Realizzare una gestione dei rifiuti senza produrre emissioni nocive per l’ambiente nella chiusura del ciclo è un obiettivo inseguito ma non soddisfatto dalle tecnologie maggiormente diffuse oggi. Ma la sfida che vede impegnato il nostro tempo è proprio quella di contribuire anche in questo settore al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica e di fare investimenti che non danneggino l’aria, l’acqua, il suolo, cioè l’ambiente in cui viviamo. Eppure tecnologie più avanzate di trattamento delle diverse tipologie di rifiuti non riciclabili, che non inviano in atmosfera nessun tipo di emissioni e non rilasciano effluenti dannosi che inquinano i corsi d’acqua o la superficie dei terreni, ci sono.
Senza rimanere nel recinto limitato dei confini europei è sufficiente dare un’occhiata a degli impianti operativi da tempo in USA per trattare i rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, ad Arlington nello stato dell’Oregon per i rifiuti urbani, a quelli costruiti a Taiwan per i rifiuti ospedalieri, ed infine a quelli operativi a Kawasaki in Giappone, che trattano rifiuti pericolosi come i PCB e l’amianto. Tra non molto si potranno vedere in funzione impianti costruiti con le stesse tecnologie già applicate all’estero anche in alcune regioni d’Italia come il Lazio, l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia.
L’idea di base su cui poggiano le diverse soluzioni impiantistiche, dalle più semplici alle più complesse, è quella di assemblare diverse tecnologie industriali già esistenti al fine di realizzare una gestione dei rifiuti che offra soluzioni efficienti, ecosostenibili ed idonee a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica. Quindi l’impianto o, per meglio dire, la piattaforma, unisce tecnologie innovative e tradizionali che lavorano in sinergia allo scopo di realizzare una gestione circolare dei rifiuti e dei materiali da trattare. La tecnologia è selezionata in relazione ai materiali in ingresso. Se la piattaforma è alimentata con prodotti come la FORSU, le deiezioni animali o le biomasse, la tecnologia usata è un processo a flusso plasmatico, mentre nel caso di alimentazione con rifiuti pericolosi e sanitari infetti viene utilizzata l’Elettro Dissociazione molecolare al plasma termico. L’impiego dell’uno o dell’altro processo, o di entrambi, dipende dalla natura e composizione dei rifiuti da trattare e dagli obiettivi che ogni progetto intende raggiungere. Una delle grandi opportunità data da queste piattaforme è la possibilità di gestire insieme agli altri materiali anche i fanghi di depurazione. Dalla piattaforma non escono emissioni, né rifiuti liquidi, né solidi, mentre lo scarto è unicamente un materiale basaltico utilizzabile per opere stradali o arredo urbano.
Un’altra caratteristica molto importante ai fini della sostenibilità ambientale è data dalle dimensioni modulari dell’impianto che consentono la collocazione vicino ai luoghi di produzione dei rifiuti e di evitare pertanto l’inquinamento prodotto da trasporti a lunga distanza. Soprattutto la modularità degli impianti consente di realizzare la gestione circolare dei rifiuti all’interno di ogni regione in cui vengono prodotti e di rispettare il principio di prossimità previsto dall’articolo 182-bis del d.lgs. n.152 del 2006 e s.m.i.., che esclude la possibilità per le Regioni di stipulare accordi per l’individuazione di macroaree.
All’interno della piattaforma i rifiuti trattati sono trasformati in syngas utilizzabile per produrre energia elettrica oppure trasformato in combustibile come biometano, o idrogeno. Tutto il processo si autosostiene utilizzando una piccola parte dell’energia generata dalla trasformazione circolare dei rifiuti. Gli impianti possono essere progettati per lavorare quantitativi che vanno da 4 ton. a 100 -125/ e più e si ripagano in due anni. Se paragoniamo i quantitativi di energia elettrica prodotta dagli inceneritori con recupero energetico con quelli prodotti dalle tecnologie sinteticamente descritte, le rese sono indubbiamente superiori per quest’ultime. Solo un esempio: un impianto di gassificazione (con o senza dissociazione al plasma) per 30.000t/anno di rifiuti in ingresso, produce 60.000.000 di Syngas/biogas Sm3/anno mentre l’inceneritore non lo produce. Il primo impianto produce 30.000.000 di Sm3/anno di Biometano mentre il secondo non lo produce.
Infine l’energia elettrica prodotta dal primo impianto è 30.000 MWh/anno contro i 16.000MWh del secondo. Se poi consideriamo gli scarti, l’inceneritore con recupero energetico produce 7.500t./anno di ceneri mente le piattaforme producono 1.500t. /anno di non rifiuti perché, come già detto, si tratta di un materiale basaltico riutilizzabile. Infine l’inceneritore con recupero energetico produce 30.000.000 Sm/3 di emissioni in atmosfera contro zero. Con le tecnologie innovative descritte che il riciclano il 100% dei rifiuti, i target europei per il 2035 potranno essere facilmente raggiunti ed anche superati. Così pure l’obiettivo 10% discarica al 2035 è raggiungibile senza problemi.
Inoltre non si rende necessaria la creazione di macroaree tra regioni che sono state previste nel PNGR (Programma Nazionale Gestione Rifiuti) per lo smaltimento di certe tipologie di rifiuti negli inceneritori fuori regione. Il PNGR è uno dei pilastri della “Strategia Nazionale per l’Economia Circolare”, una riforma che è inserita nel PNRR. Come rimarcato dalla sottosegretaria al MITE Vanna Gavia, “il Programma nazionale è uno strumento importante per uniformare il Paese su una strategia corretta di gestione dei rifiuti, grazie ad un’impiantistica moderna e diffusa capillarmente sul territorio. Trasformiamo i rifiuti da problema a risorsa”. Perché non cogliere allora l’opportunità data dalle nuove tecnologie per la chiusura del ciclo dei rifiuti, tra l’altro prodotte da ditte italiane, (alcune di queste sono già state descritte nelle osservazioni al PNGR dalla sottoscritta) per imprimere una svolta decisiva allo sviluppo dell’economia circolare e per decarbonizzare un settore importante per il nostro Paese come quello della gestione dei rifiuti?