La bicicletta non scomodo intralcio alla circolazione, ma parte della soluzione per avere città più vivibili e per una mobilità realmente sostenibile. Accompagnati dallo slogan “BASTA MORTI IN STRADA, BASTA MORTI IN BICI”, il 13 dicembre, Legambiente, le testate La Nuova Ecologia e BikeItalia, insieme a FIAB, Touring Club Italiano, ACCPI, ANCMA, ASviS, Clean Cities Campaign, Fondazione Luigi Guccione, Fondazione Michele Scarponi, Associazione Io Rispetto il Ciclista, Associazione Lorenzo Guarneri, Kyoto Club, Salvaiciclisti, Velolove e Vivinstrada si sono dati appuntamento davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma: un presidio per chiedere una viabilità più sicura e a misura di persone, perché non è ammissibile – sottolineano le 15 sigle – accettare il tributo quotidiano di morti e feriti su strada, la quale rappresenta la prima causa di decesso tra i giovani in Italia e un pericolo per utenti vulnerabili come i ciclisti. Un bollettino, quello dei morti e dei feriti su strada, che negli ultimi tempi ha registrato un sensibile aumento, come raccontano i dati e le storie più recenti.
Nel 2021 in Italia si è registrata una media giornaliera di 561 feriti e 7,9 vittime in incidenti stradali, con un costo sociale pari a 16,4 miliardi di euro, lo 0,9% del PIL nazionale, secondo dati ACI-ISTAT 2021. La fascia più colpita dai decessi è risultata quella dei 20-24 anni. Quasi il 10% degli incidenti, lo scorso anno, ha riguardato i ciclisti: sono 220 quelli che hanno perso la vita nel 2021. E non è andata meglio, nel complesso, durante i primi sei mesi del 2022 che hanno visto un incremento del numero di incidenti stradali con lesioni a persone (81.437) pari al +24,7%, rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2021. Tra le prime cause dei sinistri stradali, figurano velocità, distrazione e mancato rispetto delle regole stradali da parte dei conducenti degli autoveicoli.
“È ora di chiedere impegni concreti a Governo e Parlamento per fermare la strage che in questi giorni continua a colpire tanti utenti in bicicletta. Nel nome di Davide Rebellin, di Manuel Lorenzo Ntube e delle altre centinaia di vittime in bici di questi anni, abbiamo indetto il presidio di oggi, per chiedere città a 30 km/h, più fondi per le ciclabili, subito la legge sulla distanza di sorpasso a 1,5 metri e politiche orientate alla Vision Zero che permettano di dare spazio e sicurezza alle persone prima che alle auto, azzerando le vittime degli incidenti. Chiediamo, inoltre, il ripristino immediato dei finanziamenti alle ciclovie, cassati nella nota integrativa alla Legge di bilancio 2023”, dichiarano le sigle aderenti alla manifestazione.
Per gli anni 2023 e 2024 erano infatti previsti due finanziamenti da 47 milioni di euro (per un totale di 94 milioni) che oggi presentano la voce “definanziamento” e azzerano il “Fondo della ciclabilità” istituito dal governo Conte II nel 2019, in cui si prevedeva lo stanziamento di 141 milioni per il triennio 2022-2024 (47 all’anno) per la “realizzazione di zone a 30 km/h, corsie ciclabili, case avanzate e aree di sosta per biciclette”.
Le associazioni parte della coalizione ricordano al MIT di avere firmato a luglio il Manifesto “Per Città 30 e strade sicure e vitali”, insieme all’ONU, all’ANCI e all’ACI, per dare priorità a tre punti urgenti: perseguire il modello delle “Città 30”, realizzando delle living streets; fare applicare il rispetto delle norme, attraverso la tecnologia e il nudging; prevedere una legge per l’assistenza alle vittime di violenza stradale.
Tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU c’è quello di dimezzare le morti stradali rispetto al 2019 (3.173), ma l’Italia – sottolineano le sigle – è lontanissima dal raggiungimento del risultato, considerati i trend dei soli primi sei mesi del 2022 (1.450 decessi, un +15,3% rispetto allo stesso periodo di riferimento nel 2021).
L’azzeramento delle vittime della strada richiede impegno politico e maggiore azione e deve passare per “la gestione della velocità e il rafforzamento delle forze dell’ordine per prevenire gli eccessi e imporre una velocità massima di marcia su strada di 30 km/h in aree in cui utenti vulnerabili e veicoli si mescolano in modo frequente e pianificato”, così come emerso durante la Terza conferenza ministeriale globale sulla sicurezza stradale di Stoccolma.
“Auspichiamo che le dichiarazioni del nuovo titolare del dicastero, Matteo Salvini, sulla fondamentale ricognizione della qualità delle infrastrutture, a partire dalle strade, e sulla liberazione di risorse possano trovare un riscontro concreto e immediato – proseguono le sigle, riunite oggi davanti al MIT – Al contempo, ribadiamo l’importanza di non fare passi indietro sulla normativa approvata nel 2020, che ha previsto riforme urgenti del codice della strada grazie alle quali è stato possibile realizzare con meno fondi e burocrazia piste e corsie ciclabili nelle città, riavvicinando finalmente l’Italia agli standard europei”.
Sicurezza stradale, proposte e richieste
Questo sanguinoso tributo, che ha un costo sociale ed economico enorme, vede la velocità come una delle tre cause principali degli incidenti stradali e come elemento che ne determina la gravità. Ma non è inevitabile. Tutte le esperienze europee che hanno adottato il modello “Città 30” provano, infatti, che è possibile dare spazio alla vita e alla sicurezza delle persone prima di tutto, con azioni chiare e ben progettate.
Considerato che la quasi totalità degli incidenti sulle strade è dovuta a comportamenti contrari al codice della strada da parte dei conducenti degli autoveicoli, la sicurezza stradale soprattutto nei centri urbani deve essere attuata attraverso politiche di disincentivazione all’utilizzo degli autoveicoli soprattutto privati e politiche di incentivazione all’utilizzo di mezzi alternativi ed ecosostenibili quali il trasporto pubblico urbano e la mobilità attiva, cioè quella in biciclette o a piedi.
Pertanto, le associazioni chiedono la moderazione della velocità, con maggiori controlli e più educazione stradale, con la riduzione delle sezioni stradali e della velocità, aumentando il modal share e dissuadendo l’uso dell’automobile privata, rimettendo al centro delle città e della viabilità le persone e non le automobili, al centro della mobilità gli utenti e non i mezzi di trasporto. In una sigla: Città Vision Zero.
Per porre fine a una strage stradale continua, causata da un modello sbagliato di mobilità, la bicicletta è parte della soluzione per avere città più vivibili: anche per questo, le sigle in piazza oggi chiedono al Governo e al Parlamento italiano il ripristino immediato dei fondi per la ciclabilità, attualmente azzerati nella discussione alla Camera della Legge di bilancio 2023, e la previsione di un programma di investimenti sulla ciclabilità serio da qui al 2030, investendo un decimo di quanto già speso per ridurre il costo di diesel e benzina.
Bisogna, infine, costruire una nuova “visione” di convivenza civile attraverso cui guardare allo sviluppo come fattore di crescita che non minacci e distrugga l’ambiente, che dia pari opportunità ai cittadini e alle generazioni, centralità alla pedonalità e alla ciclabilità (anche nel Codice della Strada), e non più alla motorizzazione privata, vera causa dell’incidentalità non compatibile con la crisi climatica.
L’eccessivo tasso di motorizzazione in Italia, del resto, costituisce uno degli elementi più problematici per le città e distingue sfavorevolmente il nostro Paese nel panorama internazionale: se nelle città italiane il tasso di motorizzazione supera in alcuni casi le 70 auto per 100 abitanti (è il caso di Roma), le grandi capitali europee hanno tutte tassi di motorizzazione inferiori alle 30 auto per 100 abitanti, tra queste Londra, Parigi, Amsterdam, Berlino, ma anche Lubiana e Tallin. Mentre, nel 2021, il tasso medio di motorizzazione dei Comuni capoluogo italiani si attestava sulle 65 auto ogni 100 abitanti, pertanto occorrono politiche che disincentivino sia l’acquisto che l’uso di automobili. L’Italia, invece, investe 100 volte di più sull’auto che sulla bici, come emerge dal report Non è un Paese per bici, pubblicato lo scorso novembre da Clean Cities, FIAB, Kyoto Club, Legambiente che hanno anche lanciato una petizione a Governo e Parlamento per chiedere di colmare il gap con le grandi città europee.