A conferma di quanto registrato a livello globale dall’IEA, anche in Italia la pandemia non ha frenato gli investimenti nelle energie rinnovabili che nel 2020 hanno raggiunto i 9,1 miliardi di euro, per un totale di 10,9 gigawatt installati (+7% sul 2019). Lo si legge nell’Irex Annual Report 2021, studio del think tank che dal 2008 monitora il settore delle rinnovabili, esaminando le strategie prevalenti e tracciando le tendenze future.
Il report, presentato mercoledì 12 maggio da Alessandro Marangoni, ceo della società di analisi economiche Althesys, nel corso dell’evento “L’energia di domani. Il settore alla sfida del PNRR”, ha analizzato l’andamento del settore elettrico e degli investimenti nelle rinnovabili in Italia. Il rapporto valuta anche l’adeguatezza del sistema elettrico italiano, in particolare alla luce della dismissione del carbone. Fondamentali sono la disponibilità di capacità flessibile, storage e infrastrutture, ma anche la rimozione dei vincoli alle autorizzazioni, su cui il Governo Draghi con il ministro Cingolani dovrebbe intervenire a breve con il decreto Semplificazioni.
“L’approvazione dei nuovi obiettivi climatici UE apre le porte a una nuova trasformazione del sistema energetico”, sottolinea Marangoni, che ha guidato il team di ricerca. “Per coglierne le opportunità serve una visione di lungo termine, che metta al centro la sicurezza degli approvvigionamenti e l’adeguatezza del sistema elettrico in un quadro in cui lo snellimento dell’iter di autorizzazione, la riduzione dei costi e la revisione del market design appaiono come imperativi strategici per l’Italia”.
Gli investimenti italiani
Il settore delle energie rinnovabili si è mostrato molto dinamico nonostante le difficoltà. Sono 254 le operazioni censite l’anno scorso nella mappatura dell’Irex, che considera gli investimenti utility scale effettuati nel nostro Paese e quelli svolti all’estero dalle imprese italiane. Rispetto al 2019, le operazioni sono cresciute in numero (+20%) e in potenza (+7%), mentre sono diminuite in valore (-4,4%), grazie al continuo calo dei costi delle tecnologie. Sale la quota dei primi dieci investitori e le core renewable si confermano prime per numero di operazioni, mentre sono sempre più attive le compagnie oil&gas ele local utility, che puntano a recuperare il terreno perso negli anni scorsi. Gran parte delle operazioni (57%) sono state concluse in Italia ed è leggermente rallentato il processo di internazionalizzazione, che rimane comunque significativo, con 4,7 GW e 4,6 miliardi di euro di investimenti. Nord America e America Latina restano la meta principale, con il 58% della potenza contro il 31% dell’Europa, che è invece in testa per numero di operazioni.
Soprattutto fotovoltaico ed eolico
La metà delle acquisizioni nel 2020 riguardano il fotovoltaico (50%), settore che prosegue nel consolidamento, con i dieci maggiori operatori che detengono il 54% della capacitàdi taglia industriale. Nonostante la diminuzione rispetto al 2019, l’eolico – che vale il 27% delle operazioni – continua ad essere primo in termini di potenza (5,1 GW) e valore (4 miliardi). Crescono biomasse, soprattutto biometano, (dal 4% al 7%) e smart energy (dal 6% al 9%).
Le rinnovabili piacciono agli investitori
Oltre agli investimenti, corrono anche i titoli delle rinnovabili. L’IREX Index, che traccia l’andamento delle small-mid cap pure renewable quotate su Borsa Italiana, ha chiuso il 2020 con una crescita del 62,2%. Un risultato overperforming sia rispetto al FTSE All Share che al FTSE Oil&Gas, ancora più notevole se si considera la difficile situazione congiunturale.
La redditività resiste al crollo dei prezzi
Nonostante la flessione dei prezzi nei mercati elettrici, le rinnovabili si sono dimostrate nel complesso resilienti, mantenendo pressoché inalterata la redditività degli investimenti in Europa. A fronte di un costo medio europeo (LCOE) dell’eolico onshore che si attesta a 41,3 €/MWh (-2,2% sul 2019), il ricavo (LEOE) medio è di 47,6 €/MWh (-9,5% rispetto al 2019). Il fotovoltaico è in media profittevole per gli impianti commerciali, con LCOE di 63,3 €/MWh e LEOE di 74,2 €/MWh, mentre gli utility scale a terra fissi in alcune nazioni paiono meno remunerativi.
L’adeguatezza del sistema elettrico
I ritardi autorizzativi per i nuovi impianti termoelettrici a cui si sommano quelli nel mercato della capacità e il rallentato sviluppo di rinnovabili e storage rischiano di incidere sull’adeguatezza del sistema elettrico, nonostante la pandemia abbia frenato i consumi.
Per il 2020 il margine di riserva ha toccato il record negativo di soli 2 GW, nonostante il basso livello della domanda. Nel periodo estivo si evidenziano rischi di inadeguatezzagià nel 2022. Con la disponibilità di impianti alla punta e i limiti di transito transfrontalieri attesi, non si riuscirebbe a coprire il picco previsto di domanda (+ riserva) di 63,5 GW. Per la stagione invernale, con un picco atteso più basso e pari a 58,7 GW, i risultati paiono adeguati, con margini che superano il 20%.
Nel medio-lungo termine, la realizzazione degli investimenti necessari per attuare il phase-out del carbone dovrebbe, invece, garantire l’adeguatezza e la sicurezza del sistema elettrico italiano.
Batterie, calano i prezzi
Se gli accumuli sono al centro delle grandi strategie tecnologiche future, così come biometano e mobilità elettrica, si affacciano sulla scena anche i primi progetti per l’idrogeno e le installazioni in mare (per l’eolico 3,5 GW di progetti al largo delle coste italiane e il fotovoltaico galleggiante in corso di sperimentazione). A proposito di solare il report segnala anche l’impiego di pannelli bifacciali e di tracker in impianti utility scale, che consente un aumento della producibilità rispetto alle configurazioni tradizionali.
Tra le tecnologie più promettenti, si stanno sviluppando i sistemi di accumulo per avere un sistema elettrico sempre più flessibile e decentralizzato. Le imprese puntano, oltre che sull’installazione di batterie associate a impianti, sulla creazione di piattaforme digitali per la gestione della generazione distribuita e delle comunità energetiche.
In Europa gli accumuli elettrochimici sono in crescita significativa, passando da 0,6 gigawattora nel 2015 a circa 5,4 nel 2020, di cui il 55% di grande taglia. Riguardo agli impianti large scale, la potenza in esercizio è di circa 1,9 GW, di cui ben il 62% nel Regno Unito, ma solo il 3% in Italia, dove sono installati circa 57 MW di batterie utility scale distribuiti su una decina di siti.
Nonostante la congiuntura, il 2020 è stato l’anno di maggior aumento dello storage (+1,8 GWh). La dinamica è favorita dal calo dei costi più rapido del previsto: tra il 2013 e il 2020 i costi della tecnologia al litio sono scesi dell’80% circa, passando, in media, da 668 a 137 dollari/kWh. PAESE Tipo di idrogeno
La lunga strada dell’idrogeno
La strategia UE per l’idrogeno ha fissato obiettivi ambiziosi: si punta a creare la domanda, che dovrebbe aggirarsi al 2050 intorno al 13-14% dell’energy mix, obiettivo che sarà possibile producendo idrogeno anche con gas e con la cattura-stoccaggio della CO2 (idrogeno blu).
Nel lungo termine, l’UE punta all’idrogeno verde, oggi ancora in quantità limitate, mentre sono prodotti 10 milioni di tonnellate con il gas. Gli investimenti stimati entro il 2030 sono tra i 320 e i 460 miliardi di euro, di cui 24-42 per gli elettrolizzatori e 220-340 miliardi per l’espansione delle rinnovabili associate (80-120 GW eolico e solare). Entro il 2030 sono previsti i primi 40 GW di elettrolizzatori (oggi 1 GW) e una produzione verde fino a 10 milioni di tonnellate, grazie ad un’accresciuta competitività e alla diffusione nei comparti acciaio, trasporto, marittimo e ferroviario.
Il rapporto evidenzia, infine, come l’idrogeno verde sia la nuova frontiera per la decarbonizzazione, ricca di potenzialità, ma anche di molte incognite. Sono molteplici le condizioni necessarie per il suo sviluppo: discesa dei costi della tecnologia, ampia disponibilità di rinnovabili a bassi prezzi, domanda adeguata, alti prezzi della CO2.