In Italia il settore dei rifiuti sta affrontando una serie di importanti riforme strutturali per garantire la transizione verso l’economia circolare. Restano tuttavia ancora alcune criticità da affrontare, per attivare gli investimenti necessari a colmare il fabbisogno impiantistico e a superare la frammentazione gestionale. Questa la fotografia scattata dal Green Book 2024, il rapporto annuale sul settore dei rifiuti urbani in Italia, promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis, realizzato quest’anno in collaborazione con ISPRA e con la partecipazione di Enea, del Centro di Coordinamento RAEE e dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.
Il rapporto evidenzia innanzitutto la necessità di migliorare il sistema di gestione, in particolar modo nel Mezzogiorno, per conseguire il raggiungimento degli obiettivi europei: avvio a riciclo entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035) e smaltimento in discarica fino ad un massimo del 10% entro il 2035. Nel 2022 la produzione nazionale dei rifiuti urbani si è attestata a 29,1 milioni di tonnellate, in calo dell’1,8% rispetto al 2021. Mentre la percentuale di raccolta differenziata ha raggiunto il 65% (+1,2 punti rispetto al 2021) con una crescita in tutte le macroaree del Paese, la percentuale di riciclaggio è stata pari a circa il 49%. Permane dunque un’ampia forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e i tassi di effettivo riciclaggio, che peraltro tende negli ultimi anni ad allargarsi: ciò a riprova del fatto che, oltre al prioritario ecodesign per favorire la riciclabilità di materiali ed imballaggi, la raccolta differenziata, pur rappresentando uno step di primaria importanza, deve garantire qualità ed essere accompagnata dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico.
I NUMERI DEL SETTORE, FATTURATO E SPESA
Nel 2022 il fatturato del settore (considerando un campione di 439 aziende) ha raggiunto circa 13 miliardi di euro, equivalente a circa lo 0,7% del PIL, impiegando più di 86mila addetti diretti. Le imprese che gestiscono gli impianti sono quelle che raggiungono le migliori performance economiche, come confermano anche i dati del valore aggiunto per addetto (circa 402mila euro), mentre le aziende che si limitano alla gestione della raccolta registrano un livello di produttività più basso (57mila euro per addetto). Allo stesso modo, le aziende con fatturato più alto (oltre i 100 milioni di euro) ottengono le performance economico-finanziarie migliori. Il Mezzogiorno continua a presentare un significativo deficit impiantistico che non consente la corretta chiusura del ciclo, contribuendo al differenziale di spesa per il servizio di igiene urbana. A causa del maggiore costo principalmente sostenuto per il trasporto dei rifiuti verso impianti fuori Regione ed esteri, il Sud registra la Tari più alta del Paese con 378 euro/abitante nel 2023, staccando Centro (347 euro) e Nord (284 euro).
La regolazione è una condizione necessaria per lo sviluppo del settore, tra i cui obiettivi vi è quello di superare le differenze nella qualità del servizio e nei costi sostenuti, che spesso comportano una combinazione di spese più elevate e qualità inferiore in diverse zone del Paese. Il metodo tariffario definito dall’autorità contribuisce a questo scopo garantendo trasparenza nei costi, certezza nella remunerazione degli investimenti, protezione dei consumatori dalle inefficienze della programmazione e valorizzazione dei territori che accettano soluzioni impiantistiche adeguate. Per il presidente di Fondazione Utilitatis, Mario Rosario Mazzola, “servono regole certe che obblighino le aziende, con un corretto sistema di premi e penalità, a rendere più efficiente la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti e a garantire ai cittadini e alle città servizi migliori. Nei rifiuti, così come avviene anche nel settore idrico e negli altri servizi a rete, il percorso deve essere quello di fornire un servizio di maggiore qualità e più omogeneo sul territorio nazionale e, in tal senso, ARERA svolge un ruolo fondamentale nel tracciare la strada”.
IL DEFICIT IMPIANTISTICO: RIFIUTO ORGANICO E FRAZIONE INDIFFERENZIATA
L’aumento della raccolta differenziata ha determinato, negli anni, una crescente richiesta di nuovi impianti di trattamento ma non tutte le regioni ancora dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti. Secondo una stima di Utilitalia, sulla base dei dati Ispra del rapporto 2023 (con dati 2022), mentre il Nord del Paese (anche se non in tutte le regioni) e la Sardegna dispongono di un sufficiente parco impiantistico, il Centro, il Sud peninsulare e la Sicilia soffrono già oggi di un deficit che costringe ad esportare i rifiuti verso il nord e all’estero. Questa situazione, verosimilmente, si aggraverà nei prossimi anni con l’atteso sviluppo delle raccolte differenziate nelle zone oggi in ritardo; ciò porterà alla produzione di maggiori quantità di rifiuti organici e di scarti che, unitamente alle frazioni residue, dovranno essere trattate in impianti di recupero energetico al fine di mantenere il ricorso allo smaltimento in discarica al di sotto del 10%.
Per quanto riguarda l’organico dall’analisi emerge che, sulla base dell’attività degli impianti esistenti e di quelli di recente o prossima attivazione, il Paese al 2035 avrà un fabbisogno di circa 1 milione di tonnellate, in riduzione rispetto alle stime precedenti. Tale fabbisogno è distribuito in maniera non omogenea: il Nord infatti presenterà un’offerta superiore alla domanda (consentendo di colmare parte del deficit delle altre macroaree geografiche) e la Sardegna sarà autosufficiente, mentre il Centro, il Sud peninsulare e la Sicilia presenteranno un deficit impiantistico.
Per quanto concerne invece il trattamento dei rifiuti residui non riciclabili, lo scenario stimato al 2035 mostra come il fabbisogno del Paese sarà di circa 2,5 milioni di tonnellate e che tutte le macroaree presenteranno un deficit impiantistico. Mentre per il trattamento dei rifiuti organici si registra l’aumento di nuove capacità installate, meno confortanti sono invece le previsioni per il recupero energetico: al momento non risultano progetti di rilievo in corso con l’esclusione dell’impianto di Roma, per il quale è in corso la gara per la sua costruzione e gestione, che di fatto consentirebbe di dimezzare il fabbisogno della macroregione Centro e di circa un quarto quello nazionale. “Il Green Book – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. Si tratta di tre elementi fondamentali per la piena affermazione dell’economia circolare. A tal proposito le aziende associate a Utilitalia, grazie anche ai fondi del PNRR, sono adesso impegnate a continuare nel processo di potenziamento e miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata nonché realizzare impianti innovativi in filiere strategiche come la frazione organica, i tessili e i RAEE”.
L’IMPORTANZA CRESCENTE DELLE MATERIE PRIME CRITICHE
Per favorire la transizione ecologica, nei prossimi anni si prevede un aumento esponenziale della domanda di materie prime critiche, di fondamentale importanza per l’industria europea, ma esposte a un rischio più elevato di approvvigionamento, anche a causa del difficile scenario geopolitico. Lo sviluppo di filiere per il recupero di materie prime critiche e strategiche è fondamentale per contribuire a garantire la sicurezza nell’accesso alle risorse: gli impianti rinnovabili (fotovoltaici, eolici e i sistemi di accumulo ad essi associati) che nei prossimi anni andranno adecommissioning (circa 400 mila tonnellate di rifiuti provenienti solo dal fotovoltaico al 2035), rappresentano una vera e propria miniera urbana.
Da questo punto di vista il corretto riciclo dei RAEE può rappresentare un’opportunità per ridurre la dipendenza da Paesi terzi. Tuttavia, nel 2023, la raccolta nazionale complessiva dei RAEE proveniente dai nuclei domestici si è attestata a circa 349mila tonnellate, in calo del 3,1% rispetto al 2022. I livelli di raccolta, pari a circa 6 kg per abitante, sono ancora lontani dagli obiettivi stabiliti dall’Europa (12 kg per abitante) e non consentono di incidere sull’economicità del recupero di materie prime critiche. Visto il loro valore strategico e le difficoltà nell’approvvigionamento di tali materiali, appare indispensabile potenziare la raccolta che sembra essere il vero volano di sviluppo della filiera e per garantire gli investimenti necessari alla completa estrazione della catena del valore di tale flusso. Per fare ciò occorre rivedere i meccanismi di finanziamento della raccolta da parte degli schemi di responsabilità estesa del produttore.
La crescente domanda di beni di consumo e la necessità di efficientare l’impiego di risorse e di materiali nella produzione rende evidente l’importanza del riciclo, del recupero e re-impiego di Materie Prime Secondarie (MPS). A tal proposito, Utilitalia ed Enea hanno realizzato un progetto per valutare il risparmio energetico associato all’utilizzo di MPS rispetto alla materia prima vergine: l’analisi LCA, effettuata secondo l’approccio “from cradle to market”, ha dimostrato che l’utilizzo di MPS comporta un vantaggio in termini di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni di CO2. La valorizzazione del risparmio energetico e delle emissioni tramite Titoli di Efficienza Energetica Circolare (TEEC) e crediti di carbonio (3C) renderebbe le Materie Prime Secondarie più competitive, incentivando una più efficiente domanda dei materiali e migliorando la raccolta e il riciclo dei rifiuti. Stimolando la creazione di un mercato adeguato delle MPS e valorizzando i benefici ambientali, questo meccanismo potrebbe, inoltre, favorire l’infrastrutturazione industriale, spingendo le imprese verso modelli di approvvigionamento virtuosi.