio della media Ue. “Per di più – ha proseguito Munafò – continuiamo a incidere sugli stessi suoli: quelli di pianura, più fertili e più preziosi. Ma anche quelli ad alta pericolosità sismica e idraulica”.
Nuovi edifici, poli per la logistica, nuove infrastrutture, grandi opere ma anche uso di terreni agricoli per pannelli fotovoltaici. Sono molte le cause che portano all’impermeabilizzazione del suolo. Tutte insieme si trasformano in un danno economico di oltre tre miliardi di euro l’anno, solo considerando la cementificazione. “Se sommiamo quei soldi, anno dopo anno, raggiungiamo rapidamente un costo di decine di miliardi di euro solo perché non riusciamo a gestire correttamente questa risorsa così preziosa e non rinnovabile”.
Alle dichiarazioni di Munafò si aggiungono anche quelle di Luca Montanarella, capo della Land Resources Unit del Joint Research Centre della Commissione europea. “Non intervenire per contrastare con efficacia il degrado dei suoli sta costando agli Stati europei più di 50 miliardi di euro ogni anno”. Tra le principali voci di costo, la gestione dei siti contaminati (6,5 miliardi di euro/anno), la perdita di fosforo causata dall’erosione dei terreni (fino a 4,3 miliardi all’anno), l’esigenza di rimuovere i sedimenti da corsi d’acqua e bacini idrici (2,3 miliardi all’anno) e la perdita di produttività dovuta all’erosione idrica (1,25 miliardi di euro l’anno).
Nel suo intervento, Montanarella ha ricordato che lo stato di salute attuale dei suoli nella Ue è forse più preoccupante che a livello mondiale. “Il 60-70% è reso insalubre a causa delle attuali pratiche di gestione, dagli effetti dell’inquinamento dell’aria e dai cambiamenti climatici. Un quarto dei terreni è soggetto a tassi di erosione idrica insostenibili e altrettanti sono a rischio alto o molto alto di desertificazione. Inoltre, ci sono in Europa 2,8 milioni di siti potenzialmente contaminati ma appena il 24% è inventariato”.
Si aggiunge anche l’allarme di Lucrezia Caon, responsabile FAO per Suolo e Acqua
“Lo stato di salute dei suoli mondiali è allarmante. Il 33% già oggi presenta segni di degrado. E, se non si interverrà per tutelarli, intervenendo sulle attuali pratiche di gestione, quella percentuale raggiungerà il 90% entro il 2050”. Alla base del problema c’è una lunga sottovalutazione di quanto sia cruciale la salute del suolo per la biodiversità, la sicurezza alimentare mondiale e per la regolazione del clima. Ma, più in generale, dalla qualità dei terreni dipende la possibilità di centrare quasi tutti gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile.
“La degradazione del suolo colpisce direttamente il benessere di 3.2 miliardi di persone nel mondo” spiega Caon. “Dobbiamo ricordare che nel 2021 quasi 830 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame e 2,3 miliardi sono in stato di insicurezza alimentare. Le proiezioni del futuro ci dicono che l’8% della popolazione mondiale soffrirà la fame nel 2030”.
Il programma completo delle due sessioni degli Stati Generali per la Salute del Suolo è disponibile ai seguenti link: