Recovery Plan, Greenpeace al governo: ‘Basta soldi a chi brucia il pianeta’

L'associazione lancia una chiara richiesta al governo Conte: "Questi soldi devono tutelare le persone, i lavoratori e le lavoratrici, le piccole e medie imprese e non le grandi multinazionali inquinanti, responsabili dell’emergenza climatica"

Questa mattina attivisti e attiviste di Greenpeace Italia hanno aperto uno striscione da Ponte Sant’Angelo, a Roma, per lanciare una chiara richiesta al governo italiano e al Presidente del Consiglio Conte: “Le persone e il Pianeta prima dei profitti”. Questo il messaggio dell’organizzazione ambientalista, fortemente preoccupata dal fatto che una parte importante dei fondi europei destinati alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica possa finire a finanziare piani dalla dubbia utilità promossi da realtà annoverabili tra le responsabili dell’emergenza climatica in corso, come Eni.
 
«Con il Recovery plan si sta decidendo sul futuro di tutte e tutti noi», dichiara Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. «Questi soldi devono servire a tutelare le persone, i lavoratori e le lavoratrici, le piccole e medie imprese e non le grandi multinazionali inquinanti, responsabili dell’emergenza climatica i cui devastanti impatti sono visibili in questi giorni in Italia. Il governo smetta di dare soldi pubblici a chi brucia il Pianeta».
 
Green solo a parole, i progetti del governo di cui abbiamo notizia rischiano di aumentare, e non risolvere, l’emergenza climatica e ambientale. Ad esempio, è necessario e urgente una reale rivoluzione energetica, che viri con convinzione sulle fonti rinnovabili, creando al contempo nuovi posti di lavoro e vantaggi economici. Il governo invece parrebbe intenzionato a finanziare progetti, per diversi miliardi di euro, come quello di Cattura e stoccaggio di CO2 (CCS) a Ravenna, proposto da Eni. Un investimento cospicuo su una tecnologia fino ad ora fallimentare, onerosa dal punto di vista economico e che serve solo per poter continuare a estrarre gas fossile. Combustibile che, come ormai ben noto in letteratura scientifica, non è meno pericoloso del petrolio per il clima del Pianeta.
 
«Finanziare con soldi pubblici progetti per continuare a bruciare gas fossile, come il CCS a Ravenna, significa gettare benzina sul fuoco dell’emergenza climatica», continua Giannì. «Il governo chiarisca una volta per tutte se ha a cuore le sorti del Pianeta o il profitto delle grandi aziende. I soldi del Recovery plan devono essere spesi per la tutela della salute, dei diritti, dell’educazione e dell’ambiente», conclude.
 
In contemporanea, a Bruxelles, attiviste e attiviste di Greenpeace hanno fatto volare un pallone aerostatico con il messaggio “Su che Pianeta vivete?”, destinato all’Unione europea. In queste ore, alla vigilia del quinto anniversario dalla firma degli Accordi di Parigi, inizia una due giorni di Consiglio europeo che vedrà tra i temi all’ordine del giorno proprio i fondi per la ripartenza e i nuovi obiettivi climatici al 2030 dell’Unione.
 
Nelle prossime settimane si deciderà una bella fetta del futuro dell’Unione europea e su questo l’Italia non deve lasciare spazio a posizioni ambigue: non può scendere a compromessi sullo Stato di Diritto come vorrebbero Polonia e Ungheria, e deve puntare a un taglio delle emissioni climalteranti di almeno il 65% senza fare ricorso a trucchi e metodi di compensazione come i cosiddetti “pozzi di assorbimento” del carbonio.