Mentre l’approvazione del regolamento europeo per lo stop alla vendita di auto diesel e benzina è stata bloccata dai ripensamenti di Italia e Germania, il think tank sul clima Ecco ha pubblicato un rapporto in cui analizza il passaggio alla mobilità elettrica: un transizione “che offre opportunità e vantaggi per l’occupazione, la competitività, la riduzione della povertà della mobilità, il raggiungimento degli obiettivi climatici”.
In Italia il settore trasporti è il primo per emissioni, sottolinea preliminarmente il rapporto. Dal 1990, le emissioni sono aumentate (+3%), in netta controtendenza rispetto ad altri settori. Oltre il 90% delle emissioni sono ascrivibili alla mobilità su strada per passeggeri e merci, che consumano il 68% della domanda nazionale di prodotti petroliferi, la cui produzione dipende per oltre il 95% da importazioni di greggio dall’estero. Con quasi 40 milioni di auto circolanti l’Italia ha il più alto tasso di motorizzazione in Europa: 670 vetture ogni 1.000 abitanti, contro le 560 della media europea.
L’auto elettrica
L’auto elettrica ha emissioni zero allo scarico e consumi di utilizzo fino a 4 volte più bassi di quelli di un’auto tradizionale. Nel ciclo vita dei veicoli, considerando il mix energetico attuale, le emissioni sono del 55% inferiori di quelle di un’auto alimentata a benzina o diesel e dell’80% se si utilizza elettricità rinnovabile.
La maggiore efficienza energetica ed emissiva dei veicoli elettrici puri a batteria (BEV) rispetto a ogni altra soluzione tecnologica è la soluzione per raggiungere i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni dei trasporti previsti dal pacchetto Fit for 55. In questa direzione, gli scenari elaborati da RSE e dal Politecnico di Milano indicano la necessità di rivedere le stime del PNIEC prevedendo 6-8 milioni di veicoli elettrici puri a batteria circolanti entro il 2030.
Superare il motore a scoppio con le tecnologie elettriche è una sfida globale e tutte le più grandi economie si sono già attivate. Per questo motivo la scelta europea di vietare la vendita di nuove auto a combustione interna entro il 2035 non va considerata come ideologica ma un’opportunità per mettere in campo politiche industriali e del lavoro efficaci, nell’interesse delle grandi economie manifatturiere europee, tra cui l’Italia.
Presidiare la transizione all’elettro-mobilità può consentire all’Italia di sviluppare le competenze scientifiche, tecniche e organizzative necessarie per affrontare le sfide del futuro. Nella transizione all’auto elettrica, le opportunità che vengono dai settori produttivi emergenti consentono di mantenere invariato il saldo occupazionale del settore acquisendo, al contempo, nuove competenze e aprendo potenziali spazi in nuovi mercati.
Sostegno al Made in Italy
Per favorire il Made in Italy nella transizione all’elettrico della mobilità su strada servono nuove politiche industriali per la riconversione delle filiere di componentistica, accompagnate da politiche del lavoro e dell’istruzione per riqualificare gli addetti nelle filiere a rischio e aggiornare i percorsi formativi con la domanda di nuove competenze.
A sostegno di questo percorso, è necessario convogliare risorse verso le filiere elettriche del settore automotive, anche attraverso uno schema di incentivi all’acquisto che favorisca la produzione dei modelli elettrici più efficienti sui segmenti di auto più venduti: le utilitarie nei segmenti A e B, e nel segmento C (opzione di scelta prevalente per l’acquisto della prima auto per la famiglia), che insieme fanno oltre l’80% del mercato nazionale.
La spinta alla domanda di utilitarie, che da sempre rappresentano il tratto distintivo del Made in Italy per il settore, produrrebbe a cascata una progressiva riduzione dei prezzi grazie all’incidenza delle economie di scala di produzione, generando un circolo virtuoso che consentirebbe entro pochi anni di eliminare la necessità degli incentivi stessi.
A sostegno di queste dinamiche, l’Italia dovrà inoltre accelerare la diffusione delle infrastrutture di ricarica quale condizione necessaria per favorire la fiducia dei consumatori.
I carburanti sintetici e i biocarburanti: una medicina inefficace
I carburanti sintetici prodotti da idrogeno verde non sono una soluzione per il trasporto su strada, sia per gli elevati consumi energetici necessari alla loro produzione, sia per la limitata efficienza dei motori a scoppio rispetto a quelli elettrici. Messo in un’auto a combustione interna tradizionale, un litro di syndiesel consente di percorrere meno di 20 km, mentre con la stessa quantità di elettricità consumata per la sua produzione una Fiat 500 elettrica ne percorrerebbe circa 200. Gli e-fuels potrebbero invece trovare impiego laddove oggi non esistono efficaci soluzioni alternative all’elettrificazione, come l’aviazione o il navale per le percorrenze internazionali, oltre a utilizzi di nicchia nel ferroviario.
Pur se nel breve e medio periodo i biocarburanti rientrano nell’equazione per la decarbonizzazione del trasporto su strada, il loro contributo non deve andare a detrimento di una forte ambizione verso l’elettrificazione della mobilità privata su strada.
Meno veicoli, la mobilità del futuro
Nella sfida alla decarbonizzazione dei trasporti su strada occorre anche ridurre la domanda di mobilità inefficiente e ridimensionare il numero di veicoli circolanti in un quadro coerente di politiche fiscali e di sostegno alla mobilità sostenibile e alla povertà da mobilità. A tal fine sarà necessario ampliare l’offerta di alternative accessibili a tutte le fasce di popolazione, fornendo alternative efficaci all’auto privata.
Per le città, le variabili su cui intervenire riguardano l’allargamento della flotta dei mezzi e delle linee di servizio, il potenziamento dei collegamenti a nodi intermodali da e verso le aree periurbane ed extra-urbane.
La digitalizzazione e l’analisi delle informazioni di mobilità sono la chiave di volta per attivare lo sviluppo di soluzioni di Mobility as a service (Maas), che favoriscono la mobilità collettiva e condivisa.