Un gruppo di organizzazioni ecologiste, movimenti e gruppi ambientalisti, supportati dai Verdi/ALE e da Europa Verde, ha presentato oggi (lunedì 14 febbraio, ndr) al Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un’istanza con cui denuncia l’inadeguatezza del piano industriale della oil company italiana ENI rispetto al quadro di impegni internazionali volti al contrasto dell’emergenza climatica.
Cosa si contesta a ENI
Tra i rilievi sollevati: il fatto che il piano strategico non preveda un sufficiente taglio delle emissioni nei prossimi anni, la mancanza di una valutazione di impatto climatico delle attività d’impresa, l’assenza di informazioni trasparenti e adeguate e la mancata elaborazione di un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi, come invece previsto dalle Linee Guida dell’OCSE. L’iniziativa si fonda sulle Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali, che fissano una serie di principi, ispirati alle norme internazionali, orientate a promuovere nelle imprese condotte responsabili dal punto di vista sociale, ambientale e della tutela dei diritti umani. Tra essi appaiono anche obblighi di trasparenza e di adozione di policy d’azienda che tengano conto delle conoscenze scientifiche attuali.
I promotori Le organizzazioni promotrici sono: Rete Legalità per il clima, A Sud, Forum Ambientalista, Generazioni Future – Cooperativa di mutuo soccorso, Fridays for Future, Extinction Rebellion Milano, Per il clima fuori dal fossile, Emergenzaclimatica.it, Europa Verde, Greens/ALEa al Parlamento Europeo, Diritto Diretto. “Parliamo di greENIwashing perchè il greenwashing sembra diventato per ENI un marchio di fabbrica” – afferma Marica Di Pierri, portavoce di A Sud. “Per quanto si sforzi di raccontarsi come attenta all’ambiente, inclusa la recente l’operazione Plenitude che ha imperversato anche sul palco di Sanremo, ENI resta saldamente il primo emettitore italiano di gas serra ed è circa al 30° posto a livello globale. Riconoscere le responsabilità delle imprese petrolifere è doveroso: sono i principali responsabili dell’emergenza climatica. A ciò va aggiunto che lo Stato italiano possiede oltre il 30% delle azioni di ENI: anzichè permettere all’impresa di condizionare le politiche energetiche nazionali, dovrebbe orientarne il piano strategico verso un’ottica di abbandono delle estrazioni, che invece sono ancora in crescita, anno dopo anno.” – conclude. Tra i promotori anche il movimento Friday for Future: “Sentiamo la necessità di esprimere estrema preoccupazione per le strategie industriali che ENI intende attuare nei prossimi anni. È palese l’impossibilità del rispetto degli Accordi di Parigi con un piano che prevede un incremento del 4% annuo della quantità di oil&gas estratti. La trasparenza nei piani delle compagnie del fossile è uno strumento fondamentale per la giustizia climatica e sociale“. |
La procedura dinanzi al PCN dell’OCSE
Quella avviata, prevista dalle stesse Linee Guida in caso di condotta d’impresa ritenuta contraria ai principi fissati, è una procedura di mediazione. Il PCN – Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE, incardinato presso il MISE, è chiamato a valutare l’istanza e a dichiararne l’ammissibilità. La decisione, che in caso di accettazione decreta l’avvio della procedura, viene deliberata dal PCN dopo circa 30 giorni dalla ricezione dell’istanza. “Ci auguriamo che la circostanza per cui ENI è una impresa controllata dello Stato, il che configura potenziale conflitto di interessi per il Ministero dello Sviluppo Economico chiamato a giudicare l’ammissibilità dell’istanza, non sia fattore d’ostacolo all’imparzialità del PCN”, commentano i promotori dell’iniziativa.
A preparare l’istanza la rete di giuristi Legalità per il clima, tra i primi promotori dell’iniziativa, che nel luglio scorso aveva inviato a ENI una diffida con cui veniva posto l’accento sulla necessità di riconsiderare il piano industriale alla luce delle raccomandazioni formulate dall’IPCC e da numerosi enti scientifici accreditati a livello internazionale circa la necessità di una rapida riduzione dei gas serra rilasciati in atmosfera. Alcuni dei membri del network sono anche i legali della causa climatica contro lo Stato Italiano promossa nell’ambito della campagna Giudizio Universale: “Le azioni legali, ancora una volta – dichiarano – arrivano a tutela dei diritti umani quando la politica fallisce o fa a sua volta greenwashing”.
Le responsabilità climatiche delle imprese
ENI ha dichiarato spontaneamente di volersi impegnare a rispettare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi attraverso la firma del Paris Pledge for Action. Nonostante il dichiarato impegno dell’azienda petrolifera italiana in ambito climatico, il piano industriale prevede un incremento del 4% annuo della quantità di oil&gas estratto nei successivi tre anni, un trend di riduzione delle emissioni non in linea con gli scenari individuati dalla comunità scientifica per rispettare i target di lungo termine previsti dall’Accordo di Parigi e il ricorso a tecniche controverse ed inefficaci, come il CCS (processo di cattura e stoccaggio di CO2) o la produzione di idrogeno blu. Proposte che di fatto risultano essere solo diversivi dall’efficacia non dimostrata, piuttosto che soluzioni concrete al problema delle emissioni.
L’avvio di questo tipo di procedura presso il PCN dell’OCSE mira ad aprire una discussione – ampia, trasparente e collaborativa – tesa a individuare e mettere in atto le strategie e gli strumenti più idonei per abbattere le emissioni climalteranti. L’obiettivo è la piena tutela dei diritti umani minacciati dalle condotte dell’azienda.
Nel caso in cui ENI decidesse di non aderire alla procedura la partita, oltre a tornare nel campo della denuncia pubblica e del campaigning, potrebbe spostarsi anche sul piano giudiziario. Sono sempre di più infatti a livello globale, le azioni legali climatiche intentate contro compagnie dell’energia fossile. La storica vittoria contro Shell in Olanda, condannata nel 2021 a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030, ha finalmente aperto una strada verso il tardivo ma doveroso riconoscimento delle responsabilità climatiche del settore privato.