Green Deal europeo, come si sta sviluppando la transizione ecologica nelle città | Seconda parte

Dal clima all’energia, dall’industria al settore delle costruzioni, dalla mobilità all’inquinamento, dalla biodiversità al cibo, il GD interviene su tutti i settori cruciali dell’economia europea. L’obbiettivo finale è quello di portare l’Ue ad essere il primo continente a zero emissioni nette nel 2050. Per raggiungere questo ambizioso traguardo il patto prevede un obbiettivo intermedio di abbattimento delle emissioni climalteranti (GHG) del 55% rispetto al 1990 entro il 2030. Le città saranno attori di importanza cruciale nella transizione, infatti, pur ricoprendo solo il 3% della superficie terrestre continentale, ospitano i tre quarti della popolazione europea e producono oltre il 70% delle emissioni di GHG

Green Deal europeo

L’articolo che segue è la seconda di una prima parte.

Inquinamento atmosferico

Il Green Deal non si occupa solo climate change ma estende la sua portata anche ad un tema come l’inquinamento. In particolare, la Commissione Ue ha posto l’obbiettivo “inquinamento zero” in relazione alla presenza di sostanze tossiche nell’aria, nell’acqua, nel suolo e nei prodotti di consumo. A livello urbano il problema maggiore è chiaramente l’inquinamento atmosferico. Anzitutto va ricordato che al 2020, circa il 96% dei cittadini residenti nelle città europee risultava esposto a livelli di inquinamento da PM 2.5 superiori a quanto prescritto dall’OMS. Inoltre, uno studio basato sui dati del 2015 e comprendente 1000 città europee, ha dimostrato come il rispetto dei livelli di qualità dell’aria, sempre indicati dall’OMS e riguardanti in particolare i livelli di PM 2.5 e NO2 (biossido di azoto), potrebbe prevenire oltre 52.000 morti l’anno all’interno dell’Unione europea.

Le principali cause dell’inquinamento atmosferico restano il traffico motorizzato, il riscaldamento degli edifici, i processi industriali e le emissioni inquinanti provenienti dagli allevamenti intensivi

Il Piano d’azione dell’’Ue “Verso l’inquinamento zero per l’aria, l’acqua e il suolo” del 2021, riporta tra i suoi obbiettivi quello di raggiungere entro il 2030 livelli di qualità dell’aria che riducano del 55% le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico. L’implementazione del piano ha visto, nel 2022, la Revisione della Direttiva 2008/50/CE, con la quale sono stati introdotti limiti più stringenti sulle concentrazioni di diversi inquinanti da raggiungere entro il 2030. In particolare, per il PM2.5 e per il NO2 le concentrazioni ammesse passano rispettivamente da 25 a 10 µg/m³ e da 40 a 20 µg/m³. Questi valori non risultano essere in linea con le prescrizioni OMS che prevedono 5 5 µg/m³ per il PM2 e 10 µg/m³ per il NO2. 

L’ “Accordo provvisorio sulla direttiva riveduta relativa alla qualità dell’aria” tra Consiglio e Parlamento, adottato a inizio 2024 ha confermato i valori posti dalla revisione del 2022, ma ha anche introdotto una possibilità di deroga di 10 anni (gli obbiettivi potranno essere raggiunti nel 2040 anziché nel 2030) per alcuni paesi con necessità specifiche. L’Italia, uno dei paesi più colpito dal problema dell’inquinamento atmosferico, ha chiesto e ottenuto la deroga. Da questo punto di vista risulta chiara la difficoltà della Ue nel riuscire a far adottare agli stati membri misure ambiziose sulla qualità dell’aria, con ripercussioni importanti sulla salute dei cittadini europei. 

Gestione rifiuti

Altro importante tema di connessione tra il Green deal e la dimensione urbana riguarda il trattamento dei rifiuti. Secondo i dati del 2021, nell’EU27 il totale dei rifiuti urbani trattati in un anno è stata di circa 232 milioni di tonnellate, pari ad una produzione pro-capite media di 527 kg/ab. La quota di rifiuti urbani avviati al riciclaggio si attesta intorno al 49%, con aumento medio di 10.7 punti percentuali rispetto al 2010. L’Italia presenta valori sopra la media europea con una quota totale di rifiuti avviati a riciclo di circa il 57%.

In quanto colonna portante del Green Deal, nel 2020 la Commissione ha adottato il “Nuovo piano di azione sull’economia circolare”, con il quale si intende favorire la transizione europea e ridurre la pressione sulle risorse naturali. Il piano, in relazione al trattamento dei rifiuti urbani, contiene solo un vago obbiettivo di riduzione senza specificare numeri o scadenze. La direttiva a cui fare riferimento in questo caso è la 2018/851, nella quale si stabilisce che gli Stati membri debbano raggiungere un tasso di riciclaggio di almeno il 65% in peso dei rifiuti urbani entro il 2030 e di almeno il 70% in peso entro il 2035. Considerando che ad oggi il tasso medio di riciclaggio per l’UE27 equivale al 48.7%, l’obbiettivo 2030 sembra ancora lontano dall’essere raggiunto. 

Adattamento ai cambiamenti climatici

Ultimo tema rilevante sul rapporto tra Green Deal e politiche urbane, riguarda il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Come riporta l’EEA nel “Rapporto sull’adattamento urbano in Europa” (2023) scarsità d’acqua, riduzione della qualità dell’acqua, diffusione di vettori di malattie infettive, tempeste, incendi boschivi, frane e inondazioni costiere dovute all’innalzamento del livello del mare stanno aumentando nelle aree urbane”. 

Secondo la Commissione Ue già oggi il cambiamento climatico provoca, in media, danni per 12 miliardi di euro l’anno. Va detto che gli effetti nefasti della crisi climatica non si distribuiscono in maniera omogenea sul territorio UE, andando a colpire in particolare gli stati centrali e meridionali. 

Per rispondere all’esigenza dell’adattamento, la Commissione ha adottato, nel 2021, una “Strategia europea per l’adattamento” con l’obbiettivo fare dell’Europa un continente “climaticamente-resiliente” entro il 2050. 

Secondo i dati dell’EEA, ad oggi circa il 51% delle città europee ha adottato piani di adattamento, in aumento rispetto al 26% del 2018. Da un’analisi su 711 piani di adattamento locali emerge che la maggiori parte delle azioni intraprese hanno riguardato “misure fisiche e tecnologiche”, come l’installazione di barriere artificiali per il contenimento dell’innalzamento del mare o la costruzione di argini per mitigare i rischi di inondazione. Le città in questione hanno fatto spesso ricorso alle Nature Based Solution (NBS), o soluzioni basate sulla natura. Queste riguardano principalmente azioni quali la riqualificazione e creazione di nuovi parchi e foreste urbane, la piantumazione di alberi singoli, edifici verdi con tetti e facciate verdi, e miglioramento della gestione delle acque urbane attraverso misure di ritenzione idrica naturale. Circa il 91% dei piani di adattamento esaminati conteneva azioni NBS. 

Uno dei limiti che si evidenzia in questo caso riguarda il gap tra le risorse necessarie per mettere in sicurezza città e territori e i finanziamenti stanziati fino a questo momento. Infatti, come affermano i nuovi “Rapporti sull’Economia per la Prevenzione e la Preparazione alle Catastrofi” (2024), pubblicati dalla Banca Mondiale insieme alla Commissione Europea, a fronte di investimenti necessari per l’adattamento in Europa che variano tra i 15 e i 64 miliardi di euro l’anno, il gap potenziale varia dai 13 ai 50 miliardi. 

Per concludere, il rapporto tra Green Deal, politiche europee e iniziative a livello urbano, nonostante alcune buone impostazioni strategiche e qualche timida azione intrapresa, viaggia su una strada piena di ostacoli di tipo politico, finanziario, economico, sociale e tecnologico. Le città sono luoghi in cui si giocano sfide decisive rispetto ai temi della crisi climatica, del degrado ambientale e della pressione sugli ecosistemi e sulle risorse. Responsabilità del prossimo Parlamento europeo sarà quella di ricalibrare il tiro e rendere più efficace e concreta l’azione climatica e ambientale dell’Ue. In gioco c’è molto e il tempo è molto poco.