‘I recuperanti, un racconto’ | Seconda parte

Pubblichiamo la seconda parte del racconto di Julia Virginia D’Angelantonio, allieva della scuola Holden di Torino, che si è recata al mercato di Porta Palazzo dove ogni giorno si tiene il mercato e si recupera molta frutta e verdura invenduta che viene ridistribuita gratuitamente. Un luogo in cui si incontrano persone molto diverse che hanno attirato l'attenzione e la curiosità dell'autrice, portandola a raccontare della "Recupera": "Come viene chiamata tra i ragazzi che frequentano il mercato" e della storia dei suoi protagonisti

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È più di un’ora che sono seduta sui gradini della scalinata, ora sono all’ombra e comincio a sentire freddo per via dell’umidità che arriva dal suolo. Saluto Elisa quando al mio lato prende posto una signora che, ben più accorta di me, noto essersi seduta su una cassetta di cartone per sentire meno il freddo dato dall’umidità del pavimento. Anche Teresa è peruviana però della capitale, di Lima. È rimasta vedova molto giovane, il marito faceva l’autista di camion quando perse la vita in un incidente lasciandola sola con due figli piccoli.

Non aveva mai lavorato prima, il marito non le faceva mancare nulla e si preoccupava che lei rimanesse con i figli. Aveva un’amica che qualche anno prima si era trasferita a Torino, tornava sempre con le valigie piene di vestiti e cose belle, “si vedeva che lì c’erano i soldi e le persone stavano bene, questa me l’ha regalata lei” mi dice indicandomi la borsa di Enrico Coveri che indossa. “Allora ho chiesto alla mia amica se poteva mettermi in contatto con le persone che organizzano il viaggio e rimediarne uno anche per me, prima non si poteva viaggiare con il visto turistico come si fa oggi e quindi avevamo bisogno di chiedere a queste persone, li chiamavamo i “Coyotes” perché sono degli animali frustrati, non dormono, nascondono i soldi sotto terra, approfittandosi delle persone in difficoltà. Pagai 8000 dollari a uno di questi “Coyotes” per il viaggio, erano gli unici soldi che mio marito mi aveva lasciato come eredità.

Feci un viaggio lunghissimo, Lima, Buenos Aires, Sao Paolo, Copenaghen e Milano, con gli argentini ancora ci capivamo, poi con i brasiliani non si capiva già più molto e quando sono arrivata in Europa mi sentivo piangere dentro, mi chiedevo ma cosa sto facendo, dove sto andando, ma cosa sto cercando? Avevo paura perché mi avevano detto che a Milano facevano i controlli dell’immigrazione, che non ce n’erano molti di “Passadores”, che sono quelli che di solito ti fanno passare, allora sono scappata dritta verso l’uscita senza voltarmi indietro e a Milano ho preso il primo taxi per Torino porta Nuova. Ormai mi sono abituata sono tanti anni che sono qui, anche i miei figli si sono abituati e non vogliono più tornare in Perù.

Adesso ho tutti i documenti in regola e non voglio più lavorare in nero ma continuano a propormelo, mi hanno parlato di questa signora anziana che ha bisogno di assistenza ma non può pagare più di 500 euro perché anche lei non ce la fa con i pochi soldi della pensione, non c’è soluzione, o decido di lavorare in nero per pochi soldi o lei non avrà nessuno ad aiutarla. Ci sono tanti ragazzi giovani che arrivano qua e pensano di trovare subito lavoro, ma non è così, prima bisogna imparare la lingua, io ho sofferto per cinque anni, qui non ti perdonano nulla, non sai quante multe mi ha fatto il controllore perché non capivo come fare il biglietto sui mezzi. Dovrebbero dire la verità a quelli che vogliono venire, dire che non si trova lavoro facilmente, che è difficile anche qui.” “Non è ancora arrivato il signore del pane?” Si interpone tra di noi un ragazzo molto alto, anche lui con il numero in mano, che prende posto sulla scalinata. Ora attendiamo tutti l’inizio della distribuzione seduti sui cartoni davanti al banco della “Recupera”, anche Elisa con il suocero che sono in videochiamata con dei parenti dall’altra parte del mondo, finché alle 14:30 le sentinelle salva cibo cominciano a chiamare i numeri e a distribuire le cassette. Arriva anche il mio turno, recupero tanti cavoletti di Bruxelles, limoni, arance, avocado, broccoli e cavolfiore, qualcuno ha ricevuto molti pomodori e li divide con chi ne ha presi meno, tutti si danno consigli su come conservare il cibo.


“Dalle banane troppo mature si può fare del buon banana bread oppure si possono congelare e fare dei ghiaccioli” suggerisce una delle volontarie.’’ Ecco che arriva Yuri con il pane recuperato dai
panifici della zona, provo a cercare lo sguardo del ragazzo alto per avvisarlo che gentilmente mi ricambia con un sorriso. Con la cassetta sufficientemente carica, saluto i miei amici della “Recupera” e mi dirigo verso la macchina. “È bello perché c’è tanta umanità, mi fa sentire bene, è terapeutico raccogliere le cose che andrebbero sprecate e scambiarsi sorrisi e gesti d’affetto, io vivo a Torino nord ma vengo qui perché non ho molto da fare, sono uno scapolotto di 68 anni, vengo fin qua almeno esco un po’ e incontro qualcuno” mi racconta Luca, un uomo di origini siciliane che mi aiuta a caricare la cassetta in macchina, gli chiedo se vuole qualche finocchio, ne ho molti, mi risponde di no, che la verdura non la mangia, di tenerla per me che, come gli ho raccontato, siamo tanti in casa.


Sono ormai le quattro del pomeriggio, il sole ha oltrepassato i palazzi e nel mercato, ormai del tutto in ombra, la presenza umana viene ben presto sostituita da grandi ruspe metalliche dedite a raccogliere gli ammassi di cassette e residui rimasti. Transitano esausti gli ultimi carretti che, caricano sulle spalle i pesanti banchi in legno, all’orizzonte tra il rumore delle aspirapolveri e degli idranti intravedo nella desolazione il signore con le scarpe di tre numeri più grandi che chino, rovista tra le montagne di rifiuti, cercando ancora qualcosa da salvare.

(La prima parte qui)