In un recente articolo uscito su Huffingtonpost, il presidente di Assoambiente (Associazione Imprese Servizi Ambientali
ed Economia Circolare) Chicco Testa ha parlato dell’inceneritore in fase di progettazione a Santa Palomba, nell’area metropolitana di Roma, sottolineando gli aspetti positivi della scelta dell’amministrazione capitolina.
“L’unica frase condivisibile del presidente di Assoambiente è che ‘Una sana discussione pubblica deve basarsi su argomenti documentati e reali’ ma su altre informazioni facciamo un fact checking”, commenta in una nota Rete Tutela Roma Sud.
Questo il fact checking pubblicato dalla Rete:
“La Procura – scrive Testa – ha avviato una indagine sul prezzo di acquisto del terreno su cui sorgerà l’impianto. Inchiesta che riguarda un aspetto tecnico amministrativo”.
“Il nostro esposto evidenzia che il terreno acquistato a S. Palomba al momento dell’indagine di mercato avviata nel 2021 non aveva i requisiti richiesti e solo tramite una successiva modifica della mappa delle aree idonee da parte di Città Metropolitana è stato possibile acquistarlo a quel prezzo abnorme. Tuttora non rispetta la distanza dalle case sparse e dal quartiere di 1.000 appartamenti di housing sociale in costruzione dal 2019. Come hanno potuto ammetterlo alla procedura selettiva senza che avesse i requisiti? Basterebbe questo aspetto per mettere in dubbio la liceità di tutto il procedimento”, ribatte Rete Tutela Roma Sud.
“Tutti i ricorsi – scrive ancora Testa – presentati contro la decisione di realizzare l’inceneritore sono stati respinti”
“I giudici amministrativi si limitano a verificare se la legge è stata rispettata e in questo caso la legge con cui sono state trasferite le competenze sui rifiuti al Commissario Straordinario per il Giubileo consente di “derogare” le leggi nazionali e regionali poste a tutela di ambiente e salute. L’interpretazione a nostro parere un po’ forzata è che tale deroga sia accettabile anche per opere non attinenti al giubileo, infatti, nel cronoprogramma del progetto messo a bando il collaudo è previsto quasi tre anni dopo. Gli altri due termovalorizzatori proposti ad Aprilia e Tarquinia, senza poteri speciali, sono stati bocciati dagli stessi giudici”, commenta la Rete.
“…procedure di infrazione europee queste sono proprio originate dalla mancanza di inceneritori, e quindi dall’abnorme ricorso alle discariche spesso non gestite in modo corretto”, si legge su Huffingtonpost.
“La procedura di infrazione per la Regione Lazio è stata avviata per l’assenza di un Piano di Gestione rifiuti, lacuna colmata nel 2020 senza prevedere ulteriori inceneritori oltre quello di San Vittore, e per il mancato rispetto della gerarchia europea dei rifiuti. Il Lazio è agli ultimi posti in Italia per riciclo e solo il 30% delle famiglie vive in un comune che ha raggiunto l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (fonte Istat – Rapporto sul Benessere equo e sostenibile 2024). In generale le procedure di infrazione non vengono mai “originate dalla mancanza di inceneritori”, perché in base al principio europeo della neutralità tecnologica, la scelta prevede anche tecnologie alternative, come gassificatori, pirolizzatori, impianti di recupero materia o che estraggono idrogeno, senza citare (volutamente) la possibilità di utilizzare il CSS nei cementifici o nelle centrali a carbone esistenti, in sostituzione di combustibili fossili”, scrive la Rete.
Questa l’altra frase di Testa:“…gli impianti di incenerimento non sono stati inseriti nel PNRR e nemmeno nella tassonomia europea degli investimenti verdi, ma questo non significa che sono inquinanti…”.
“Nelle linee guida pubblicate dalla Commissione europea sull’interpretazione del principio “non arrecare danno significativo all’ambiente” (Do Not Significant Harm – DNSH), l’incenerimento dei rifiuti è considerato un’attività che arreca un danno significativo all’ambiente. Proprio per questo, gli impianti che bruciano rifiuti per produrre energia, sono esclusi dalla tassonomia della finanza dell’UE”, sottolinea Rete Tutela Roma Sud.
“[gli inceneritori] si finanziano da soli, grazie al prezzo di accesso dei rifiuti e alla vendita di energia”, afferma Chicco Testa.
“Il prezzo di conferimento dei rifiuti viene pagato dai cittadini tramite la TARI ed è garantito durante la durata della concessione, impedendo una sana e leale competizione con le tecnologie alternative. Gli inceneritori producono, inoltre, una serie di esternalità negative sulla salute e sull’ambiente, il cui costo ricade sulla collettività. In base al principio chi inquina paga, dovrebbero essere sottoposti a una tassazione specifica per finanziare ad esempio i costi sostenuti dal sistema sanitario per curare la maggiore incidenza di patologie. Il consumo idrico degli inceneritori è tale da averne condizionato la localizzazione in Europa (a ridosso di fiumi o vicino al mare), al fine di non utilizzare l’acqua di falda, risorsa importantissima ma anche, purtroppo, limitata. Nel contesto dei Castelli Romani la crisi idrica è particolarmente grave ed è resa evidente dal progressivo prosciugamento dei laghi Albano e di Nemi. In pratica se gli inceneritori con recupero di energia sostenessero tutti i costi delle esternalità negative prodotte, probabilmente assisteremmo a una loro progressiva dismissione e gli investimenti si concentrerebbero sulle tecnologie alternative per recuperare materiali, invece di bruciarli”, è il commento di Rete Tutela Roma Sud.
“Penultimo posto del recupero energetico nella gerarchia europea”, la frase di Testa.
“Nella gerarchia europea dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2008/98/CE l’incenerimento, anche se produce energia elettrica, è ricompreso tra i sistemi di smaltimento insieme alle discariche, pertanto, rappresenta l’ultima tra le opzioni possibili. Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi tra i sistemi di recupero solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a parametri raggiungibili con il teleriscaldamento, eliminando un certo numero di caldaie domestiche, cosa che alle nostre latitudini non è economicamente sostenibile e infatti nessuna città del centro sud con un inceneritore è dotata di tubi per portare il calore nelle case. Il progetto di S. Palomba, vista anche la distanza da Roma, prevede una minuscola rete di teleriscaldamento nel Comune confinante, senza averne nemmeno l’autorizzazione”, ribatte la Rete delle associazioni a tutela del territorio a Sud di Roma.
Per Testa, poi: “L’investimento nell’impianto è pari a circa 700 milioni di euro, valore assolutamente in linea con impianti di quella dimensione (non un miliardo).”
“L’investimento nell’impianto è pari a 946.100.000 euro”, risponde la Rete.
“Sarà a carico della Tari di Roma il costo di trattamento (incluso il recupero dell’investimento) detratto il valore della vendita di energia, come avviene in tutti gli inceneritori italiani ed europei”, si legge sull’articolo del presidente di Assoambiente.
“Nei Paesi del nord Europa gli inceneritori vendono anche calore, mentre nel caso di Roma mancherebbe una delle fonti di ricavo ed è quindi presumibile che la TARI sarà maggiore. I Comuni che riciclano di più consentono ai cittadini di non pagare per lo smaltimento presso discariche e inceneritori, ma essere pagati per le materie prime raccolte, per questo generalmente hanno una TARI più bassa”, è la risposta della Rete.
“L’Europa non ha deciso di inserire gli inceneritori fra gli impianti chiamati ad acquistare i crediti di carbonio, lo deciderà forse, entro il 2026, c’è un istruttoria in corso e non c’è alcuna decisione già presa per il 2028”, dice Testa.
“La plastica – scrive Rete Tutela Roma Sud – e molti altri derivati del petrolio vengono bruciati negli inceneritori, perché dopo il periodo di monitoraggio dovrebbero continuare a beneficiare di un’anacronistica esenzione?”.
“Il comune di Roma produce 1,9 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, una volta riciclato il 65% al 2035 (1.235.000) restano 665.000 tonnellate di rifiuti non riciclabili. L’impianto (600.000 tonnellate anno) è quindi sottodimensionato”, continua Testa.
“Il Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale prevede che la produzione di rifiuti urbani si attesti a 1.520.000 tonnellate/anno, tenendo conto di arrivare ad almeno il 65% di riciclo “vero” nel 2035, cioè di materiali realmente riciclati, senza tenere conto dell’ampliamento richiesto per San Vittore. Il residuo corrisponde a 532.000 tonnellate, uno dei due è di troppo. Tutto questo, inoltre, non tiene conto dell’evoluzione della normativa, che va dal divieto di alcune tipologie di plastica monouso al recente accordo provvisorio sul regolamento imballaggi, che ne prevede la progressiva riduzione. Perché non essere ambiziosi e investire di più su Riduzione, Riuso e Riciclo, risparmiando totalmente il costo di smaltimento e ridurre veramente la TARI?”, risponde la Rete.
“La verità è che sarebbe irresponsabile non dotare la capitale del Paese, con i suoi 1,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all’anno, di un impianto capace di gestire i rifiuti non riciclabili”, è l’altra frase criticata da Rete Tutela Roma Sud.
“Non tutti i Paesi hanno gli stessi bisogni, l’Italia povera di materie prime e con un clima temperato, non ha bisogno di bruciarle per scaldarsi, aggiungendo CO2 e altri inquinanti nell’atmosfera. I rifiuti non riciclabili possono essere drasticamente ridotti, applicando le buone pratiche adottate in molte parti d’Italia”, è la risposta a Testa.
“Rimane da capire, ma il discorso si farebbe lungo, come mai vari gruppi, fortunatamente minoritari, dedichino tanta energia e tanto livore contro un impianto di cui sono dotate praticamente tutte le capitali europee”, si legge su Huffingtonpost.
“Perché in questo Paese c’è per fortuna ancora tanta gente che crede in un futuro migliore, che passa necessariamente da un ripensamento del modello economico. C’è bisogno subito di una norma sul vuoto a rendere, occorre promuovere l’acqua del sindaco e accelerare sulla riduzione degli imballaggi. Chi tutela l’ambiente difende l’Italia e mette in pratica l’art. 9 della Costituzione, nell’interesse dei nostri figli”, chiarisce la Rete.
“Ancora poche settimane fa una discarica semiabusiva, l’ennesima, è andata a fuoco nel Lazio. Senza che nessuno di questi comitati abbia alzato un sopracciglio”, dice ancora Testa.
“I Comitati combattono da anni il fenomeno delle discariche abusive e dell’abbandono dei rifiuti tramite gli strumenti disponibili: esposti e segnalazioni, alle quali purtroppo molto spesso le istituzioni preposte non danno seguito, come nel caso citato. In un Paese in cui le regole non vengono fatte rispettare, quali garanzie offre un mega impianto da 600.000 tonnellate?”, precisa concludendo Rete Tutela Roma Sud.