Non è passato inosservato lo scorso 6 luglio il grido d’allarme lanciato dalla filiera della bioplastica italiana, che riguarda il monouso compostabile, alle prese con un problema individuato e sottolineato a più riprese anche da Eco dalle Città. Si tratta della diffusione sul mercato dei cosiddetti “ripiatti”, cioè piatti in plastica convenzionale definiti riutilizzabili ma in realtà del tutto simili a quelli usa e getta di una volta, messi fuori legge dalla direttiva Sup. Assobioplastiche, Biorepack e il Consorzio italiano compostatori chiedono interventi mirati, sia di maggiore controllo che di tutela del comparto.
“Basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura riutilizzabile – ha sottolineato a Roma Assobioplastiche – Un escamotage tecnico per aggirare la norma che vieta il monouso e offrire prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso”.
“Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista – ha spiegato invece Marco Versari, presidente di Biorepack – Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità e, così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.
C’è poi tutto l’aspetto, tutt’altro che trascurabile, delle esternalità negative sull’ambiente. “I manufatti in plastica tradizionale rappresentano la maggiore quantità di frazione estranea che troviamo nei nostri impianti di compostaggio”, ha detto Lella Miccolis, presidente del Consorzio italiano compostatori. “Sono prodotti che sporcano la raccolta dell’umido domestico e così facendo diminuiscono la quantità di compost che è possibile produrre nei nostri impianti”.
Le richieste della filiera
Inevitabile quindi l’appello congiunto di Assobioplastiche, Biorepack e CIC: sul fronte del contrasto all’illegalità occorre ripensare e rafforzare il meccanismo dei controlli, che vedono già oggi impegnate le diverse Forze dell’Ordine.
Ma accanto a ciò, sottolineano, “servono interventi capaci di riconoscere il valore strategico dell’intera filiera. Anche perché il quadro è reso più complesso da quanto accade sugli scenari internazionali: dalle direttive europee potenzialmente in grado di azzoppare una filiera di eccellenza alle azioni di grandi Paesi che puntano ad affermarsi nel settore anche attraverso pericolosi meccanismi di dumping”.
“Se Paesi come Stati Uniti e Cina hanno compreso le opportunità di questo mercato iniziando ad agire su più fronti, occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale. Di fronte a queste prospettive rilanciamo, ad esempio, la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione ATECO/NACE. Altrettanto doverosa sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”, ha rimarcato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche.