- Iniziativa non necessaria, dunque da respingere
Ogni anno disperdiamo 10 milioni di tonnellate di plastica in mare. Solo il 37% della plastica da imballaggio in Europa è riciclata, nonostante decenni di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) che dovrebbe sostenere il recupero della stessa a fine vita e la produzione di imballaggi cresce più velocemente della capacità di riciclo. Tanto che, anche prescindendo dalla iniziativa UE, le stesse Nazioni Unite si sono fatte promotrici di un “Global Plastic Treaty” (in discussione proprio in questo periodo) per affrontare tutte le criticità legate a produzione, immissione al consumo, gestione a fine vita e dispersione nell’ambiente del monouso in plastica. - Iniziativa solo incentrata sul riuso
È vero il contrario, come attesta autorevolmente anche la risposta ufficiale inviata recentemente dalla Commissione Europea al Parlamento, a commento e controdeduzione del parere negativo sulla iniziativa europea. La proposta della Commissione europea, infatti, promuove prima di tutto il riciclo: il nuovo Regolamento vuole aumentare il tasso di riciclo promuovendo il “design per il riciclo”, incrementando l’uso di contenuto riciclato negli imballaggi, armonizzando le varie normative per rendere più facile riciclare e introducendo i sistemi di Deposito Cauzionale (DRS), che si stanno mostrando fondamentali per
massimizzare il riciclo di elevata qualità. Non a caso, i network industriali europei del settore (come Plastics Recyclers Europe, ma anche UNESDA – i produttori di bevande gassate – NMWE – gli imbottigliatori di acque minerali), hanno a più riprese espresso sostegno alla iniziativa UE, che viene vista come la roadmap per consolidare le filiere del riciclo, assicurare circolarità al settore, ridurre le inefficienze, garantire gli approvvigionamenti di materiale riciclato, e rendersi indipendenti dalle importazioni di materie prime da altri continenti, necessità sempre più a rischio nell’attuale crisi globale da scarsità delle risorse. Ma anche il riuso deve avere il suo ruolo: va ricordato che esiste una gerarchia dei rifiuti stabilita dalla Direttiva europea del 2008, che mette al primo posto la riduzione dei rifiuti, al secondo il riuso e solo al terzo posto il riciclo. Il vero “Piano A” per la sostenibilità sono riduzione e riuso, che minimizzano il prelievo di risorse e consentono di sviluppare nuovi modelli operativi ed economici in grado di generare valore aggiunto e occupazione con la stessa quota di risorse: passando dunque dal paradigma dello “estrarre valore” dal Pianeta (con la necessità di smaltire e una inevitabile quota di dispersione materiali a fine vita) al “Produrre valore” usando sempre la stessa quota di risorse. - L’Italia rappresenta un’eccellenza sul riciclo, non c’è bisogno di iniziative ulteriori, tantomeno sul riuso
È vero che l’Italia ha fatto passi in avanti sul riciclo, ma è vero anche che mostra criticità che gli attuali modelli di produzione e consumo hanno generato in tutti i Paesi: siamo infatti ancora attorno al 50% di plastica da imballaggio non riciclata, che dunque finisce in discarica, negli inceneritori (opzione ancora peggiore, in quanto genera gas serra e aggrava l’impronta ambientale complessiva della filiera) o viene dispersa nell’ambiente. Se pensiamo ai soli contenitori di bevande, in Italia, ogni anno, 7 miliardi tra bottiglie e lattine, 120 pezzi a persona, sfuggono alla causa del riuso e riciclo, una cifra che potrebbe essere drasticamente ridotta grazie alle varie misure previste dalla proposta di Regolamento UE, a partire dai sistemi di deposito cauzionale (DRS). I cosiddetti DRS hanno dimostrato, nei 13 paesi europei dove sono attualmente applicati, tra cui la Germania, di portare a un recupero degli imballaggi superiore al 90%. Oggi, in Italia, solo una quota marginale del PET viene utilizzato per produrre altre bottiglie, il resto finisce invece in filati e prodotti vari di qualità inferiore e difficilmente riciclabili a loro volta, il che comporta la necessità di estrarre nuove materie prime per produrre nuovamente bottiglie. - Iniziativa ideologica, non sostenuta da evidenze scientifiche
È bene ricordare che questo Regolamento nasce dopo una consultazione con più di 800 organizzazioni e molteplici incontri, protrattisi per più anni, a cui hanno partecipato anche esperti dei vari Stati membri. Sono stati compiuti studi affidati a esperti riconosciuti per valutare l’impatto delle decisioni prese, non solo sotto il profilo ambientale, ma anche economico e occupazionale. Le stime della Commissione Europea ci dicono che le misure proposte dovrebbero ridurre entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra derivanti dagli imballaggi a 43 mln di tonnellate rispetto a 66 mln di tonnellate di emissioni che verrebbero liberate a legislazione invariata. Il consumo di acqua si ridurrebbe di 1,1 mln di metri cubi. I costi dei danni ambientali per l’economia e le società si ridurrebbero di 6,4 mld di euro. - Verrebbero penalizzate circa 800.000 aziende attualmente attive nel settore degli imballaggi con oltre 6,3 mln di dipendenti e un fatturato di circa 2.000 mld di euro
Anzitutto, non tutte le aziende e i lavoratori del settore sarebbero toccati dalle misure del nuovo Regolamento. Poi, come per tutte le evoluzioni della politica economica e industriale, non si tratta di chiudere aziende e tagliare posti di lavoro, ma di aprirne di più in settori contigui (ad esempio imballaggi meglio riciclabili e progressiva crescita dei servizi incentrati sul riuso). Dalle nuove misure, infatti, la Commissione europea si attende (confortata da centinaia di pagine di valutazioni sviluppate nella Valutazione Strategica) la creazione di oltre 600.000 posti di lavoro e risparmi per imprese e consumatori. Se il governo italiano e il nostro settore industriale decideranno di non seguire il processo di transizione ecologica in corso, sarà inevitabile che gli spazi di mercato, che si apriranno sui nuovi modelli di produzione e consumo, verranno man mano occupati da operatori di paesi dove già da tempo, e convintamente, si opera su strategie e pratiche di riduzione e riuso. - È sbagliato vietare gli imballaggi monouso, compresi quelli impiegati per uso alimentare
Uno degli imballaggi messi giustamente al bando dal Regolamento riguarda il monouso per frutta e verdura fresca per meno di 1,5 kg (con eccezioni, peraltro, laddove l’imballaggio sia necessario a preservare l’integrità del prodotto, il che dimostra ulteriormente quanto le contestazioni alla proposta siano pretestuose). Oggi produciamo 1,2 miliardi di vaschette in plastica monouso per imballare frutta e verdura e questo numero è in costante crescita. Si tratta di confezioni spesso non necessarie e non riciclabili che creano un chiaro danno all’ambiente. Alcuni paesi europei, come Francia e Spagna, hanno già introdotto leggi che ne limitano l’immissione sul mercato e va considerato seriamente il fatto che esistono alternative sostenibili come, ad esempio, le retine in lino. Restrizioni sono previste anche per bustine monodose per condimenti e salse, ma anche per flaconi di saponi e shampoo sotto una certa dimensione: questi provvedimenti sembrano recepire anche l’orientamento del mercato, che ritiene importante seguire questa direzione e ne ravvede una convenienza anche economica. - L’adozione di un Regolamento non lascia margine di manovra ai singoli Stati membri, meglio una Direttiva
La Commissione spiega di aver scelto la formula del Regolamento proprio perché in questo comparto le Direttive, in particolare quella recente sulle plastiche monouso, sono spesso state recepite con grandi variazioni di interpretazione e applicazione tra i diversi Paesi UE, andando a inficiare il conseguimento degli obiettivi dichiarati: gli Stati membri hanno utilizzato ognuno un approccio diverso con il risultato di quadri normativi disomogenei, che compromettono l’efficacia di politiche comuni e pratiche industriali armonizzate, per creare un’economia circolare. Sono state le stesse organizzazioni di settore consultate in fase di stesura del Regolamento a chiedere di armonizzare le varie misure. Favorevole all’introduzione dell’atto giuridico del Regolamento è, ad esempio, anche l’Associazione Europea di Produttori di Materie Plastiche “Plastics Europe”. L’introduzione di prescrizioni comuni per tutti gli operatori del mercato dovrebbe assicurare, infine, la certezza del diritto e ridurre la distorsione della concorrenza, favorendo investimenti e iniziative imprenditoriali armonizzate e allineate con la necessità di massimizzare la circolarità del settore nell’uso delle risorse.
Regolamento imballaggi, da Marevivo e Zero Waste un documento di “fact-cheking” sulla posizione di governo e industria italiani
Riceviamo e pubblichiamo un comunicato congiunto dell'associazione Marevivo e della rete Zero Waste Italy, che in sette punti affronta le principali critiche mosse da governo e industria italiani alla proposta del nuovo Regolamento imballaggi europeo, attualmente in discussione presso le istituzioni comunitarie. "Un facy-checking per sfatare tutte le narrazioni distorte generate in Italia sulla PPWR" dicono gli ambientalisti