Più del 60 per cento degli 11 miliardi di bottiglie immesse al consumo in Italia ogni anno non vengono riciclate. È quanto emerge dal rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”, da cui si deduce che circa 7 miliardi di contenitori in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli) da 1,5 litri, usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari, contribuendo in modo massiccio all’inquinamento del pianeta. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850 mila tonnellate di CO2 equivalenti, che aggravano la crisi climatica.
“L’Italia è uno dei maggiori consumatori globali di bottiglie di plastica per le acque minerali e le bevande. Ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Se vogliamo ridurre l’inquinamento da plastica nei nostri mari, le grandi aziende devono fare la loro parte e promuovere soluzioni a basso impatto ambientale come l’impiego di contenitori lavabili e riutilizzabili”.
Le aziende leader del mercato nazionale di acque minerali sono San Benedetto, Nestlé-San Pellegrino e Sant’Anna, mentre Coca Cola, San Benedetto e Nestlé-San Pellegrino dominano il mercato italiano delle bibite. Non è accettabile che questi grandi marchi continuino a pubblicizzare il riciclo come soluzione quando appena il 5 per cento del PET riciclato in Italia viene usato per produrre nuove bottiglie. Si tratta di una situazione inaccettabile, resa possibile dall’inazione della politica che non ha definito quote obbligatorie di impiego per i contenitori riutilizzabili, né incentivato sistemi di deposito su cauzione come avviene ormai da decenni in numerosi Paesi europei.
“Il recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso, che dovrebbe avvenire entro il 3 luglio, sarebbe un’ottima occasione per ridurne subito l‘impiego e promuovere il riutilizzo seguendo l’esempio tedesco e francese. Eppure, a due giorni dall’entrata in vigore della direttiva, non abbiamo ancora alcuna indicazione dal ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani sul decreto di recepimento. Non si accompagna il Paese verso una reale transizione ecologica se tonnellate di plastica continuano a finire nei nostri mari”, conclude Ungherese.
Per evidenziare come l’uso di gas e petrolio e l’impiego di plastica siano due facce della stessa medaglia, entrambi riconducibili a un’economia basata sullo sfruttamento delle fonti fossili, questa mattina volontari e volontarie di Greenpeace hanno esposto su una spiaggia di Polignano a Mare (Bari) un grande striscione con scritto “Ci state bruciando il futuro”, e altri striscioni che ricordano come la plastica sia prodotta a partire dal petrolio.
Nelle scorse settimane Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere alle aziende leader del mercato di ridurre drasticamente il ricorso a bottiglie in plastica monouso e adottare sistemi di vendita basati sull’impiego di contenitori riutilizzabili per ridurre l’inquinamento marino e la dipendenza da petrolio e gas fossile. In queste settimane l’associazione ambientalista è impegnata nella spedizione di ricerca “Difendiamo il Mare”, svolta in collaborazione con la Fondazione Exodus, l’Università Politecnica delle Marche e il CNR-IAS di Genova. Dopo Bari, la spedizione toccherà l’Area Marina Protetta di Torre Guaceto, per concludersi il 10 luglio a Brindisi, con l’obiettivo di misurare l’impatto della contaminazione da plastica e microplastica e dei cambiamenti climatici in Adriatico.
Scarica il rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”.