A poco meno di un mese dalle elezioni europee dell’8-9 giugno, il Wwf pubblica un nuovo studio che fa luce su come l’Italia e gli altri Stati Membri spendono i ricavi ottenuti dalle tasse pagate dai cittadini europei in finanziamenti ad attività che danneggiando l’ambiente.
Secondo lo studio fino al 60% dei finanziamenti della Politica Agricola Comune (PAC), per un totale di 32,1 miliardi di euro all’anno, viene speso dai Paesi dell’UE in attività che incoraggiano pratiche agricole dannose per la biodiversità. Al contempo, i sussidi della PAC non sono equamente distribuiti: oltre agli effetti negativi sulla natura, i sussidi europei vanno a vantaggio di poche grandi aziende agricole e non favoriscono i piccoli agricoltori e le pratiche agro-ecologiche. In avvicinamento alle elezioni europee il WWF ha predisposto un osservatorio Natura chiama Europa per confrontare idee, proposte e programmi.
Emblematico, sottolinea l’associazione, il caso dell’Italia e dei sussidi agli allevamenti intensivi. La redistribuzione dei fondi della PAC in Italia (36,54 miliardi di euro dal 2023 al 2027) favorisce principalmente le grandi aziende agricole a discapito delle piccole: l’80% delle risorse vengono assegnate al 20% delle aziende agricole nazionali, le più grandi e le più inquinanti. Tra queste rientrano i 2/3 delle aziende zootecniche intensive concentrate in sole tre regioni: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. La PAC italiana favorisce così gli allevamenti intensivi, un settore notoriamente ad alto impatto ambientale e sociale, creando diseguaglianze economiche e territoriali rilevanti.
Dante Caserta, Responsabile Affari Legali e Istituzionali del WWF Italia dichiara: “Ogni anno, oltre 30 miliardi di euro della Politica Agricola Comune (PAC) finanziano attività che danneggiano la natura, fallendo nell’obiettivo di sostenere adeguatamente gli agricoltori. In Italia i sussidi europei finiscono per sostenere le grandi imprese agricole e gli allevamenti intensivi, creando danni per l’ambiente e rilevanti disparità economiche, sociali e territoriali tra gli agricoltori. Nell’interesse anche dei piccoli e medi coltivatori che sono i più colpiti dalla crisi del settore e dal cambiamento climatico, l’Italia deve riconvertire i sussidi ambientalmente dannosi distribuiti alle grandi aziende, a partire da quelle degli allevamenti intensivi. È fondamentale che il Governo riorienti il denaro dei contribuenti, passando dal sostegno alle pratiche dannose ad un approccio più equo e incentrato sulla promozione di pratiche agricole sostenibili al fine di affrontare le sfide ambientali attuali e future.”
Peraltro, aggiunge il Wwf, l’allocazione distorta dei fondi UE è in netto contrasto con le esigenze identificate nella Strategia della Unione europea per la biodiversità 2030, che richiede circa 48 miliardi di euro all’anno per finanziare le attività di agricoltori, proprietari terrieri e comunità rurali e costiere per proteggere e ripristinare efficacemente la natura. Attualmente, l’UE e i suoi Stati membri non raggiungono questo obiettivo: mancano oltre 18 miliardi di euro ogni anno.
“Serve ora un quadro giuridico vincolante europeo per garantire un’eliminazione tempestiva e socialmente equa dei sussidi che danneggiano la natura- continua Caserta-. Dopo una chiusura di legislatura segnata dalla sconsiderata deregolamentazione ambientale della PAC, dobbiamo rimettere i piedi per terra e interrompere il circolo vizioso tra sussidi, agricoltura intensiva e danni all’ambiente.”.
A livello europeo, anche i sussidi diretti in altri settori come la pesca (tra 59 e 138 milioni di euro all’anno), le infrastrutture di trasporto (1,7 miliardi di euro – 14,1 miliardi di euro all’anno) e le infrastrutture idriche (1,3 miliardi di euro – 2 miliardi di euro all’anno) contribuiscono in modo significativo alla perdita di biodiversità.
In particolare, un approfondimento sui sussidi alla pesca per il periodo 2014-2020 in 12 principali economie del Mediterraneo ha rivelato che oltre 1,3 miliardi di euro (47% dell’importo totale) sono stati utilizzati per sovvenzionare carburante, lavorazione dei prodotti ittici e costruzione e ristrutturazione di imbarcazioni con il risultato di incrementare l’attività di pesca e le catture complessive. Solo 957 milioni di euro (36%) sono stati utilizzati per migliorare la gestione e i controlli della pesca o per la protezione della biodiversità. Sebbene i pescatori artigianali costituiscano la stragrande maggioranza delle flotte del Mediterraneo e abbiano generalmente un impatto ambientale inferiore rispetto alla pesca industriale, le piccole imbarcazioni (sotto i 12 metri) hanno ricevuto una quota trascurabile del 3% del sostegno pubblico dell’UE, con Paesi come l’Italia e la Croazia che hanno investito anche meno del 2%.