L’8 e il 9 giugno 395 milioni di cittadine e cittadini europei saranno chiamati alle urne per eleggere i nuovi rappresentanti del Parlamento Ue. Si tratta di un appuntamento cruciale per la vita dell’Unione europea poiché i nuovi eletti dovranno affrontare sfide di enorme portata: uno scenario internazionale segnato da crescenti tensioni e conflitti, una situazione di politica interna caratterizzata da importanti divisioni su temi come l’economia, la gestione dei flussi migratori e i diritti e – non ultima – la questione della crisi climatica e ambientale. Su questo particolare fronte la posta in gioco è altissima, tanto che le prossime votazioni sono state definite da molti “elezioni climatiche”.
L’Ue nell’ottica di rispettare gli accordi di Parigi e contribuire a contenere il riscaldamento globale entro 1.5°C rispetto al periodo pre-industriale, ha promosso nel 2019 il Green Deal, un enorme piano di iniziative pubbliche e private con lo scopo di rendere l’economia europea ambientalmente sostenibile attraverso una decarbonizazione massiccia e trasversale.
Dal clima all’energia, dall’industria al settore delle costruzioni, dalla mobilità all’inquinamento, dalla biodiversità al cibo, il “patto verde” interviene su tutti i settori cruciali dell’economia europea. L’obbiettivo finale è quello di portare l’Europa ad essere il primo continente a zero emissioni nette nel 2050. Per raggiungere questo ambizioso traguardo il Green Deal prevede un obbiettivo intermedio di abbattimento delle emissioni climalteranti (GHG) del 55% rispetto al 1990 entro il 2030. Considerando che nel trentennio 1990-2021 ne sono state abbattute appena il 29% (anno base 1990), l’obbiettivo a breve termine è quello di abbattere le emissioni di un ulteriore 25% in soli 9 anni.
Se i numeri non bastano a rendere l’idea può essere utile ricordare che da qui ai prossimi anni sarà necessario smettere di bruciare i combustibili fossili (responsabili per circa l’80% delle emissioni mondiali) e passare ad un sistema di produzione dell’energia basato sulle rinnovabili e sulle fonti a basse emissioni. Accanto a ciò, interi settori dovranno essere rivoluzionati: l’elettrificazione dei trasporti, l’efficientamento energetico degli edifici, l’abbandono del modello intensivo in agricoltura, la transizione green delle filiere industriali sono solo alcune delle trasformazioni necessarie ad imboccare la via della decarbonizzazione.
Le aree urbane
Ma oltre ai sistemi produttivi, anche quelli socio-economici sono chiamati a fare la loro parte nella transizione ecologica. In particolare, come sottolinea anche il Green Deal, le città saranno attori di importanza cruciale nel passaggio ad un’economia verde. Le aree urbane infatti, pur ricoprendo solo il 3% della superficie terrestre continentale, ospitano i tre quarti della popolazione europea e producono oltre il 70% delle emissioni di GHG. E sono proprio le città i luoghi più esposti agli impatti negativi dei cambiamenti climatici.
Quindi: come si sta sviluppando il Green Deal nelle città europee? Concentriamo l’attenzione su cinque ambiti: gli edifici, la mobilità urbana, l’inquinamento atmosferico, i rifiuti e l’adattamento.
Edifici ad emissioni zero
Agli edifici (residenziali e non) sono attribuibili circa il 14% di emissioni dirette di GHG a livello europeo. Queste sono in gran parte dovute all’utilizzo di combustibili fossili per il riscaldamento di acqua e spazi abitati. Per restare in linea con gli obbiettivi del Green Deal però, il parco immobiliare europeo dovrà essere in gran parte rinnovato e reso più efficiente. Per questo motivo il 12 marzo 2024 è stata approvata dal Parlamento Ue l’Energy Performance of Building Directive (EPBD) meglio nota come direttiva Case green. Lo scopo del provvedimento è quello di riqualificare il patrimonio edilizio migliorandone l’efficienza energetica, rendendo l’intero settore a emissioni zero al 2050. L’obiettivo intermedio è quello di una riduzione del 61% rispetto al 2005 entro il 2030.
Tra gli interventi principali previsti dalla direttiva si ricorda l’isolamento termico, la sostituzione dei vecchi infissi, la sostituzione delle vecchie caldaie con pompe di calore e l’installazione di pannelli solari.
La norma è stata criticata soprattutto per il fatto che non contempla nessun finanziamento dedicato, a fronte degli enormi investimenti richiesti. Per facilitarne il rispetto tuttavia se ne sta discutendo nei programmi di spesa dell’Unione e la Commissione ha comunque autorizzato l’uso di parte dei fondi strutturali. Al netto delle criticità, Bruxelles sostiene che la EPBD porterà in futuro enormi vantaggi economici per via del risparmio energetico previsto. Ma sulle città la misura avrà anche importanti effetti ambientali. Con l’efficientamento energetico e l’elettrificazione dei consumi, oltre alla riduzione di gas serra, potrà essere migliorata la qualità dell’aria aree urbane. Attualmente il riscaldamento degli edifici, attraverso la combustione, è infatti una delle maggiori fonti di inquinamento atmosferico. Vale però la pena sottolineare il rischio di aumento del costo delle case e degli affitti nelle zone interessate dagli interventi elencati nella direttiva.
Mobilità sostenibile
Nel Green Deal si cita espressamente la mobilità urbana sostenibile come mezzo “in grado di ridurre il traffico e l’inquinamento, in particolare nelle aree urbane”. L’Ue non legifera direttamente in questo ambito: tuttavia, strumenti come il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo di Coesione possono finanziare, tra le altre cose, infrastrutture per il trasporto pubblico (ad esempio tram e metropolitane), piste ciclabili, reti pedonali e infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici.
A livello di regolamentazione, l’Unione Europea fornisce il “Quadro della mobilità urbana”, un documento che include, tra le altre cose, linee guida specifiche per la redazione dei Piani per la mobilità sostenibile (PUMS), strumenti di pianificazione urbana obbligatori per le città europee sopra i 100.000 abitanti.
La mobilità urbana a basse emissioni ha nel trasporto pubblico e nella mobilità ciclistica due colonne portanti.
L’utilizzo del trasporto pubblico ha subìto un’importante contrazione dopo la pandemia da Covid-19, passando, a livello europeo, dal 19% al 14% della domanda totale di trasporto passeggeri. Secondo i dati di Eurostat nel 2021, il 36% della popolazione urbana nell’Ue si è spostata, con frequenza quotidiana, utilizzando i mezzi pubblici. Nonostante importanti differenze, l’incentivo a questo tipo di mobilità non è ancora abbastanza forte: da un lato la maggior parte degli spostamenti continuano ad essere effettuati con mezzi privati, dall’altro, come ha messo in luce Greenpeace solo 5 su 27 paesi Ue (Malta, Lussemburgo, Germania, Austria, Ungheria) hanno introdotto, ad oggi, biglietti a basso costo utilizzabili per il trasporto pubblico, i cosiddetti “biglietti climatici”.
La mobilità ciclistica urbana invece, come sostiene il rapporto 2022 della Federazione europea del ciclismo (ECF), ha visto nel 2020 l’anno del boom, anche qui in gran parte a causa della pandemia. Città come Parigi, Bruxelles, Barcellona, e la stessa Milano hanno sperimentato consistenti aumenti nell’uso delle bici. Il trend in crescita ha sollecitato investimenti sulla ciclabilità nei 27 paesi europei per più di 2 miliardi nel solo 2022. In Italia la disponibilità media di piste ciclabili è salita a 10,49 metri equivalenti ogni 100 abitanti, registrando un aumento del 46% rispetto al 2015.
Considerando però che la media degli spostamenti in bicicletta nella UE equivale a circa l’8% del totale (dato del 2019), è proprio il caso di dire che la strada per la mobilità attiva urbana è ancora lunga.
(fine prima parte)