Lo scorso 4 aprile il Daily CO2 ha registrato quello che dovrebbe essere un nuovo record delle concentrazioni di CO2 da quando si misura e si stima: un aumento dello 0,62% rispetto al 4 aprile 2022: 420.14 ppm nel 2022 e 422.74 ppm di CO2 emesse nel 2023, +2,60 ppm.
Proprio nel giorno in cui l’Osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii ha diramato questo dato, David Ho – professore di oceanografia all’Università delle Hawaii a Manoa – ha spiegato su Nature i suoi studi affermando che: “la rimozione dell’anidride carbonica non è una soluzione climatica attuale, bisogna cambiare narrativa e ridurre drasticamente le emissioni prima che la rimozione dell’anidride carbonica diventi quasi inutile”.
Per limitare il riscaldamento globale a 1,5°-2° al di sopra dei livelli preindustriali, come valutato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, occorre non solo iniziare ora una rapida decarbonizzazione, ma anche la rimozione di CO2 dall’atmosfera. Al contrario: “non saremmo in grado di eliminare completamente le emissioni di carbonio nei tempi richiesti. Infatti, i settori più difficili da limitare sono l’aviazione e il trasporto marittimo. Essi rimarranno grandi fonti di gas a effetto serra anche negli scenari più ottimistici”, continua il professor David Ho su Nature.
Storicamente, la rimozione di CO2 dall’atmosfera si riconduce con la piantagione di nuovi alberi e la cura di quelli già presenti. Ma dal momento in cui le emissioni residue non permetteranno di raggiungere l’obiettivo di emissioni zero, David Ho, grazie ai suoi studi sul carbonio ha delineato alcune soluzioni: “negli ultimi anni mi sono dedicato anche allo sviluppo di metodi per verificare che il CDR (rimozione anidride carbonica) funzioni. Ho esaminato dozzine di proposte (…) e non nego la necessità di sviluppare nuovi metodi CDR a lungo termine (…). Dopo alcune dimostrazioni su piccola scala della tecnologia di cattura diretta dall’aria (DAC), che aspira la CO2 dall’atmosfera con mezzi chimici, la legge sulle infrastrutture bipartisan degli USA del 2022 ha destinato 3,5 miliardi di dollari allo sviluppo di quattro hub DAC. Ma per me è chiaro che dispiegarli per rimuovere la CO2 dall’atmosfera non ha senso finché la società non avrà eliminato quasi completamente le sue attività inquinanti”.
Rimozione anidride carbonica (CDR), l’analogia di David Ho con i viaggi nel tempo
Per far comprendere il funzionamento dei metodi CDR, il professor Ho fa un’analogia con i viaggi nel tempo: “prendendo ad esempio gli hub DAC statunitensi proposti si prevede che ogni impianto estrarrà un milione di tonnellate di CO2 all’anno. Ma nel 2022 il mondo ha emesso 40,5 miliardi di tonnellate di CO2 e, a quel ritmo, per ogni anno di funzionamento degli hub al massimo delle loro potenzialità, l’atmosfera verrà portata indietro nel tempo di circa 13 minuti. Ma in questo tempo necessario per rimuovere 13 minuti di CO2, il mondo avrà già emesso un altro anno intero di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel frattempo, se tutti sulla Terra piantassimo un albero (8 miliardi di alberi), riporteremo l’atmosfera indietro nel tempo di circa 43 ore ogni anno quando gli alberi saranno cresciuti”.
Di fatto, quest’esempio del professor David Ho mette in luce quanto siano futili attualmente i CDR. Da questa premessa, secondo il professore, va spostata urgentemente la narrazione e: “smetterla di parlare di implementare il CDR come soluzione, come se sostituisse i tagli alle emissioni, quando esse rimangono elevate”.
Le proposte del professor David Ho
Ciò che il professor David Ho propone è di decarbonizzare abbastanza nei prossimi 20-30 anni: “se riducessimo le emissioni a circa il 10% dei livelli attuali (4 mlrd di tonnellate di CO2 all’anno), un impianto DAC in grado di rimuovere 1 mln di tonnellate sarebbe una macchina del tempo che ci riporterebbe indietro di poco più di 2 ore anziché di 13 minuti. A quel punto ci vorrebbero 4.000 impianti per raggiungere lo zero netto in un dato anno, presupponendo che fossero completamente alimentati da energia rinnovabile”.
David Ho, quindi, ritiene necessaria la ricerca per trovare metodi CDR che riducano al minimo l’uso del suolo e il consumo di energia per avere delle tecnologie disponibili in futuro: “non tutte le tecniche che funzionano in laboratorio funzioneranno nel mondo reale. Alcuni potrebbero comportare costi elevati per la biodiversità e l’ambiente. Lo sviluppo di metodi per verificare che il CDR funzioni è una grande sfida. Ci vorranno molti anni prima che la scienza ci dica quali metodi funzionano e se danneggino o giovino all’ambiente”.
“L’umanità non ha mai rimosso un inquinante atmosferico su scala globale, continentale o regionale. Abbiamo solo chiuso la fonte e lasciato che la natura si occupasse di ripulire. È il caso dei clorofluorocarburi e della distruzione dell’ozono stratosferico, dell’anidride solforosa e delle piogge acide, degli ossidi di zolfo e di azoto e dello smog fotochimico. Dobbiamo essere preparati affinché il CDR sia un fallimento. La portata della sfida è immensa. Dobbiamo rallentare l’orologio della carbonizzazione prima di poterlo riportare indietro“, conclude Davidl Ho.