La filiera italiana della bioplastica è in allarme a causa della diffusione dei prodotti in plastica convenzionale, apparentemente riutilizzabili, come piatti, posate, bicchieri o vaschette per la gastronomia. Questi prodotti, però, si rivelano del tutto simili a quelli usa e getta di un tempo e che sono stati vietati dalla direttiva Sup. Per affrontare questa situazione, BIOREPACK, Assobioplastiche e CIC hanno chiesto interventi specifici, volti a un maggior controllo e a una migliore protezione del settore. Accanto a ciò, sottolineano, “servono interventi capaci di riconoscere il valore strategico dell’intera filiera”. Anche perché il quadro è reso più complesso da quanto accade sugli scenari internazionali: dalle direttive europee potenzialmente in grado di azzoppare una filiera di eccellenza alle azioni di grandi Paesi che puntano ad affermarsi nel settore anche attraverso pericolosi meccanismi di dumping.
“Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista”, spiega Marco Versari, presidente di BIOREPACK. “Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità e, così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.
“Se Paesi come Stati Uniti e Cina hanno compreso le opportunità di questo mercato iniziando ad agire su più fronti, occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale. Di fronte a queste prospettive rilanciamo, ad esempio, la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione ATECO/NACE. Altrettanto doveroso sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”, ha sottolineato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche.
C’è poi tutto l’aspetto, per nulla secondario, delle esternalità negative sull’ambiente, ben presenti a chi si occupa quotidianamente del riciclo organico delle bioplastiche compostabili: “I manufatti in plastica tradizionale rappresentano la maggiore quantità di frazione estranea che ci troviamo nei nostri impianti di compostaggio”, afferma Lella Miccolis, presidente del CIC. “Questi prodotti infatti ‘sporcano’ la raccolta dell’umido domestico e così facendo diminuiscono la quantità di compost che è possibile produrre nei nostri impianti. È bene ricordare che il compost è una valida alternativa figlia dell’economia circolare che aiuta a riportare fertilità ai terreni agricoli senza il bisogno di usare i concimi di origine chimica”.