Piano Rifiuti Umbria, associazioni ambientaliste: “L’incenerimento dei rifiuti si contrappone ai principi dell’economia circolare”

In un lungo comunicato le associazioni ambientaliste criticano il piano rifiuti regionale: con il nuovo modello di raccolta proposto si avrà un marcato peggioramento della qualità dei materiali raccolti nel territorio e una concreta e preoccupante probabilità di non raggiungere l’obiettivo del 65% di riciclo entro il 2035. Più nello specifico, l'opposizione all'incenerimento: "Mentre in altri paesi europei si stanno adottando moratorie e/o piani di decommissioning, ovvero di spegnimento progressive degli inceneritori, in Umbria se ne prevede la messa in funzione nel 2028-2030, in palese e pericolosa controtendenza rispetto al resto d’Europa"

Piano Rifiuti Umbria

Premesso che la Giunta Regionale, nella seduta del 15 giugno 2022, con Deliberazione n. 600, ha preadottato il Piano Regionale per la Gestione Integrata dei Rifiuti, le sottoscritte Associazioni e Comitati, sono a presentare le seguenti osservazioni.

La proposta di pianificazione contenuta nel nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti, preadottato dalla Giunta, è del tutto inadeguata ai tempi, disattende completamente le esperienze e gli esempi delle realtà che si sono dimostrate più virtuose in materia di gestione dei rifiuti, risulta essere persino peggiore di quella del 2009 e rischia di danneggiare pesantemente la nostra Regione. Il documento, oltre a riesumare una soluzione, quella della creazione di un nuovo inceneritore, del tutto obsoleta e anacronistica, mette addirittura in discussione le pratiche virtuose che numerosi Comuni dell’Umbria hanno realizzato.

La scelta di costruire in Umbria l’inceneritore con recupero di energia non è la soluzione adeguata per le seguenti ragioni:

1) L’incenerimento dei rifiuti si contrappone ai principi dell’economia circolare. Infatti attuare un modello di economia circolare vuol dire cercare di mantenere materiali e risorse nel sistema, nel loro status più elevato, il più a lungo possibile.
Questo modello di sviluppo è diventato l’asse portante della politica europea perché è in atto una crisi globale dovuta alla scarsità delle risorse che vede l’Europa in svantaggio competitivo, perché importa la gran parte delle materie prime necessarie al proprio metabolismo industriale e produttivo. La strategia dell’economia circolare è una strategia di efficientamento economico per creare vantaggi economici e vantaggi occupazionali ed è in linea con gli obiettivi di sostenibilità ambientale.
L’incenerimento dei rifiuti, come il co-incenerimento e la discarica sono opzioni da minimizzare perché rappresentano una perdita netta di materiali e risorse dal sistema.

C’è un cambiamento di scenario a livello europeo certificato dal fatto che la costruzione di inceneritori e il co- incenerimento non possono essere finanziati con i fondi del Recovery Fund o Next Generation Eu, perché soggetti al principio del DNSH “non creare un danno alla Economia circolare”, il che conferma che l’incenerimento non fa parte dell’Economia Circolare, ed anzi lavora contro di essa.

2) Il recupero energetico da incenerimento, contrariamente a quanto afferma la giunta regionale, non è limitato alla sola frazione residuale, non riciclabile, ma si realizza soprattutto utilizzando materiali riciclabili, che non vengono intercettati con i sistemi di raccolta differenziata. Come ci mostrano le analisi merceologiche effettuate a campione da Arpa Umbria, circa il 90% dei materiali che compongono il rifiuto secco residuo sono riciclabili. Dobbiamo cercare quindi di potenziare la raccolta differenziata e intercettare queste tipologie di materiali, per avviarli a riciclo.

3) Dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico, produrre energia tramite incenerimento si dimostra essere un fardello netto nel percorso verso la decarbonizzazione. Infatti, a livello europeo e nazionale, si sta facendo sempre più ricorso ad una quota crescente di energia rinnovabile e questo ha fatto sì che l’impronta carboniosa media della produzione energetica in Italia si sia ridotta negli anni, raggiungendo oggi un valore di circa 250g CO2/Kwh.

L’impronta carboniosa media prodotta dall’incenerimento dei rifiuti invece è di 700-800 g di CO2/Kwh, per tale motivo la stessa Danimarca, citata dall’Assessore Morroni quale esempio da imitare per l’Umbria, ha appena annunciato un piano nazionale di riduzione del 30% delle capacità di incenerimento. Mentre in altri paesi europei si stanno adottando moratorie e/o piani di decommissioning, ovvero di spegnimento progressive degli inceneritori, in Umbria se ne prevede la messa in funzione nel 2028-2030, in palese e pericolosa controtendenza rispetto al resto d’Europa.

4) L’inceneritore ingessa il sistema di gestione dei rifiuti perché ad oggi risulta essere la tecnologia a maggiore intensità di uso dei capitali finanziari che si ha nel panorama della gestione dei rifiuti e può garantire il ritorno degli investimenti solo con contratti di lunga durata a tonnellaggi garantiti.

I Comuni che sono collegati a tale impianto dovranno stipulare dei contratti in base ai quali dovranno conferire un certo tonnellaggio di rifiuti l’anno, altrimenti saranno soggetti al pagamento di penali come è già accaduto per i Comuni della Versilia.
Questo crea un effetto paradossale, perché i Comuni non saranno più incentivati a perseguire percorsi di riduzione, riuso e riciclo dei rifiuti, in totale contrapposizione rispetto ai principi della Economia Circolare ed alla gerarchia europea dei rifiuti.

La pianificazione e la strategia presentate con la proposta di nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti per l’Umbria sono pesantemente condizionate e penalizzate dalla volontà di realizzare un “termovalorizzatore” (i.e. inceneritore) nella nostra regione.
Infatti, la scelta di realizzare un inceneritore della capacita annua di 160 mila tonnellate non è legata alle future esigenze di smaltimento della nostra Regione, ma è subordinata ad una taglia minima atta a consentire la sostenibilità tecnica ed economica dell’impianto da realizzarsi e del suo gestore.

Da qui, risulta evidente che prima è stata decisa la capacità annua di rifiuti da avviare ad incenerimento nella nostra regione e poi si è passati a pianificare la strategia di gestione dei rifiuti, che è stata quindi subordinata alla necessità di produrre quantitativi certi di secco residuo e scarti da raccolta differenziata per alimentare tale impianto di incenerimento.

La gerarchia europea dei rifiuti, pertanto, oltre a non essere stata rispettata, come si evidenzia dagli scenari di piano, è stata fortemente danneggiata.

Il primo punto della gerarchia europea prevede di mettere in campo azioni volte alla prevenzione della produzione dei rifiuti.
In merito tale obiettivo, il muovo piano regionale prevede una riduzione complessiva di rifiuti urbani prodotti al 2035, rispetto all’anno 2020, di sole 20.000 tonnellate di rifiuti in meno, con un quantitativo di rifiuti totali da gestire di 419.702 tonnellate.

Per giustificare la previsione di leggero calo di produzione dei rifiuti, si afferma quanto segue: “le attività di Prevenzione del rifiuto e di Riuso (P&R) non trovano ancora né a livello europeo né italiano scale di applicazione così elevate tali da fornire «modelli gestionali» consolidati come quelli individuati per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti”.
Eppure nel 2018, l’AURI aveva conferito alla Società Coop E.R.I.C.A. l’incarico per la redazione del capitolo del Piano d’Ambito inerente le politiche di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti.

La suddetta società aveva prodotto un documento contenente uno scenario evolutivo che, a seguito dell’attuazione degli interventi di prevenzione e riduzione previsti da tale elaborato, prevedeva, al 2030, una produzione di rifiuti pari a circa 330.000 tonn. (30% in meno rispetto al quantitativo prodotto nel 2016).

Se confrontiamo i due elaborati, si evidenzia che, attuando il piano della società Coop E.R.I.C.A., tuttora valido, si andrebbero a produrre circa 100 mila tonnellate di rifiuti in meno rispetto alle previsioni del piano regionale, con 5 anni di anticipo.
Si sottolinea inoltre come, già le previsioni realizzate dal comitato tecnico scientifico contenute nell’aggiornamento del piano regionale siano state totalmente disattese e riviste perché sovrastimate rispetto al dato reale prodotto negli anni 2020 e 2021.

Anche il modello di raccolta dei rifiuti si prevede che subisca le seguenti modifiche:

● Il Modello d’intensità che, nel piano regionale del 2009, era caratterizzato da una raccolta porta a porta integrata secco-umido, con frequenza elevata e contenitori più piccoli come volume, verrà integrato da sistemi di raccolta stradale con sistemi ingegnerizzati per particolari conformazioni urbanistiche.

● Il Modello d’area vasta, subirà ancora più profondi cambiamenti rispetto alla pianificazione prevista nel precedente piano regionale. Da un modello porta a porta caratterizzato da frequenze di raccolta medio-basse e con contenitori per la raccolta grandi, con raccolta dell’umido di prossimità, si tornerà ad un modello di raccolta stradale caratterizzato da prevalente uso di contenitori ingegnerizzati.

La raccolta stradale verrà integrata con servizi domiciliari per utenze non domestiche ad elevato tasso di produzione.
Il piano regionale del 2009 prevedeva la progressiva sostituzione della raccolta stradale con l’estensione del porta a porta su tutto il territorio regionale; sostituzione, che, tuttavia, a causa di continui ritardi nella riorganizzazione del servizio, non è avvenuta in maniera omogenea. La nuova pianificazione sancisce, al contrario, il ritorno alla raccolta stradale!

Non si comprendono i motivi di tale sventurata scelta, anche in considerazione del fatto che il sub ambito 4, che, ad oggi, vanta i migliori risultati ottenuti in materia di gestione dei rifiuti a livello regionale, è l’unico ambito territoriale ad aver sostituito su tutto il territorio di competenza il modello stradale, con il porta a porta, e ad aver eseguito la riorganizzazione del servizio secondo la vigente pianificazione regionale, che, in tal senso si è pertanto dimostrata vincente.

Infatti, la provincia di Terni, nel 2020, ha prodotto 439 kg/ab anno di rifiuti pro capite mentre la media regionale è di 504 kg/ab anno, il sub ambito 4 è l’unico ad aver superato gli obiettivi regionali di raccolta differenziata e vanta la più bassa produzione di rifiuto secco residuo, con un pro capite, al 2020, di 125 kg/ab, contro i 170kg/ab, della media regionale.

La raccolta stradale ingegnerizzata ha gli stessi difetti della raccolta stradale tradizionale dato che non responsabilizza il cittadino, perché nessuno potrà controllare, come ad esempio è possibile fare per la raccolta porta a porta, la correttezza del rifiuto conferito da parte dell’utente. Il risultato netto, come mostrato chiaramente dalle ricerche condotte nel contesto emiliano-romagnolo (basate sui dati ufficiali regionali e che ci stupiamo non vedere considerate nelle valutazioni degli estensori del Piano!) sono produzioni specifiche più elevate, minori tassi di RD e soprattutto una qualità marcatamente inferiore delle frazioni differenziate, il che genera flussi di scarti considerevolmente superiori. La qual cosa può essere funzionale a “gonfiare” artificiosamente il tonnellaggio da avviare ad incenerimento, ma non certo alla efficienza operativa e sostenibilità ambientale ed economica del sistema regionale.

Anche in virtù dell’applicazione della tariffazione puntuale, i risultati che si otterranno dipenderanno molto dal sistema di raccolta adottato.
Con l’applicazione della tariffazione puntuale, su un modello porta a porta spinto, si ha come risultato immediato il dimezzamento del rifiuto urbano residuo e numerosi vantaggi economici come l’aumento dei proventi, la riduzione dei costi di smaltimento e l’ottimizzazione del servizio di raccolta.

Con l’applicazione della tariffa puntuale su un sistema di raccolta stradale ingegnerizzato, invece, si verificano spesso fenomeni di abbandono di rifiuti nei pressi dei cassonetti e il fenomeno della migrazione dei rifiuti indifferenziati verso altri tipi di raccolte, pregiudicando le restituzioni CONAI e i tassi di riciclo netto – su cui, rammentiamo, vanno calcolati i nuovi obiettivi come da disposizioni UE.
Il sistema stradale ingegnerizzato, infatti, non consente la responsabilizzazione diretta dell’utenza rispetto alla gestione del proprio contenitore e relativo contenuto, ed è perciò intrinsecamente incline a generare impurità a due cifre dei vari materiali raccolti, e questo viene amplificato dalle operazioni di selezione che, massimamente nel caso dell’organico (ma non solo), assieme alle impurità scartano anche molto materiale riciclabile o compostabile, come a più riprese rimarcato dal Consorzio Italiano Compostatori nelle sue ricerche, che hanno messo in risalto il fenomeno e la sua amplificazione per il “fattore di trascinamento”; ricerche che invitiamo a esaminare e considerare.

In merito a questo aspetto, si evidenzia il grave errore di valutazione riportato dal CTS, che, nel documento di aggiornamento del piano regionale, affermava che il recupero di materia ottenuto nel contesto territoriale preso a riferimento, gestito dalla Società Hera, raggiungerebbe valori superiori al 95% di quanto raccolto, per tutti i materiali. Una tale affermazione, che ci appare del tutto sfornita di prova, e in contraddizione con le già menzionate evidenze provenienti dal contesto emiliano-romagnolo, potrebbe essere suffragata solamente dalle analisi merceologiche eseguite, atte a certificare la predetta affermazione. Quindi, quale atto dovuto, ci aspettiamo che il CTS pubblichi i predetti dati e certificazioni, perché noi abbiamo ampie, ampissime evidenze del contrario.

Un’altra valutazione approssimativa e priva di fondamento è stata riportata nel documento di proposta del piano regionale laddove si afferma quanto segue: “un altro aspetto che emerge dalla lettura dei dati relativi alle raccolte differenziate è mostrato, per la sola Frazione Organica, nella figura seguente dove si osserva che all’aumentare della percentuale di intercettazione (raccolte più spinte) si contrappone, anche se più lieve, una diminuzione della qualità del rifiuto che comporta, quindi, una maggiore percentuale di scarti.”

I tecnici che hanno redatto il documento avrebbero dovuto per lo meno confrontare la qualità dei rifiuti organici con la tipologia di raccolta attivata sul territorio. Ci sono numerose analisi merceologiche realizzate da Arpa Umbria che dimostrano che, con un modello di raccolta porta a porta spinto per la frazione organica, si ha una percentuale di materiale non compostabile inferiore al 5%, con una conseguente ottima qualità del rifiuto raccolto.

Le raccolte di prossimità per la frazione organica invece hanno percentuale di scarti di oltre il 15% con una conseguente scarsa qualità. In conclusione, con il nuovo modello di raccolta proposto nel nuovo piano regionale si avrà un marcato peggioramento della qualità dei materiali raccolti nel territorio regionale e una concreta e preoccupante probabilità di non raggiungere l’obiettivo del 65% di riciclo entro il 2035. Il che, come già evidenziato, può risultare funzionale ad una strategia incentrata sulla necessità di generare flussi minimi vitali per l’incenerimento, ma non di certo ai principi di sostenibilità ambientale, ad una corretta gestione dei rifiuti, in linea con la normativa europea oltre che al nuovo modello di Economia Circolare.

5) L’inceneritore non elimina la discarica anzi, la raddoppia, richiedendo discariche sia per rifiuti non pericolosi (le ceneri pesanti o “scorie”, purché la cosa venga confermata da test di rilascio) che per rifiuti pericolosi (le ceneri volanti).
Le discariche, secondo quanto riportato nel piano regionale, riceveranno annualmente, dopo la messa in funzione dell’inceneritore, circa 30.800 tonnellate di rifiuto, a seguito di varie fasi di trattamento.

Secondo le stime effettuate nella proposta di piano, il quantitativo di rifiuto urbano indifferenziato raccolto al 2035, rispetto al 2020, decresce di sole 30.000 tonnellate circa, confermando quanto detto in precedenza ovvero che la realizzazione dell’inceneritore influenza a cascata le varie scelte strategiche, ingessa il sistema ed impedisce la pianificazione di strategie di gestione dei rifiuti in grado di minimizzare il quantitativo di rifiuti indifferenziati da avviare a smaltimento.

Durante la fase a Regime vengono avviate all’inceneritore circa 140.000 tonnellate di rifiuto derivanti dal ciclo di gestione dei rifiuti urbani.
Considerando che viene eliminata la fase di trattamento meccanico biologico (TMB) e viene avviato ad incenerimento con recupero energetico il rifiuto tal quale, indifferenziato, si evidenzia che non verrà più emessa la sola CO2 biogena, rilasciata durante la biostabilizzazione, ma verrà emessa anche tutta quella fossile, che aumenta l’impronta climalterante (con impatti marcati e negativi, in prospettiva, anche sul versante economico, visto che nell’arco temporale 2026-2031, l’incenerimento dovrà entrare nello Emission Trading Scheme e si pagherà per la CO2 fossile emessa, con una previsione di incidenza aggiuntiva, sul costo di incenerimento, di circa 50-60 Euro/t).

I rifiuti inceneriti genereranno scorie per circa il 22,5%, mentre il 5% del totale costituiranno le ceneri leggere. Ai fini del computo dell’utilizzo delle discariche nelle previsioni di piano si è considerato che per il 90% le scorie verrebbero recuperate ai fini del recupero di metalli e della produzione di aggregati artificiali mentre il restante 10% confluirebbe in discarica.

Fermo restando che non sappiamo se dal punto di vista sanitario è sicuro utilizzare, a scopo di costruzioni o per fare sottofondi stradali, materiale in cui si vanno a concentrare tutte le sostanze pericolose che erano presenti nei rifiuti che abbiamo incenerito (e ci sono evidenze del contrario), sta di fatto che, se la percentuale di recupero delle scorie è minore delle previsioni (come peraltro parrebbe da tutte le esperienze in corso!) questi rifiuti dovranno essere smaltiti comunque in discarica.

L’architrave di tutta la pianificazione regionale, che emerge dal nuovo piano regionale, è molto debole e assolutamente discutibile, in quanto, come ci aspettavamo, ruota tutta intorno all’obiettivo europeo del 10% della produzione totale di rifiuti, quale percentuale massima conferibile in discarica, da raggiungere entro il 2035, che costituisce un alibi, dietro al quale si celano scelte scellerate. Al CTS e alla Regione pertanto appaiono sfuggire gli obiettivi intermedi e il fatto che il predetto obiettivo non è a tutt’oggi definitivo, essendo oggetto di discussione a livello europeo, e di ben due votazioni già avvenute in seno al Parlamento Europeo; votazioni e richieste incluse alla Commissione UE, che fanno presagire la revisione od addirittura la abolizione (nell’ambito della “mid term revision” del Pacchetto Economia Circolare, che avverrà nei prossimi 2 anni), del Landfill Cap del 10% e una sua possibile sostituzione con un “residual waste cap” o sua espressione non più in percentuale, ma in kg/ab, il che consentirà di includere nel calcolo l’effetto delle strategie di riduzione, riuso e di aumento ulteriore della raccolta differenziata e riciclo. A fronte di questo, affrettarsi a impostare le valutazioni strategiche su un obiettivo al 2035, quando tale obiettivo potrebbe essere rivisto prima, ha tutto il sapore di “voler sfruttare l’argomento finché possibile”. Un approccio, con ogni evidenza, irricevibile. Ma l’aspetto che suscita maggiore perplessità, in termini di conoscenza approfondita del settore, è la formula fallace posta alla base della proposta: fatto 100 il totale del rifiuto, tolto il 65%, che rappresenta la percentuale minima di riciclo prevista dall’Unione Europea per il 2035, sottratto il 10% ovvero il limite di conferimento in discarica, rimane un 25% di rifiuto residuo, che, secondo tale costruzione, rappresenterebbe la percentuale da inviare ad incenerimento.

Fallace in quanto, il 65% di percentuale di riciclo netto rappresenta di fatto l’obiettivo minimo e certamente, con una raccolta porta a porta, spinta e di qualità, di qui al 2035, l’Umbria ha tutte le capacità per arrivare ad una drastica riduzione di quel 25% di rifiuti/scarti che vorrebbero destinare ad incenerimento, ponendosi di fatto in totale controtendenza con tutte le realtà virtuose e con gli altri Paesi Europei, anche quelli con maggiore presenza di inceneritori, che tanta materia sottraggono all’economia circolare, i quali stanno pertanto, come detto, rivedendo le loro strategie, eliminando progressivamente tale pratica dannosa e ormai obsoleta, con moratorie e/o piani di “decommissing” progressivi della capacità esistente.

Va anche ribadito che l’incenerimento e il co-incenerimento non sono certamente le uniche opzioni di trattamento del RUR, né le uniche opzioni che consentono di ridurne l’avvio a discarica. Esistono ad esempio impianti di trattamento meccanico biologico evoluti, comunemente denominati fabbriche di materiali e sistemi di selezione del RUR, che riescono a recuperare i materiali riciclabili presenti nell’indifferenziato, garantendo, inoltre, l’elasticità del sistema e riuscendo a trattare sia il rifiuto residuo che la raccolta differenziata.

Le associazioni riunite nel Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero e i referenti umbri di Zero Waste Italy avevano presentato, nell’aprile 2020, una dettagliata proposta di piano regionale, supportata peraltro da numerosi cittadini, associazioni e Sindaci, a cui la Regione e lo stesso CTS non hanno mai dato risposta e su cui non hanno mai inteso confrontarsi.

La nostra proposta è pensata per creare in Umbria un modello di vera “economia circolare”, che, laddove non lo si sappia, non è e non può essere sinonimo di “gestione rifiuti” (ed infatti l’incenerimento non è incluso nei modelli codificati di Economia Circolare a livello internazionale, essendo per definizione lineare e rappresentando un “leakage”, una perdita netta di materiali e risorse dal sistema); un modello che abbia tra i suoi assi portanti la riduzione della produzione dei rifiuti, il riuso, il riciclo, la riparazione e la riprogettazione e che quindi si propone di creare un contesto che favorisca la creazione di opportunità imprenditoriali e occupazionali, dove etica e profitto possano coesistere.

Ma veniamo ai numeri più rilevanti che sono quelli della produzione di rifiuti, secondo lo scenario da noi proposto. Attuando l’elaborato redatto nel 2018 dalla società Erica, su mandato dell’Auri, e prontamente messo nel cassetto, incentrato sulle politiche di prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti, si potrebbe raggiungere un obiettivo pro capite di produzione dei rifiuti di 360kg/ab/anno, già al 2030, per un totale di circa 330.000 tonnellate prodotte e una riduzione totale di rifiuti prodotti di circa il 27%, in 8 anni. Estendendo su tutto il territorio regionale il modello porta a porta spinto, con tariffazione puntuale, già al 2030, si raggiungerebbe l’85% di raccolta differenziata.

Al rifiuto residuo prodotto può essere ulteriormente sottratto un 50% della frazione secca, se si realizzasse un impianto di fabbrica dei materiali, avviando a riciclo quanto intercettato nel ciclo dell’indifferenziato. Sulla base del predetto scenario, al 2030, prevediamo un quantitativo di rifiuti da smaltire in discarica che si aggira attorno alle 35.000 tonnellate, con il vantaggio di disporre di una progettazione impiantistica flessibile e modulare, che favorisce il miglioramento progressivo del sistema e degli obiettivi da raggiungere, tanto in termini di riduzione della produzione di rifiuti che di materiale intercettato e avviato a riciclo e, dunque, di tenersi pronti ad accogliere ulteriori innalzamenti della barra delle ambizioni, come è sempre avvenuto negli ultimi decenni in Italia ed Europa.

Inoltre, con la nostra proposta, a differenza della nuova strategia di Piano della giunta regionale, che prevede una fase di attesa per la realizzazione dell’inceneritore, si potrebbe iniziare da subito a ridurre i quantitativi di rifiuti che oggi smaltiamo in discarica. La proposta di Piano regionale invece prevede un periodo di transizione, in cui si ipotizza che verranno conferiti in discarica una media di 141 mila tonnellate di rifiuti all’anno, con la necessità, quindi, di aumentare il fabbisogno volumetrico di discarica totale aggiuntivo rispetto a quanto oggi disponibile sugli impianti di bacino, variabile tra 1.200.000 m3 e 1.000.000 m3, per soddisfare le esigenze di conferimento del sistema integrato dei rifiuti urbani regionale nel periodo transitorio. Durante la fase a regime prevista dalla Regione entro il 2028-2030 dovranno essere previsti ulteriori nuovi ampliamenti di volumetria delle discariche umbre a conferma della tesi che l’incenerimento dei rifiuti non è alternativo alla discarica, ma anzi, una volta che si abbandoni il fallace parametro delle percentuali, comporta considerevoli volumetrie di discariche di servizio, per non parlare di quelle necessarie in attesa della realizzazione dell’inceneritore.

FIRMATARI

Zero Waste Italy – Referenti per l’Umbria

Osservatorio Borgogiglione

Movimento Difesa del Cittadino di Perugia APS

Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero Aps

ISDE- Medici Per l’Ambiente

Comitato No Inceneritori di Terni

Rifiuti Zero Spoleto

Cittadinanzattiva Umbria Aps

Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud

Comitato NoCss nelle Cementerie

Comitato Gubbio Salute Ambiente

Comitato per la Tutela Ambientale della Conca Eugubina Comitato per la Tutela dei beni Culturali e Paesaggistici Gubbio

Comitato No Antenna

Ecologicpoint Aps

Fridays For Future Perugia

Comitato Monteluiano