Strane o finalmente normali che siano, le coincidenze politiche hanno dato in questi giorni una visibilità incredibile all’ambiente, o meglio alle parole dell’ambiente. Provo a tornare a scrivere qualcosa anche io, alzando un attimo la testa dai Progetti Salvacibo e simili in cui sono immerso.
Le parole che ho sentito più forti in questi giorni, il sapore percepito di questa “transizione ecologica” è un po’ tanto tecnocratico per i miei gusti. E non mi riferisco tanto alle esperienze di robotica o tecnoscienza del neo ministro Cingolani, non mi riferisco neanche al discorso di Draghi, ma mi riferisco ai pronunciamenti delle principali associazioni ambientaliste. Ho sentito il dibattito de La Nuova Ecologia di martedì 16 febbraio e sono rimasto spiazzato. Quasi tutta l’enfasi, l’ aspettativa, è puntata sulle rinnovabili, e poi sugli impianti da aprire per il riciclo e il compostaggio. Quasi come una appendice indipendente viene ricordata la biodiversità.
Capisco che di fronte ai miliardi del Recovery Fund, e alle scelte da fare, i sentimenti di sobrietà monastica non servano. Posso anche capire che papa Francesco lo lasciamo citare a Draghi perché dal banchiere suona più inaspettato, da Greenpeace non serve. Ma sembra (per un attimo?) che siano stati dimenticati non dico i richiami alla necessità di ridurre i consumi superflui, ma persino i riferimenti al risparmio energetico e ai criteri di efficienza e sufficienza.
Certo, è comprensibile che in questo momento si concentri l’attenzione sul conflitto tra fonti rinnovabili e combustibili fossili, è comprensibile che si punti su solare ed eolico per contrastare la presunta efficienza del gas. Ma non si può irridere chi vuole difendere il paesaggio e più in generale non credo si possa pensare di fare una vera transizione ecologica solo coi temi freddi dei Gigawatt elettrici senza i temi caldi di una economia circolare solidale e antispreco.