Opportune strategie di economia circolare potrebbero stimolare in modo significativo la transizione globale a basse emissioni e garantire che gli elementi delle terre rare durino più a lungo. Lo suggerisce un nuovo studio pubblicato su Nature, che ha coinvolto ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze, dell’Università di Pechino, dell’Università di Newcastle, dell’Università di Leiden nei Paesi Bassi e di altre istituzioni.
Le REE (rare earth elements) sono, per definizione, rare e limitate e le società ne sono sempre più dipendenti. Si tratta di 17 metalli presenti nella tavola periodica degli elementi chimici, le cui proprietà magnetiche e conduttive ne permettono l’utilizzo in svariati ambiti elettronici e tecnologici, utili alla transizione green ma non solo. Si possono trovare all’interno degli smartphone, nelle fibre ottiche e laser, in diverse apparecchiature mediche e nelle batterie delle auto elettriche.
Considerata l’offerta limitata delle terre rare, le strategie di economia circolare si pongono come potenziali soluzioni per affrontare i problemi delle catene di approvvigionamento. Tuttavia, gli impatti specifici di queste strategie sul panorama globale della domanda e dell’offerta di REE rimangono in gran parte sconosciuti. Ed è qui che arriva la nuova ricerca pubblicata da Nature, che presenta un modello integrato in grado di quantificare il loro apporto.
Alcuni dati dello studio
Prendendo in esame elementi come neodimio, disprosio e terbio, l’analisi mostra che instaurare adeguate strategie circolari per le terre rare potrebbe far crescere gli approvvigionamenti di materie prime seconde, nei prossimi 30 anni, di 701 mila tonnellate, mentre la domanda primaria potrebbe scendere di ben 2,3 milioni di tonnellate.
Lo studio evidenzia i ruoli cruciali di strategie di base come riduzione, sostituzione, riutilizzo e riciclaggio, per rimodellare le catene di approvvigionamento globali delle REE. La loro attuazione porterà ad un aumento dell’offerta dalle cosiddette “miniere urbane” entro i prossimi tre decenni, fondamentale per ridurre la dipendenza da quelle estratte dalle miniere tradizionali. Lo studio suggerisce, ad esempio, che l’Unione europea potrebbe ottenere una fornitura di terre rare a circuito chiuso massimizzando strategie circolari.
Uno degli autori della ricerca, il professor Oliver Heidrich dell’Università di Newcastle, ha dichiarato: “Il nostro modello considera sia gli stock interrati che quelli in uso, nonché il loro spostamento geografico, piuttosto drammatico in dieci regioni a partire tra il 2001 e il 2050, in tre scenari climatici ampiamente accettati. Il nostro studio proietta una luce importante sulla domanda e sull’offerta e fornisce una buona comprensione delle dinamiche geopolitiche, degli obiettivi climatici e di come le risorse naturali potrebbero essere utilizzate nella cooperazione internazionale”.