C’è un filo sottile che lega cibo, energia, natura e perdite economiche. Quel filo è lo spreco alimentare, una delle facce di un sistema alimentare globale, sempre più insostenibile e malato. Infatti, nonostante gli impegni per una transizione ecologica scritti sulla carta, ad oggi una buona parte della produzione alimentare globale, un terzo secondo la FAO, non arriva sui nostri piatti. Si perde o si spreca da qualche parte lungo le filiere produttive che vanno dalla raccolta alla trasformazione, dal trasporto alla conservazione, ma soprattutto all’interno delle nostre case. E se le tendenze attuali persisteranno, la perdita e lo spreco di cibo raddoppieranno entro il 2050.
Nella Giornata Nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, il WWF aggiunge un altro elemento a questa analisi: perdite e sprechi non sono soltanto chilogrammi, o tonnellate, di alimenti ma sono anche uno “spreco di natura” e uno spreco economico enorme. Si tratta di costi “nascosti”, una enorme fetta di capitale naturale, pari per l’Italia a 140 miliardi di litri solo guardando all’acqua sprecata insieme al cibo che gettiamo ogni anno, ma anche di capitale economico che buttiamo via con alimenti che nessuno mangia: finiscono nella spazzatura degli italiani qualcosa come circa 300 euro ogni anno.
Sprecare cibo ancora buono da mangiare oltre a porre una questione etica – basti pensare al numero sempre maggiore di persone che non hanno accesso a cibo sufficiente, ma anche all’impoverimento di una fetta crescente della popolazione – genera un impatto negativo sull’ambiente e sulla nostra salute. Per questa ragione l’ONU ha inserito tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, il Goal 12.3 che prevede di “dimezzare lo spreco alimentare pro capite globale”. Dimezzando gli sprechi potremmo, per esempio, sfamare un miliardo di persone al mondo.
Nel complesso, l’eliminazione degli sprechi è anche un’importante strategia di mitigazione ambientale. Se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe il terzo maggiore produttore di gas climalteranti dopo gli Usa e la Cina. Lo spreco di cibo è responsabile del 20% del consumo di acqua dolce e di fertilizzanti, e del 30% dell’uso globale dei terreni agricoli. E c’è di più: il valore economico del cibo sprecato a livello globale si aggira intorno a 1.000 miliardi di dollari all’anno, ma sale a circa 2.600 miliardi di dollari se si considerano alcuni dei costi «nascosti» legati all’acqua e all’impatto ambientale. Sebbene il cibo venga perso lungo tutta la catena di approvvigionamento, nei Paesi ad alto reddito le perdite si verificano soprattutto a livello di post-vendita e di consumo e variano tra 124 e 154 kg pro capite all’anno e comportano un costo economico elevato, stimato al 10-25% della spesa alimentare annua delle famiglie.
In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Waste Watcher, nonostante una maggior attenzione agli sprechi alimentari, gettiamo individualmente poco meno di mezzo chilo di cibo a testa ogni settimana, circa 25 kg in un anno, con in testa un incremento dello spreco di frutta e verdura fresca, latte, yogurt, pane, componenti fondamentali di una nutrizione sana, che sottraiamo alla nostra dieta, sempre più squilibrata. Anche a causa dei rincari e dell’inflazione, stiamo assistendo a quello che viene chiamato uno “spreco calorico” ossia un eccesso di alimenti di basso valore nutrizionale (e a basso costo) c nella dieta, con ripercussioni negative sulla nostra salute. Diete sbagliate aggiungono, infatti, ai costi ambientali ed economici, anche costi sanitari per curare le malattie legate alla malnutrizione per eccesso o per difetto di alcuni nutrienti.
Ad oggi finiscono nella pattumiera solo dallo spreco che avviene nelle nostre case circa 6 miliardi di euro a cui vanno aggiunti ~9 miliardi euro dello spreco di filiera, che fanno che fanno in media circa 15 miliardi di euro all’anno, circa un punto di Pil (senza considerare i costi ecologici), solo in Italia. Eppure, sempre in Italia, cresce il numero di persone che fatica a nutrirsi regolarmente e oltre il 9,4% della popolazione versa in condizione di povertà.
“Dobbiamo azzerare almeno lo spreco alimentare domestico, quello che, come cittadini, possiamo controllare direttamente a partire da cosa e dove acquistiamo gli alimenti, da come li conserviamo, da come mangiamo nelle nostre case ma anche nei ristoranti e nelle mense. Non sprecare significa risparmiare, perché se si scarta un alimento ancora buono da mangiare, si paga un prezzo non solo per il costo che abbiamo sostenuto personalmente ma anche il costo relativo a tutti i passaggi della filiera che lo ha portato sulle nostre tavole. Per ogni prodotto che buttiamo in realtà stiamo buttando soldi e Natura nella spazzatura” afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. È urgente agire per eliminare una pratica ormai appartenente ad un sistema economico e sociale insostenibile sotto tutti i punti di vista, riducendo a zero lo spreco alimentare dal produttore al consumatore. Come cittadini, solo cambiando le nostre abitudini a livello individuale e collettivo, gli impatti ambientali e socio-economici dello spreco domestico e delle diete sbagliate potranno essere ridotti drasticamente.
Nell’attuale contesto globale complesso, dove sono sempre più evidenti gli effetti delle crisi ambientale ed economica, e le loro molteplici conseguenze, è importantissimo che le istituzioni promuovano questa transizione, coinvolgendo città e cittadini, enti pubblici, imprese, associazioni e scuole per raggiungere insieme l’obiettivo comune.