Carmine Pagnozzi dal 1° gennaio scorso nuovo direttore generale di Biorepack, il consorzio nazionale per il riciclo organico delle plastiche biodegradabili e compostabili. Nato a Roma nel 1973, ha conseguito una laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, seguita da un master di secondo livello. Negli ultimi due anni, è stato direttore tecnico di Biorepack. In precedenza, ha lavorato al Ministero dell’Ambiente dove si è occupato di bonifiche di siti contaminati, gestione dei rifiuti, dissesto idrogeologico ed efficienza energetica. Ha ricoperto la posizione di direttore generale di Assobioplastiche per sei anni, dal 2015 al 2020. Come spiega il Consorzio, il suo curriculum è perfetto per comprendere insieme a lui i margini di crescita delle attività di riciclo delle bioplastiche compostabili e per smentire alcune fake news ancora in circolazione riguardo a tali prodotti.
“La filiera delle bioplastiche compostabili – spiega Pagnozzi – è un fiore all’occhiello di cui l’Italia deve essere orgogliosa. Dobbiamo far conoscere i vantaggi di questi materiali, spiegare ai cittadini i modi per gestire al meglio il fine vita di tali imballaggi e lavorare insieme ai Comuni italiani che devono far fronte all’obbligo di raccolta della frazione organica. Riuscirci non è solo un aiuto al consolidamento di un comparto industriale e della sua leadership continentale, ma anche e soprattutto un favore all’ambiente e a tutti gli organismi impegnati nella gestione dei rifiuti urbani”.
Ingegner Pagnozzi, perché la filiera delle bioplastiche compostabili è un’eccellenza per l’Italia?
Perché è una filiera molto innovativa, che si inserisce pienamente nell’ambito della bioeconomia circolare e offre la possibilità di un fine vita assolutamente sostenibile a questi materiali, sempre più diffusi non solo fra le buste della spesa o dell’ortofrutta ma anche come imballaggi rigidi: piatti, posate, bicchieri, cialde per le bevande. La loro caratteristica fondamentale è infatti la capacità di essere trasformate in compost insieme al resto dell’umido all’interno degli impianti di trattamento. Così facendo, aiutano ad aumentare la quantità e la qualità di questo fertilizzante naturale, così utile per riportare sostanza organica ai terreni agricoli italiani che ne sono gravemente deficitari.
In questo senso, perché sono fondamentali le attività che sta portando avanti Biorepack da un paio d’anni?
Biorepack, lavorando all’interno del sistema dei consorzi CONAI, realtà forte di ben 25 anni di esperienza, si inserisce in un percorso consolidato che da un lato impegna le aziende produttrici di un certo imballaggio a pagare per il suo corretto smaltimento al termine del suo ciclo di vita e dall’altro offre importanti risorse economiche e know-how ai Comuni per migliorare i risultati di raccolta differenziata. È davvero un sistema win-win perché può assicurare vantaggi a tutti. In questo ambito, Biorepack porta un valore aggiunto di assoluto rilievo perché è il primo consorzio al mondo che si occupa del fine vita di un materiale che è strettamente correlato con le attività di raccolta dell’umido domestico.
Qualche numero sui risultati raggiunti finora?
Nel 2021 abbiamo rendicontato 74mila tonnellate di imballaggi in bioplastica compostabile certificata immesse sul mercato. Di queste, sempre nel 2021, il 51,9% è stato riciclato per via organica diventando dunque compost, superando il target di riciclo fissato dalla legge per il 2025. E siamo prossimi a quello previsto per il 2030. Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie alle numerose convenzioni avviate con i Comuni, così come previsto dall’accordo Anci-Conai. A oggi sono 352 le convenzioni siglate da Biorepack con enti pubblici o loro delegati (gestori della raccolta differenziata dell’umido o impianti di riciclo organico della frazione umida), che ci hanno permesso di coprire il 47% dei Comuni italiani, pari a oltre il 64% della popolazione
Quali sono quindi le priorità su cui lavorerà nei prossimi mesi?
Come compito previsto dallo Statuto, vi è anzitutto quello dell’ampliamento del numero delle convenzioni. Dobbiamo aumentare ancora la copertura del territorio e la raccolta, soprattutto nelle regioni italiane che sono più indietro, come alcune nel Mezzogiorno. Ci possiamo riuscire solo sviluppando iniziative di comunicazione e di educazione in grado di aiutare i cittadini a riciclare correttamente gli imballaggi in bioplastica compostabile
In effetti non è sempre facile per il cittadino medio districarsi tra i diversi tipi di rifiuto.
Semplificare la vita dei cittadini è indispensabile. Su questo non c’è dubbio. Devono infatti avere ben chiaro che le bioplastiche compostabili vanno raccolte insieme all’umido e devono essere messi in condizione di riconoscere facilmente un imballaggio attraverso etichette il più possibile chiare. Per questo, tra i diversi progetti su cui siamo impegnati, tengo a segnalare quello finalizzato a identificare un marchio di riconoscibilità che non dia adito a fraintendimenti e renda chiaro il percorso di riciclo degli imballaggi compostabili.
Ma non dobbiamo dimenticare che, al tempo stesso, è indispensabile non abbassare la guardia sul fronte del contrasto all’illegalità nel settore.
È ancora molto diffusa? Che cosa state facendo in merito?
La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ricorda che circa il 25% degli shopper immessi a consumo non è a norma. Contrastare questi prodotti illegali (e pericolosi per ambiente e salute) è difficile e faticoso. Ma è essenziale: solo così possiamo tutelare l’efficacia degli imballaggi in bioplastica compostabile, valorizzandone il prezioso apporto in favore della cura dei suoli agricoli.
Per questo motivo, in collaborazione con Assobioplastiche, abbiamo attivato una piattaforma di segnalazione dei casi di materiali e imballaggi non a norma. Chiunque, in via anonima, può segnalare i propri dubbi rispetto a manufatti e imballaggi sospetti; una volta ricevuta la segnalazione partono una serie di accertamenti e di verifiche di laboratorio per stabilirne la conformità.
In presenza di vere e proprie illegalità vengono avviati gli esposti alle autorità competenti.
Lei prima ha accennato alle fake news. Non possiamo non affrontare una questione che periodicamente si ripresenta: secondo alcuni, le bioplastiche non sarebbero effettivamente compostabili. Che cosa risponde?
Rispondo che semplicemente non è vero. Non sono io a dirlo, né è Biorepack a sostenerlo. Lo assicura lo standard europeo armonizzato EN 13432, che deve essere rispettato da tutti i manufatti realizzati in bioplastiche compostabili certificate. Questo standard garantisce la sostenibilità e la compostabilità di tali imballaggi, siano essi flessibili o rigidi, quando vengono raccolti, come prescrive la legge, insieme all’umido domestico e trattati all’interno degli impianti industriali di biodigestione e compostaggio. In questi impianti vengono seguite regole precise che trasformano tutti i materiali compostabili in ammendante che deve poter essere utilizzato in agricoltura per rendere il terreno più fertile, senza far ricorso a fertilizzanti chimici. Chi diffonde fake news su questa realtà o è disinformato (e purtroppo la disinformazione è ancora drammaticamente diffusa) oppure ha altri fini che certamente non sono quelli della difesa dell’ambiente e degli interessi dei cittadini.