Le nuove limitazioni di ingresso all’area B di Milano – che coincide con la maggior parte del territorio cittadino – stanno suscitando un putiferio. Benché preannunciate da mesi, se non anni, e addolcite da alcune deroghe, le nuove limitazioni colpiscono una percentuale significativa di persone abituate a entrare con automezzi diesel a Milano.
La protesta – per ora soltanto via social e attraverso una raccolte firme – è esplosa a ridosso del 3 ottobre, data iniziale dei provvedimenti. (Come se fossero stati decisi il giorno prima. Evidentemente si contava sulle solite proroghe). È dal 2018 che Sindaco e Giunta Comunale avevano deciso di fermare l’ingresso dei diesel nell’area B durante l’orario lavorativo 7,30/19,30 dal lunedì a venerdì.
Non è facile accertare precisamente quante sono le persone messe in difficoltà dal provvedimento. (Citando Quattroruote: 47 mila veicoli sui 403 mila che entrano nella Area B. Secondo Automobil Club: 165 mila su 650 mila. Nel primo caso, il 13%, nel secondo caso il 24%.) Il provvedimento milanese segue la scia delle Low Emission Zones delle principali città europee, e di analoghi provvedimenti più o meno imminenti in particolare contro i diesel.
Regione Lombardia come istituzione, e i partiti del centrodestra a livello locale si mobilitano contro il provvedimento, non è chiaro se contrari in assoluto o per prorogarlo di un anno, cosa che peraltro era già avvenuta ai primi di ottobre del 2021. L’argomento più forte della protesta è quello di una iniquità tra gli abitanti della città che possono usufruire di un miglior servizio pubblico, con tariffe e abbonamenti più bassi, e i più disagiati abitanti dell’hinterland che hanno comunque bisogno di lavorare a Milano o di frequentarla.
Per la verità una parte (non so quanta) degli automobilisti o furgonisti che gravitano attorno a Milano si sono attrezzati in tempo prendendo un veicolo nuovo o un usato a benzina e, adesso, si sentirebbero forse presi in giro da una nuova proroga.
Manca anche uno studio preciso sulle necessità prioritarie di chi debba rinunciare all’auto per via di questi provvedimenti: quanti sarebbero soddisfatti o almeno facilitati sostanzialmente da tariffe del Trasporto pubblico più basse (parificazione tra urbano ed extraurbano)? Quanti avrebbero invece prioritariamente bisogno di un rafforzamento del trasporto pubblico di superficie ai confini dell’area B o per connettere i comuni col servizio ferroviario metropolitano? Quanti, invece, per ragioni di trasporto cose, hanno comunque bisogno di cambiare il mezzo di trasporto privato?
Forse l’Agenzia per la Mobilità e la Città metropolitana – se non ce l’hanno già- dovrebbero produrre questo studio. Quanto costerebbe coprire queste esigenze con denaro pubblico e da dove lo si tira fuori?
Tralasciando per un attimo le proposte più generali e nazionali (prelievo di extraprofitti da Eni e cose simili) ci si potrebbe concentrare sulle risorse locali. Ed ecco che potrebbe sbucare fuori una possibilità offerta dalle nuove telecamere di area B:un pedaggio moderato, ma pur sempre un pedaggio, per entrare in area B. Un pedaggio anche solo di un euro che con gli attuali flussi di traffico darebbe almeno cento milioni l’anno. Farebbe ridurre, anche se non di molto, il traffico.
Con lo strumento del pedaggio si potrebbero anche alzare leggermente (ma sottoposte a pedaggio) le disponibilità di ingresso previste per questo primo anno per i diesel (50 ingressi o 2mila chilometri) e si coinvolgerebbero, ma in modo leggero, anche i veicoli a benzina nel raccogliere risorse economiche per ridurre i disagi. Va comunque ricordato che la transizione ecologica e la transizione a una mobilità sostenibile non possono avvenire senza provocare almeno qualche scossone e qualche disagio. Tornare indietro sarebbe ancora peggio.