Per contrastare la crisi energetica in Italia “occorre rendere strutturali i risparmi raggiunti nel 2022, aumentare la spinta sulle rinnovabili, ma soprattutto aumentare l’efficienza energetica – grande assente finora – degli edifici e dell’industria”. Così facendo, “l’aumento delle importazioni dall’Algeria sarà necessario solo per un lasso limitato di tempo, visto il rapido calo della domanda di gas in Italia e in Europa”. Lo scrive in un articolo sul proprio sito Ecco, il think tank italiano sul clima, a proposito del viaggio in Algeria della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Di seguito tutta l’articolo completo degli ambientalisti:
I dati del Documento programmatico di bilancio di novembre mostrano che in estate i prezzi del gas all’importazione sono cresciuti del 111%, trasferendosi poi sui prezzi di produzione (+42% a settembre) e sull’inflazione al consumo, che ha raggiunto il picco del 12,6%. Questo, ha costretto il Governo a impiegare la maggior parte delle risorse pubbliche disponibili per il 2023, pari a 21,6 miliardi, per contrastare il caro gas. A queste si aggiungono 62,6 miliardi per la stessa spesa nel biennio 2021-2022, di cui meno della metà (46% nel 2022) per cittadini e imprese più vulnerabili.
La dipendenza dell’Italia dalle importazioni di gas e l’esposizione alla volatilità di prezzo hanno generato una forte instabilità economica e limitato in modo significativo l’autonomia di spesa del Governo. Di conseguenza, più rapidamente riduciamo la dipendenza dal gas, più rendiamo il sistema Paese sicuro e autonomo rispetto a shock economici, ricatti esterni e dai sempre più frequenti e violenti shock climatici. Diminuire rapidamente l’utilizzo dei combustibili fossili è quindi un’azione decisiva per rispondere in modo efficace e duraturo alla molteplicità di crisi.
Ma come è possibile, nel breve periodo, garantire l’approvvigionamento di gas senza fare ricorso a nuova produzione e nuove infrastrutture incompatibili con gli obiettivi climatici?
Nel corso del 2022, imprese e cittadini italiani hanno ridotto la domanda di gas del 9%, risparmiando circa 7 miliardi di metri cubi (mmc), equivalenti a un quarto delle importazioni russe. Meglio ha fatto in media l’Europa, con un taglio dei consumi del 12% secondo le prime stime del centro studi Bruegel. Questo percorso virtuoso deve ora accelerare nel solco del pacchetto europeo RepowerEU, con un potenziale di riduzione dei consumi europei di gas fino al 40% nel 2030.
Per farlo, è necessario dare priorità ad alcune scelte sia sul fronte domestico che su quello esterno. A livello nazionale, occorre rendere strutturali i risparmi raggiunti nel 2022, aumentare la spinta sulle rinnovabili (12 GW di rinnovabili l’anno da obiettivo del Ministro Pichetto), ma soprattutto aumentare l’efficienza energetica – grande assente finora – degli edifici e dell’industria in linea con i nuovi obiettivi europei.
Secondo le proiezioni di ECCO, queste azioni permetterebbero di sostituire l’80% del gas russo nei prossimi due anni. La revisione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, la cui prima bozza è attesa a giugno, dovrebbe contenere questi obiettivi settoriali, definire le politiche abilitanti e adottare un sistema di monitoraggio.
Il gas rimanente da compensare deriverebbe da un aumento delle importazioni dalle infrastrutture esistenti, senza quindi la necessità di fare ricorso a nuova produzione nazionale o nuovi rigassificatori e gasdotti (lo stesso vale per l’Europa che si muove nella stessa direzione).
All’interno di questo schema, il gas algerino può quindi giocare un ruolo chiave ma a condizioni ben precise. L’aumento delle importazioni dall’Algeria sarà infatti necessario solo per un lasso limitato di tempo, visto il rapido calo della domanda di gas in Italia e in Europa.
Come può allora l’Algeria aumentare l’export senza ricorso a nuova produzione e nuove infrastrutture?
Innanzitutto, il gasdotto che collega l’Algeria all’Italia, via Tunisia, ha una capacità non utilizzata che permetterebbe di assorbire i rimanenti 7 mmc addizionali degli accordi del Governo Draghi (previsti 9 in totale al 2024, di cui 2 consegnati nel corso del 2022). Inoltre, l’Algeria ha un enorme potenziale di recupero del gas di scarto (“flaring” – equivalente al 23% di approvvigionamento addizionale di gas non-russo), che altrimenti finirebbe in atmosfera, per oltre 13 mmc. Se poi si aumentasse in un anno la quota di rinnovabili nel sistema elettrico algerino, raggiungendo una penetrazione di rinnovabili del 15% attraverso 14 GW di impianti solari ed eolici, si libererebbero ulteriori 3 mmc di gas per l’export. Queste azioni permetterebbero all’Algeria di aumentare l’export di gas senza espansione del settore fossile e offrirebbero l’opportunità di avviare un percorso di diversificazione tanto vitale per la resilienza economica e sociale del sistema algerino quanto per la stabilità del Mediterraneo e con essa la sicurezza dell’Italia.
Slegarsi dalla logica della necessità di nuova esplorazione e produzione di combustibili fossili, e connesse infrastrutture di trasporto (quand’anche dichiarate pronte per l’idrogeno, ipotesi ancora da verificare), è l’unica via per costruire un futuro più sicuro per tutti.
L’Italia, insieme ai partner della regione del Mediterraneo, ha il grande potenziale di diventare uno snodo “verde” globale tra Europa, Africa e Asia. Dovrebbero essere questi i pilastri del nuovo Piano Mattei per l’Africa, un piano che guardi al futuro più che al passato.