Riceviamo e pubblichiamo la lettera che ci ha mandato Nicola Baggio, direttore di OffgridSun, l’azienda italiana specializzata in soluzioni di accesso all’energia dove manca, il quale ha voluto esprimere il suo pensiero in merito alle politiche Ue sui carbon offset.
Di seguito il testo della lettera:
Spett.le Redazione, consentitemi di collegarmi al vostro pezzo del 28.03.2023 nella speranza di portare un po’ di chiarezza al continuo eco che viene dato a notizie trite e ritrite. Notizie, non sentenze o verità scientifiche incontrovertibili.
Penso che tutti i vostri lettori siano concordi nel riconoscere che stiamo vivendo una grave crisi climatica. Crisi che si aggraverà come è scientificamente dimostrato dai report IPCC.
In tale contesto i progetti che generano carbon offset o crediti di carbonio sono uno strumento che abbiamo a disposizione e che trovo suicida non usare. Prima però di affrontare i casi specifici va fatta chiarezza su alcuni concetti di base.
Il primo, fondamentale, è che i crediti di carbonio di cui si parla sono quelli relativi al mercato volontario: eh si, perché non ci sono obblighi di riduzione delle emissioni per la stragrande maggioranza delle aziende, così come per noi privati cittadini non ci sono obblighi di compensare le emissioni del nostro biglietto aereo da Milano a Palermo.
La volontarietà è pertanto la chiave di questo mercato: alcune aziende, volontariamente, acquistano dei crediti per compensare tutte o parte delle loro emissioni. Le aziende non possono fare questo in modo casuale ma devono arrivarci dopo un’analisi della loro carbon footprint globale.
Quante aziende calcolano la loro impronta di carbonio? Pochissime!
Quante compensano la CO2 con l’offsetting? Meno ancora!
Quante lo fanno usando standard internazionali? Un infinitesimo!
Perché allora puntare il dito contro queste aziende, quando il 99.99% del mercato non fa assolutamente nulla? E’ paradossale. Dovremmo preoccuparci semmai di quelli che prima non calcolano e poi non compensano la loro CO2.
Parlare quindi di frodi o truffe, come certi titolisti amano fare, è pura follia. Le aziende che acquistano i crediti di carbonio certificati lo fanno investendo ingenti risorse e se tali crediti sono stati mal calcolati allora le aziende sono parte lesa.
Prima di acquistare i crediti, che costano anche cifre considerevoli, alle aziende conviene mettere in essere tutte quelle attività di riduzione delle emissioni che sono strutturali: installare degli impianti fotovoltaici per ridurre il fabbisogno, ridurre i rifiuti, incentivare la mobilità elettrica, ottimizzare gli imballaggi, chiedere ai propri fornire prodotti dalle filiere del riciclo, ecc…
L’acquisto dei crediti viene infatti ogni anno, in modo oneroso, e non riduce in modo strutturale le emissioni delle aziende.
Il 90% delle comunicazioni di “green”, “carbon neutral”, “netzero” … sono assolutamente false perché le aziende che si fregiano di questi titoli non hanno fatto assolutamente nulla… o magari hanno piantato 10 alberi in un parcheggio. Quasi nessuna usa crediti certificati.
Con ciò spero sia chiaro quanto il desiderio di scoop di certe testate, anche blasonate, porti a colossali abbagli.
Le metodologie di calcolo dei crediti sono certamente migliorabili e questo avviene costantemente ogni 1-2 anni. Attualmente nell’occhio del ciclone ci sono i grandi progetti di forestazione. Personalmente ritengo che sia corretto escludere questa metodologia ma non mi ergo a giudice supremo e certe decisioni vanno prese in modo graduale e ponderato.
L’altro lato della medaglia di molti di questi progetti, realizzati con altre metodologie, è quello di consentire interventi di finanza climatica nei paesi più poveri. Chiederei allora ai vari firmatari della lettera contro l’offsetting di dirmi quali altri strumenti di finanza privata esistono per i paesi poveri? La risposta, lavorando in e con l’Africa da 17 anni, me la do da solo: nessuno.
I crediti di carbonio sono ad oggi l’unico strumento di finanza climatica privata che permette di prendere risorse dal mondo occidentale e trasferirle a sud.
Vi faccio 2 esempi, e mi scuso se cito dei progetti che sto seguendo direttamente e per i quali quindi potete accusarmi di essere in conflitto di interessi.
Il primo è un progetto di accesso all’acqua in Kenya: i crediti di carbonio consentiranno di realizzare un acquedotto per circa 50.000 persone che oggi bevono acqua contaminata. L’acquedotto funzionerà ad energia solare e ci saranno 20 chioschi per la distribuzione dell’acqua. Una parte sostanziosa dei ricavi verrà lascia ad una ONG locale per progetti di sviluppo. I crediti vengono generati perché grazie all’acqua pulita le persone non dovranno più disboscare la foresta per raccogliere la legna che oggi serve a far bollire l’acqua. È una truffa tutto ciò?!
Il secondo è un progetto di stufe migliorate: nel mondo infatti circa 2 miliardi di persone cucinano ogni giorno mettendo una pentola sopra a 3 pietre. Anche in questo caso per farlo bruciano enormi quantità di legna. Con delle piccole stufe, prodotte direttamente nei paesi africani, si può risparmiare fino al 70% della legna riducendo di molto anche i fumi. Mi rendo conto che non è una tecnologia affascinante ma se guardiamo le vecchie cucine economiche che c’erano nelle case dei nostri nonni capiamo che i passi da fare tra 3 pietre e un piano ad induzione sono tanti. Anche qui, dove starebbe la truffa? Pesiamo insieme la legna in meno bruciata e misuriamolo!
Entrambi questi progetti non potrebbero esistere senza crediti di carbonio. Pertanto prima di giudicare sulla base del sentito dire, o perché l’ha pubblicato qualche giornale ipoteticamente “intelligente”, sarebbe bene venire sul terreno a toccare con mano questi progetti.
Amaramente mi chiedo quindi a chi giova attaccare questo meccanismo, senza dubbio migliorabile, ma più unico che raro nel portare risorse ai più poveri: giova a chi ha interesse a mantenere lo status quo dove i combustibili fossili regnano, dove il negazionismo climatico attecchisce. Per farlo costoro si servono di utili idioti.