“Il comunicato stampa diffuso dal CNR il 10 maggio 2022 (‘Anche le bioplastiche si degradano lentamente nell’ambiente’) è stato pubblicato non casualmente proprio nelle ore in cui si sta discutendo di una possibile via italiana al recepimento della Direttiva europea sulle plastiche monouso. Come è noto, sul punto vi sono tesi diverse e schieramenti opposti. Da una parte vi è chi ritiene che le bioplastiche – fermo restando che la riutilizzabilità resta sempre l’opzione preferibile – possano costituire un possibile piano B considerate le specificità del nostro Paese. Dall’altra parte vi è, invece, chi le critica a prescindere. A questo punto è chiaro quindi il significato strumentale dell’operazione”. Così Assobioplastiche a proposito del comunicato del Consiglio nazionale delle ricerche che fa riferimento allo studio “An In Situ Experiment to Evaluate the Aging and Degradation Phenomena Induced by Marine Environment Conditions on Commercial Plastic Granules”, pubblicato su Polymers.
“Con tale comunicato stampa vengono attaccate alcune categorie di bioplastiche, ma in realtà viene gettata un’ombra sull’intero settore. Assobioplastiche si riserva ovviamente un più ampio e approfondito esame dal punto di vista tecnico dello studio citato, ma sin d’ora rileva tre singolarità lampanti. La prima singolarità è che i ‘risultati’ dello studio vengono diffusi frettolosamente e prematuramente, ossia sulla base del primo campionamento, effettuato dopo soli sei mesi in un esperimento che dura tre anni. Si tratta, in buona sostanza, di risultati preliminari. Un comunicato stampa così assertivo avrebbe forse meritato di aspettare la conclusione dell’esperimento?”
“La seconda singolarità – prosegue l’associazione – è che pur trattandosi di uno studio sui tempi di degradazione questi tempi non vengono effettivamente misurati. L’articolo non risponde infatti alla domanda ‘Quali tempi di degradazione hanno le bioplastiche rispetto a quelle convenzionali?’. Più specificamente, nello schema sperimentale della prova manca un elemento fondamentale per contestualizzare i risultati e dare un senso al termine ‘significativo’ riferito a degradazione, ‘lungo’ riferito a tempo e via dicendo: si tratta del pellet di materiale lignocellulosico, ossia un composito polimerico naturale che è necessario, come il metronomo con la musica, per dare significato alla durata, per calibrare l’esperimento e capire cosa significa ‘veloce’ e ‘lento’ in natura, al di là delle aspettative soggettive degli sperimentatori”.
Ancora: “La terza singolarità è che si parla di ‘rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento’ ma l’articolo pubblicato in Polymers non affronta in nessun modo il tema della valutazione del rischio. Si tratta di un tema importantissimo e che Assobioplastiche ritiene fondamentale nel momento in cui si cerca di porre in essere azioni di mitigazione dei danni legati al rilascio involontario in ambiente di articoli monouso ed imballaggi. L’articolo, tuttavia, non prende in esame nessuno dei parametri legati alla determinazione del rischio che, come noto, prevede la determinazione del pericolo e della concentrazione prevista in ambiente. È quindi proprio il caso di dire che la gatta frettolosa fece i gattini ciechi”.
Infine l’associazione chiude il comunicato dicendo: “Spiace dover dialogare a mezzo di comunicati stampa, laddove sarebbe preferibile rimanere nell’ambito della discussione scientifica, che Assobioplastiche ritiene vitale e stimolante e spera poter continuare nelle sedi opportune con i ricercatori interessati al tema della biodegradazione delle bioplastiche”.