Nel precedente articolo sull’impatto ambientale dei Bitcoin e, in generale, di tutte le criptovalute presenti sul mercato, ci siamo focalizzati sulle emissioni di CO2 dovute all’attività di mining. In questa seconda parte analizzeremo un secondo aspetto, quello legato alla produzione di rifiuti elettronici.
Quando Bitcoin è stato lanciato nel 2009, gli utenti minavano la criptovaluta con computer di tutti i giorni. L’evoluzione tecnologica, si sa, fa grandi passi avanti in un tempo relativamente breve. Nel 2013, i miner si sono evoluti. Sono stati creati dei circuiti specifici per l’attività di mining: i sistemi ASIC (Application Specific Integrated Circuit), computer molto potenti in grado di eseguire algoritmi molto complessi, ma che possono essere impiegati solo per l’attività di estrazione delle criptovalute.
Competitività a discapito dell’ambiente
Chi vuole rendere davvero redditizia l’attività di mining, deve necessariamente aggiornare costantemente i propri hardware. I sistemi ASIC hanno però vita breve, questo per due ragioni: forte obsolescenza e deterioramento dell’hardware. Ogni 18 mesi vengono rilasciate versione più recenti dei circuiti e questo rende obsolete le unità esistenti. Per quanto riguarda il deterioramento invece, come detto nell’articolo precedente, per poter minare Bitcoin e, in generale, tutte le criptovalute, i computer devono essere sempre accesi. Infatti, devono “lavorare” incessantemente 24/7. Va da sé che, seppur i sistemi ASIC siano stati concepiti per questo tipo di attività, le macchine si deteriorino facilmente e in poco tempo. La combinazione di questi due fattori genere inevitabilmente la produzione di molti rifiuti elettronici.
E-waste, il problema dei rifiuti tecnologici da Bitcoin
Quanto incide concretamente l’attività di mining di Bitcoin nella produzione di rifiuti tecnologici? La risposta arriva da una ricerca pubblicata sulla rivista Resources, Conservation & Recycling. È stato calcolato che ogni anno vengono prodotte circa 30.700 tonnellate di rifiuti. Un quantitativo paragonabile ai piccoli rifiuti di apparecchiature informatiche che producono i Paesi Bassi in un anno.
I rifiuti elettronici rappresentano una minaccia crescente per l’ambiente. Questo a causa delle sostanze chimiche e dei metalli pesanti che penetrano nel suolo e all’inquinamento dell’aria e dell’acqua a causa di un riciclaggio non appropriato. I chip ASIC sono altamente specializzati per la sola attività di mining e per la risoluzione di algoritmi di specifiche criptovalute. Questo fa sì che, una volta che sono diventati obsoleti, non possano essere impiegati per altri compiti. Ma, mentre i chip non possono essere riutilizzati, gran parte delle apparecchiature per l’estrazione di Bitcoin è costituito da componenti, come involucri metallici e dissipatori di alluminio, che potrebbero essere riciclati. Secondo i dati però, solo il 17% di tutti i rifiuti elettronici viene riciclato. Questo è dovuto in parte alla mancanza di leggi che definiscono cosa fare con i prodotti elettronici che completano il loto ciclo di vita.
Le Nazioni Unite riferiscono che nel mondo i rifiuti elettronici sono il flusso di rifiuti in più rapida crescita. Infatti, hanno avuto un aumento del 21% tra il 2014 e il 2019.