Le sedie sono poste sui marciapiedi, in mezzo alla piazza, qualcuno è seduto circondato da altri che si trattengono in piedi, si salutano, si uniscono alle chiacchiere del mezzogiorno. “Cos’hai comprato? Cos’hai lì?! Ma che bei datteri, prendi! prendine pure”. Sono incontri accidentali, ricordano che il mercato è anche un momento di socialità casuale e quotidiana, un momento di recupero della vita di strada fatto dalle persone che la abitano e non un momento isolato e appuntato sull’agenda collaudata del nostro tempo. “Lo spinacio bello a due euri al chilo” “è l’ultimo!! In offerta!” Si sgolano gli ambulanti nel tentativo di vendere tutto quello che rimane sul banco. “Dai lo spinacino bellino” Sento in lontananza lo strillo dell’ambulante appannato dai rumori di ferraglia di chi, ha già venduto tutto e si appresta a chiudere il banchetto e tornare a casa. Lo sbattere delle ali dei piccioni e delle cornacchie, gli sputi, le gritas sudamericane. Il tram che passa sui binari, suonerie squillanti dei telefoni: “Non ti trovo dove sei?, Io sono vicino al bancone di dove si fa la recupera, davanti ai bagni del mercato coperto”.
La “Recupera”, è così che viene chiamata tra i ragazzi che frequentano il mercato di porta palazzo dove, ogni giorno viene raccolto e ridistribuito il cibo che altrimenti verrebbe buttato dai commercianti. Il progetto è nato nel 2016 da un’idea di “Eco dalle città”, un’associazione e notiziario digitale dedicato all’ambiente urbano. È nato all’interno del piano di RePoPP (acronimo di Progetto valorizzazione Organico Porta Palazzo) per migliorare la pulizia dei rifiuti organici del mercato. Negli anni si resero conto del significativo spreco di cibo ancora adatto al consumo così che nel 2016 nacque il progetto delle sentinelle salvacibo: sono un gruppo di collaboratori, la maggior parte di origine africana, che ogni giorno si occupa di raccogliere gli alimenti scartati dai venditori dei banchi mettendoli a disposizione di chi ne ha necessità. In questo modo non solo non si spreca cibo, ma non si sprecano neppure tutte le altre materie prime che vengono utilizzate per produrre o spostare quei beni alimentari.
L’attività si espande anche in altri sette mercati della città di Torino (Via Porpora , Piazza Foroni, Borgo Vittoria, Corso Cincinnato, Corso Svizzera, Onorato Vigliano e Santa Rita) dove ad oggi la distribuzione delle cassette è di tre volte a settimana, mentre a Porta Palazzo tutti i giorni. “Ogni giorno vengono recuperati circa 200 kg di frutta e verdura, e in estate si raggiunge anche la tonnellata al giorno” spiega Luigi Vendola, autore di Eco dalle città; “nel 2023 solo al mercato di Porta Palazzo sono state recuperate 72 tonnellate di frutta e verdura, in estate i numeri aumentano in quanto i venditori non hanno frigoriferi in cui poter conservare gli alimenti. Rispetto agli anni precedenti il numero di frutta e verdura è diminuito, come quello dei medicinali, è aumentato dunque il prezzo e calata la domanda anche i commercianti ne acquistano sempre meno.”
Davanti alla nostra conversazione filano donne in bici, giovani con cartelle da scolaresca e anziane dai visi incorniciati da turbanti colorati. Qualcuno litiga, c’è un ragazzo magro con dei tatuaggi sul collo che si scaglia contro un signore: “ha rubato della frutta” dice una signora, “ormai è una lotta tra galli”, lo scriva questo, aggiunge guardandomi.
Carri e carretti transitano tra i corridoi del mercato, riconosco un signore con cui avevo parlato qualche giorno prima, indossa delle scarpe molto grandi, saranno almeno di tre numeri in più rispetto al suo, cammina lento, strisciando le grandi scarpe nella piena del mercato, stringe tra le mani incurvate una sigaretta che continua a fumare nonostante ne sia rimasta solo la cenere. Un signore dietro di lui gli urla di fare attenzione, di spostarsi; l’uomo traina una ventina di cassette di plastica legate tra loro con un filo di nylon. Lui di lavoro fa solo quello, riordina e cataloga le cassette, le cassette sono così tante che hanno dovuto assumere una persona apposita che le raccogliesse alla fine del mercato, ogni giorno impiega circa tre ore per sistemarle tutte.
C’è un odore umido di incenso e di frutta fresca, si sente il fruscio delle buste di plastica e il cigolio dei vari velocipedi che si sovrappongono al suono dei portelloni dei camion che si chiudono, gli stessi camion che passano a velocità sconsiderata tra i pedoni non badando al movimento del mercato che più si avvicina l’ora di pranzo più procede verso la sua naturale tendenza all’entropia. Litigano di nuovo “un po’ di rispetto per le persone anziane” dice un’ambulante con la sigaretta in bocca allo stesso ragazzo con i tatuaggi di prima che, evidentemente è lui ad attaccare brighe, o, come direbbero nei mercati di provincia dove sono cresciuta: cerca rogna. Bei signorotti dai lunghi cappotti blu comprano le arance nelle offerte dell’ultimo minuto tra la tosse di chi, come me, s’era illuso che fosse già arrivata la primavera.
La piazza si riempie sempre più di piccioni e volatili che planano sul crescente numero di alimenti gettati in terra. Uno dei frettolosi camion guidato dall’attacca brighe mi si parcheggia davanti ostruendo la mia visuale sul banco della recupera, ne approfitto per alzarmi dalla scalinata e andare a prendere il numero, torno e accanto a me si siede la signora Elisa. Elisa è originaria del nord della costa del Perù, della provincia di Piura. È una donna piuttosto minuta dal grande sorriso, tra le mani arrotola una sciarpa gialla con dei dettagli azzurri del colore degli orecchini che indossa. La figlia vive a Torino da più di quindici anni, ha deciso di trasferirsi anche lei quando è nato il suo quinto nipotino, non sopportava l’idea di non veder crescere i suoi nipoti o che, perdendo l’uso dello spagnolo non sarebbe più riuscita a esprimersi con loro. Lavora a ore facendo le pulizie vicino a Porta Palazzo ed è qui a recuperare una cassetta di frutta e verdura gratis, sono in tanti e fare la spesa costa sempre più. Lei ha il numero 5 io il 10. La raggiunge il marito della figlia e insieme mi lasciano per un attimo di nuovo da sola per comprare del pescado. Desidera cucinare la Chupe de marisco, una zuppa tradizionale peruviana , “anche se non proprio come quella peruviana è comunque buona” dice (…).
(Seconda parte: qui)