Secondo quanto denuncia un rapporto pubblicato oggi da Greenpeace Italia, nel nostro Paese non esistono dati pubblici sulla possibile contaminazione da TFA, la molecola del gruppo dei PFAS più diffusa globalmente. Si tratta di una molecola costituita da due atomi di carbonio che può essere sintetizzata artificialmente o derivare dalla degradazione di circa duemila PFAS, come alcuni gas refrigeranti fluorurati (ad esempio HFCs e HFOs), polimeri fluorurati, pesticidi, farmaci e schiume antincendio. Il TFA è una sostanza persistente e indistruttibile che, per le sue stesse caratteristiche, non può essere rimossa dai più comuni trattamenti delle acque potabili. Servono interventi urgenti per limitare le emissioni in natura prima che gli impatti sugli esseri umani e sull’ambiente diventino ancora più evidenti e irreversibili.
Nel corso degli ultimi anni numerose ricerche hanno evidenziato come il TFA sia trovato ovunque venga cercato: dalle acque potabili, alla polvere domestica fino al sangue umano. Di recente ne è stata accertata la presenza in dieci marchi di acqua minerale e di sorgente venduti in Europa. Ma anche in succhi di frutta, puree di frutta e verdura, nella birra, nel tè, in numerose specie vegetali tra cui il mais, nella polvere domestica, nelle urine e anche nel sangue umano, con concentrazioni paragonabili a quelle dei PFAS a catena lunga più studiati e noti per essere bioaccumulabili.
Pur non avendo un quadro chiaro circa gli impatti sanitari, potremmo essere all’inizio di una storia che si ripete: come già accaduto per i PFAS oggi noti per essere cancerogeni, fino a pochi anni fa non avevamo informazioni esaustive. Oggi sappiamo che il TFA è sicuramente una molecola a cui siamo continuamente esposti (e potremmo esserlo per l’intera nostra esistenza), può essere incorporato in molecole biologiche come le proteine, causare danni al fegato, essere trasmesso facilmente dalla madre al feto attraverso la placenta, e, infine, alcune prove indicano che sia tossico per lo sviluppo embrionale nei mammiferi. In base a queste evidenze, la Germania ha già chiesto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di verificare se possa essere classificato come tossico per la riproduzione umana.
«Mentre gli scienziati trovano il TFA ovunque lo cerchino e, parallelamente, emergono prove inconfutabili circa la contaminazione irreversibile che origina e la continua esposizione degli esseri umani, in Italia non sappiamo quanto sia ampia la diffusione di questa pericolosa sostanza», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «A causa della contaminazione da PFAS e delle insufficienti risposte della politica, le persone che nel nostro Paese vivono nelle zone più esposte al rischio stanno già pagando un prezzo elevato. Quando il governo Meloni e i ministeri competenti intenderanno attivare controlli e misure urgenti per tutelare l’ambiente e la nostra salute?».
Gli unici dati pubblici disponibili sull’inquinamento da TFA nel nostro Paese sono quelli ufficiali di ARPA Veneto riguardo i monitoraggi sulla presenza di PFAS ultracorti nelle falde sottostanti l’industria farmaceutica FIS di Montecchio Maggiore (VI), dove furono registrate concentrazioni superiori ai 100 mila nanogrammi per litro. Per stilare la prima mappa della contaminazione da PFAS – TFA incluso – nelle acque potabili di tutte le regioni italiane, lo scorso ottobre Greenpeace Italia, nell’ambito della sua campagna Acque senza veleni, ha raccolto campioni in oltre 240 città su tutto il territorio nazionale. Il prossimo 22 gennaio l’organizzazione ambientalista pubblicherà gli esiti delle analisi indipendenti realizzate.
Qui il rapporto “TFA, il PFAS più presente sul pianeta”