È la fotografia di un settore in crescita, quella che emerge dal IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili presentato oggi a Roma durante il convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e CIC (Consorzio Italiano Compostatori). Decisamente propensa agli investimenti in ricerca e sviluppo, come caratteristico dei settori altamente innovativi. E con multiformi impatti positivi sul sistema Paese, sia dal punto di vista industriale e delle sinergie con altri settori, in primis quello agricolo, sia sul fronte dei vantaggi ambientali. La filiera delle bioplastiche riveste infatti un ruolo fondamentale nella crescita del prezioso comparto della bioeconomia circolare, di cui l’Italia rappresenta un leader a livello continentale.
I numeri di un modello di successo
Il valore di questo modello integrato che, dalla produzione dei biopolimeri compostabili arriva fino al sistema di riciclo organico e al loro trattamento negli impianti di compostaggio, è tutto nei numeri contenuti nello studio effettuato da Plastic Consult, società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche.
Nel 2022 l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 271 aziende – suddivise in produttori di chimica di base e intermedi (5), produttori e distributori di granuli (19), operatori di prima trasformazione (182), operatori di seconda trasformazione (65) – un volume di 127.950 tonnellate di manufatti compostabili prodotti (+2,1% sul 2021 e con un tasso di crescita tra 2012 e 2022 del 226%) e un fatturato complessivo di 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021 e un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni). Gli addetti, ovvero le risorse che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle plastiche compostabili, sono 3.005 (+3,8%), cresciuti del 135% in poco più di dieci anni.
Tra i principali settori applicativi, il maggiore tasso è stato registrato ancora una volta dal monouso (piatti, bicchieri e posateria) con un +23% rispetto al 2021, seguito dalle diverse tipologie di film per imballaggio (+7% per il film per applicazioni non alimentari e +3% per il film da imballaggio alimentare) e dal film agricolo con +2%. I comparti storici (sacchetti per asporto merci e ultraleggeri) sono rimasti al meglio stazionari.
Sul fronte delle attività di riciclo i numeri sono altrettanto positivi: il riciclo organico delle bioplastiche compostabili ha raggiunto nel 2022 quota 60,7% dell’immesso al consumo, 9 punti in più rispetto al 2021, superando con 8 anni di anticipo gli obiettivi fissati per il 2030 (pari al 55%). I Comuni convenzionati con il consorzio Biorepack sono oltre 3700 (47,8% del totale) nei quali risiedono 38 milioni di abitanti (64% della popolazione nazionale, in crescita di 3 punti sul 2021). Agli enti locali convenzionati sono stati riconosciuti corrispettivi economici per 9,3 milioni di euro, 1,8 milioni in più rispetto al 2021, a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile conferiti insieme ai rifiuti domestici.
Non meno rilevanti, i numeri relativi alle attività di trattamento: i 293 impianti di compostaggio distribuiti nelle diverse regioni italiane hanno trattato 4 milioni di tonnellate di rifiuto a matrice organica cui si aggiungono ulteriori 63 impianti integrati (digestione anaerobica e compostaggio) che ne hanno trattati altri 4,3 milioni di tonnellate. Il trattamento biologico della FORSU ha permesso di evitare 5,4 Megatonnellate di CO2 equivalente e di produrre oltre 2 milioni di tonnellate di compost (il 34% delle quali a marchio CIC), riportando nei terreni agricoli 440.000 tonnellate di carbonio organico.
Le preoccupazioni per il futuro
Nonostante i numeri indubbiamente positivi che accomunano le diverse fasi della filiera e confermano la bontà del modello costruito, le nubi all’orizzonte non mancano e gli operatori sono ovviamente preoccupati. Nel breve termine (2023), la diminuzione complessiva dei consumi finali e la riduzione della spesa delle famiglie, schiacciate da livelli inflattivi mai registrati negli ultimi decenni, unite al pesante aumento dei tassi di interesse, fanno presagire per l’anno in corso una contrazione della produzione industriale di manufatti compostabili. Anche il monouso compostabile, che ha sostenuto il comparto lo scorso anno, è in forte difficoltà a seguito della diffusione dei piatti cosiddetti riutilizzabili in plastica convenzionale. Il contesto esterno che favorisce “la ricerca del prezzo” stimola l’illegalità: la presenza di sacchi non a norma è nettamente in recrudescenza.
Sacchetti fuori legge
Sebbene la legge che ne vieta l’uso sia in vigore da più di 10 anni e nonostante gli impegni profusi dalla filiera e dalle Forze dell’Ordine, il tasso dei sacchetti illegali è infatti salito dal 22% del 2021 al 28% del 2022. Diverse le forme di illegalità: decisamente frequente la commercializzazione di borse per asporto merci o alimenti sfusi prive di qualsiasi requisito di legge (certificazioni di biodegradabilità e compostabilità, rinnovabilità e relative etichettature). Altre volte vengono riportati falsi e ingannevoli slogan ambientali. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti privi dei requisiti stabiliti dallo standard EN 13432, ad esempio contenenti percentuali di materia prima di origine rinnovabile inferiore al 60%. E c’è poi il caso dei sacchetti dichiarati compostabili ma che in realtà contengono quantità più o meno rilevanti di polietilene, materia prima non ammessa per i bioshopper ma che viene usata per ridurre il costo di produzione. Una frode per chi, in buona fede, li acquista.
I “riutilizzabili”
Per quanto riguarda i manufatti cosiddetti riutilizzabili basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura “riutilizzabile”. Un escamotage tecnico per aggirare la norma che vieta il monouso e offrire prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso.
“Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista”, spiega Marco Versari, presidente di Biorepack. “Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità e, così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.
C’è poi tutto l’aspetto, per nulla secondario, delle esternalità negative sull’ambiente. Ben presenti a chi si occupa quotidianamente del riciclo organico delle bioplastiche compostabili: “I manufatti in plastica tradizionale rappresentano la maggiore quantità di frazione estranea che ci troviamo nei nostri impianti di compostaggio”, afferma Lella Miccolis, presidente del CIC. “Questi prodotti infatti ‘sporcano’ la raccolta dell’umido domestico e così facendo diminuiscono la quantità di compost che è possibile produrre nei nostri impianti. È bene ricordare che il compost è una valida alternativa figlia dell’economia circolare che aiuta a riportare fertilità ai terreni agricoli senza il bisogno di usare i concimi di origine chimica”.
Le richieste della filiera
Inevitabile quindi l’appello congiunto di Assobioplastiche, Biorepack e CIC: sul fronte del contrasto all’illegalità occorre ripensare e rafforzare il meccanismo dei controlli, che vedono già oggi impegnate le diverse Forze dell’Ordine.
Ma accanto a ciò servono interventi capaci di riconoscere il valore strategico dell’intera filiera. Anche perché il quadro è reso più complesso da quanto accade sugli scenari internazionali: dalle direttive europee potenzialmente in grado di azzoppare una filiera di eccellenza alle azioni di grandi Paesi che puntano ad affermarsi nel settore anche attraverso pericolosi meccanismi di dumping.
“Se Paesi come Stati Uniti e Cina hanno compreso le opportunità di questo mercato iniziando ad agire su più fronti, occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale. Di fronte a queste prospettive rilanciamo, ad esempio, la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione ATECO/NACE. Altrettanto doverosa sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”, ha rimarcato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche.