La decisione della Giunta Comunale di Roma è quella di costruire un inceneritore per completare il ciclo dei rifiuti che nella Capitale è “per aria” da anni. La decisione è arrivata un po’ a sorpresa, soprattutto, a quanto pare, per le componenti ambientaliste della nuova maggioranza di centro-sinistra e comunque della città. Per qualche anno, in particolare con l’avvento della Giunta Raggi, sembrava che Roma sarebbe stata l’unica delle quattro grandi città italiane a fare a meno di un inceneritore, e che avrebbe fatto della sua arretratezza – dovuta al prolungarsi per anni della discarica di Malagrotta – una spinta a saltare in avanti, con un insieme di buone pratiche, di riduzione dei rifiuti e di tecnologie avanzate.
Adesso quella storia si chiude? Apparentemente sembra di sì. Roma rientra nei canoni. La sua raccolta differenziata non è andata oltre il 44% negli anni migliori 2018/ 2019. Nel 2020 Roma ha seguito la impostazione più restrittiva della gestione dei rifiuti Covid ed è quindi calata sotto il 44 % di raccolta differenziata. Forse sono pochi a credere che si possano chiudere le discariche e anche evitare di esportare rifiuti indifferenziati e… anche evitare di costruire un proprio inceneritore.
D’altra parte nella cultura scientifica ambientalista e anche nelle prevalenti indicazioni europee, l’incenerimento dei rifiuti, ancorché “termovalorizzante”, ha sicuramente perso punti negli ultimi anni. Ci stiamo riferendo al livello internazionale. La Danimarca, sede del decantato impianto di Copenaghen “sul quale si può sciare”, ha avviato un piano di chiusura degli inceneritori. I criteri europei hanno escluso la possibilità di finanziare questi impianti con i soldi del Pnrr o con altri tipi di incentivi pubblici ambientalmente orientati.
Il problema non è tanto quello controverso dell’inquinamento (nel senso di veleni nell’aria), sul quale molto si è lavorato per migliorare il filtraggio degli impianti più recenti. Il problema è quello delle emissioni climalteranti, della CO2 o equivalenti. E’ vero che con questi inceneritori si produce energia, ma il kilowattora così prodotto, bruciando rifiuti nei quali tra l’altro sono presenti plastica e tessuti artificiali, “costa” il triplo di emissioni rispetto a quelle mediamente provocate dalla produzione di energia. Naturalmente bisogna vedere rispetto a cosa si fa questo paragone.
Molti sostenitori dell’inceneritore lo presentano come male minore necessario e inevitabile per gestire la quota di rifiuti che non si riesce a riciclare. Per loro il paragone va fatto con le discariche o con inceneritori lontani, e quindi non ci sarebbe nessun aumento di emissioni, anzi. Per gli ambientalisti, invece, la percentuale del 65% di riciclo sui rifiuti prodotti è da raggiungere e superare rapidamente tramite il porta a porta e il peso totale dei rifiuti può e deve essere ridotto tramite buone pratiche. L’inceneritore sarebbe un disincentivo a perseguire questa strategia e un aggravio di emissioni, in controtendenza con quella che dovrebbe essere la transizione ecologica.
Ma, come dicevamo, il protrarsi delle incertezze sulla gestione dei rifiuti a Roma potrebbe anche far propendere l’opinione pubblica per l’inceneritore. Non è detto. In ogni caso, sondaggi d’opinione a parte, lo scontro si apre davvero non appena si indica un sito preciso dove costruire un impianto del genere e di queste dimensioni. I comitati locali contrari diventano fortissimi. In questo caso, poi, c’è anche da risolvere il (piccolo?) problema che l’inceneritore non è previsto nel piano regionale dei rifiuti (e quindi delle autorizzazioni). In questo aprile 2022, con la sua decisione, la Giunta Gualtieri ha aperto un nuovo capitolo nella storia dei conflitti sulla gestione dei rifiuti a Roma e in Italia. Difficile prevedere come e soprattutto quando si chiuderà. (II capitolo)