Ecco i cinque punti chiave della transizione ecologica secondo Greenpeace

L’ultima versione del PNRR presentata dal governo Conte, nonostante non contempli più i finanziamenti inizialmente previsti a un progetto inutile o potenzialmente dannoso a livello ambientale come il CCS di Eni a Ravenna (esclusione che ci attendiamo sia confermata anche dal governo Draghi), è ampiamente migliorabile sui versanti delle rinnovabili, della mobilità, dell’economia circolare e dell’agricoltura.

La procedura di approvazione dei piani nazionali in sede europea prevede peraltro che questi passino le necessarie fasi di consultazione pubblica con le parti interessate della società civile e che le riforme e i progetti, in essi contenuti, vengano sottoposte a valutazioni ambientali di cui non c’è traccia nell’attuale PNRR.

Ecco alcuni aspetti di rilievo che devono caratterizzare la transizione ecologica:

  • La transizione energetica basata sulle rinnovabili

Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 fissati dalla Commissione Europea al 2030 – a giudizio di Greenpeace comunque insufficienti – bisognerà avere il 70% circa di fonti rinnovabili sulla rete elettrica, ma l’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) prevede solo il 55%.

Senza un aumento degli investimenti nelle rinnovabili e interventi sulla rete elettrica non sarà possibile raggiungere nemmeno gli obiettivi europei che, pur se insufficienti, sono un passo avanti rispetto al passato. Le rinnovabili sono bloccate da anni, anche per la pressione delle lobby del gas, e c’è urgente bisogno di sbloccare il processo autorizzativo: non è possibile che un impianto eolico venga autorizzato dopo 8 anni.

  • Agricoltura ed economia circolare

Anche sul settore agricolo è urgente intervenire con misure migliorative. In questo settore, infatti, servono investimenti per la transizione verso un modello agroecologico, per ridurre l’uso di pesticidi e prevedere un ulteriore aumento della superficie dedicata all’agricoltura biologica. È necessario intervenire sul sistema degli allevamenti intensivi per diminuirne emissioni e impatti su salute e ambiente, a cominciare da una chiara riduzione del numero di animali allevati. Per l’economia circolare, invece, servono misure urgenti che seguano i principi base indicati dall’Europa come la prevenzione e la riduzione dei rifiuti prodotti, soprattutto quelli derivanti dalla frazione monouso. Senza il ricorso a false soluzioni, come l’incenerimento e la generazione di combustibili dalla plastica. Vanno invece messi subito in atto tutti quei provvedimenti che responsabilizzano i produttori, a partire dalla Plastic tax.  

  • Verso una mobilità a emissioni zero

Il settore dei trasporti è responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra in Italia, oltre a essere tra le principali fonti di inquinamento atmosferico. L’attuale PNRR però perde l’occasione per dare una spinta decisiva verso una mobilità a emissioni zero. Come abbiamo osservato in un commento congiunto con altre associazioni ambientaliste italiane, la mobilità urbana ha un ruolo marginale nel piano, mentre sono proprio le città a produrre la maggior parte delle emissioni. E anche la questione dell’elettrificazione dei trasporti è particolarmente critica: come si può raggiungere l’obiettivo di sei milioni di veicoli elettrici al 2030 (presente nel PNIEC) senza investimenti sulle infrastrutture di ricarica né piani industriali per indirizzare il mercato verso i veicoli elettrici? C’è bisogno di investire davvero su mobilità cittadina e regionale e trasporto elettrico, e non su grandi opere ampiamente presenti nel piano.

  • Stop definitivo alle trivelle

Una prima azione concreta per dimostrare la volontà del governo di andare nella direzione di una vera transizione energetica sarebbe una nuova, definitiva moratoria trivelle, cioè un divieto permanente a ogni nuova attività di prospezione, ricerca e sfruttamento di gas e petrolio sul territorio nazionale, a terra e in mare. Lo stop temporaneo a queste attività – sancito dal primo governo Conte, poi prorogato dall’esecutivo uscente – è infatti scaduto, e da agosto potrebbero ripartire tutti i progetti tenuti in sospeso negli ultimi due anni. Un’ulteriore proroga non sarebbe una scelta sufficientemente ambiziosa. Non c’è bisogno di trivelle, ma di scelte coraggiose.

  • Tutela della biodiversità

Nelle proposte progettuali che abbiamo visionato spicca la totale assenza di interventi a tutela della diversità biologica del nostro Paese. I nostri territori, il nostro mare, devono essere difesi e sono necessari interventi che consentano di ripristinare, come e dove possibile, l’integrità degli ecosistemi. Per quel che concerne la biodiversità terrestre, grande attenzione dev’essere prestata all’opzione dell’uso delle biomasse per uso energetico. Una raccolta di tipo “industriale” non costituisce una soluzione per l’emergenza climatica, ma piuttosto aggrava il problema: c’è invece bisogno di tutelare e irrobustire il patrimonio forestale del Paese. Per quel che riguarda la biodiversità marina, l’Italia ha assunto pubblicamente l’impegno ambizioso di tutelare il 30% dei suoi mari entro il 2030, un progetto internazionale noto come “30×30”. Greenpeace chiede che questo impegno sia mantenuto e rispettato, con gli investimenti necessari a garantirne la realizzazione.

La transizione ecologica è un processo necessario che non potrà prescindere da giustizia economica e sociale e inclusione. Il costo di questa trasformazione non può ricadere sulle spalle della cittadinanza, ma dovrà essere a carico di chi, anteponendo i propri profitti alla salute delle persone e del Pianeta, ci ha condotto alla crisi climatica e ambientale.

Noi siamo sempre aperti al dialogo, ma non rinunceremo a monitorare ogni passo fatto dal nuovo governo: denunceremo ogni scelta che contrasti con gli annunci fatti e con l’urgenza che ci impone l’emergenza climatica e ambientale in corso.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Huffingtonpost.it