Cosa troveremmo sul mercato se venissero messi al bando anche i prodotti in bioplastica nell’ambito della direttiva SUP? Abbiamo rivolto questa domanda ad Antonio Munarini di Ecozema: “L’Europa aveva preso in esame tutte le potenziali alternative disponibili nel mercato. Dove secondo l’Unione esistono prodotti che possono sostituire la plastica, quei prodotti possono essere eliminati dal mercato. Dove invece non ci sono alternative disponibili, vengono avviate azioni diverse (di comunicazione e riduzione). Per i piatti – continua Munarini – è stata individuata la polpa di cellulosa: viene prodotta in Cina e in molti casi non può essere paragonata alla plastica in termini di prestazioni. Per le posate è stato invece individuato il legno. Ma anche in questo caso è interamente prodotto in Cina e non esiste controllo sulla filiera e sulla tracciatura. Per le cannucce è stata individuata la carta (tuttavia ha già dimostrato problemi tecnici e di contatto alimenti)”.
“Questo modo di operare dell’Unione europea lascia veramente senza parole” e rischia di mettere in ginocchio un intero settore industriale senza possibilità di alternative. “Un recepimento come quello portato avanti dall’Italia è fondamentale per chi opera nel mondo delle bioplastiche. E anche della plastica. Perché chi oggi sta realizzando prodotti in plastica, con il recepimento italiano si apre lo spiraglio di andare a farlo in bioplastica. Con l’interpretazione stretta della direttiva chi oggi trasforma plastica, domani non fa qualcos’altro ma smette di produrre” ha spiegato il fondatore di Ecozema. “Il recepimento italiano è quindi fondamentale per tutti coloro che producono i prodotti che vengono messi al bando dalla direttiva SUP.
“Discorso diverso invece per quei prodotti che sono oggetto di politiche di riduzione e di comunicazione”. Ma anche quest’ultimo punto c’è una questione che preoccupa il settore: la marchiatura. “A dicembre 2020 è stato emesso un regolamento europeo successivo alla direttiva che riguarda una serie di prodotti, come ad esempio i bicchieri. E’ stato scritto cosa bisogna riportare. La particolarità è che la comunicazione deve essere fatta sul prodotto e non sull’imballaggio. Oltre a questa complicazione tecnica, si esige che la comunicazione venga fatta nella lingua del Paese in cui viene commercializzato. Una versione per ogni Paese. Una cosa del genere, nella gestione industriale di un prodotto è un disastro. C’è già chi sta abbandonando alcuni mercati, soprattutto in Paesi più piccoli, perché non è sostenibile economicamente stare a queste condizioni. C’è chi dice: bene. Se quell’azienda non vende più prodotti monouso, abbiamo ottenuto un obiettivo. Non è vero. Il mercato non risponde così: quando togli qualcosa, il mercato continuerà per inerzia a trovare prodotti in plastica senza marchiatura”.
“L’errore concettuale della direttiva SUP – conclude Munarini – è che dice di togliere il monouso in favore del riutilizzabile, senza però dare indicazioni su come farlo. In Italia, nella ristorazione collettiva, ad esempio, si è detto di usare il riutilizzabile ma si sono date delle eccezioni dove si può usare il monouso compostabile. Un approccio così è condivisibile. La direttiva SUP invece ha detto semplicemente che non si può più vendere un prodotto da una certa data in poi”.