Con l’avvio del nuovo Consorzio di filiera, Biorepack, riguardante esclusivamente le bioplastiche, il Sistema consortile riconosce a questa categoria di prodotti la differenza di materiale rispetto alla plastica tradizionale. Nelle linee guida UE riguardanti la direttiva SUP questa differenza non viene riconosciuta. Questa situazione, come sottolineato in una nostra recente intervista, può essere frutto di una mancanza di conoscenza a livello europeo di questa peculiarità italiana?
L’Italia è decisamente avanti sul tema della gestione delle bioplastiche. Non dimentichiamo come CONAI rappresenti in Europa il primo sistema di responsabilità condivisa del produttore ad avere al suo interno un Consorzio preposto alla gestione del fine vita degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile. È la dimostrazione di come il nostro paese abbia saputo affrontare la questione con uno sguardo di lungo periodo, probabilmente con più prontezza rispetto ad altri Paesi dell’Unione. Il tema resta delicato, anche perché l’Europa ha messo al bando qualsiasi tipo di plastica non riciclabile, ma allo stesso tempo, come ha ricordato il ministro Cingolani, sta finanziando progetti di sviluppo delle plastiche biodegradabili. Occorre fare chiarezza. Il destino naturale delle plastiche biodegradabili e compostabili è all’interno della filiera dei rifiuti organici. Per questo è importante che la cittadinanza sia ben formata sul fatto che i sacchetti in bioplastica, come quelli per l’ortofrutta, vanno usati per la raccolta differenziata dell’organico, o conferiti con la stessa se sono danneggiati. Abbiamo fatto partire da poco una campagna social proprio su questo tema: “Oltre le apparenze”. E occorre tenere ben presente che anche la plastica biodegradabile e compostabile composta solo in presenza di determinate condizioni di temperatura e umidità: solo i processi industriali possono garantirle. Va combattuta, quindi, anche l’idea che la bioplastica possa dissolversi nell’ambiente in poco tempo. La nascita di Biorepack riafferma anche questo concetto e la necessità di separare correttamente le bioplastiche, come tutti gli altri materiali di imballaggio. La transizione ecologica passa anche da questo tema. La direttiva SUP è una realtà con cui fare i conti. Siamo tutti consapevoli del fatto che non sono i paesi europei i principali responsabili della presenza della plastica negli oceani, ad esempio. Ma il problema va gestito in modo intelligente. La plastica non finisce in mare da sola, ma a causa dell’inciviltà del cittadino che non la separa correttamente o che la abbandona. Occorre per questo continuare sulla strada della sensibilizzazione per migliorare la raccolta differenziata in qualità e in quantità. E’ poi auspicabile che Bruxelles sia disponibile a valutare una revisione delle sue direttive alla luce delle soluzioni tecnologiche che, anno dopo anno, trovano nuove strade per facilitare il riciclo dei polimeri plastici.
C’è anche la questione dei prodotti a base di carta con sottili o sottilissimi rivestimenti in plastica. In base all’esperienza, contenitori per liquidi monomateriali diversi dalla plastica non rischiano di essere meno performanti?
Non necessariamente. Ogni materiale di imballaggio risponde a esigenze diverse. Non esistono materiali più o meno performanti in assoluto, ma solo in relazione a un obiettivo. I contenitori per liquidi in plastica possono essere più utili o preferibili per alcune tipologie di utilizzo, ma ci sono prodotti che – per loro natura o per le tipologie di percorso che devono affrontare durante l’iter dal luogo di produzione al luogo d’utilizzo finale – rendono preferibili imballaggi in altri materiali come il vetro, o l’alluminio…
Infine, c’è chi afferma che per coniugare sostenibilità e performance degli imballaggi non occorre mettere in “competizione” tra loro i materiali. Qual è la vostra opinione?
I materiali hanno caratteristiche intrinseche diverse, oltre che destinazioni d’uso diverse. Caratteristiche che non possono essere alterate: anche per questo non ha senso metterli in competizione. Spesso dimentichiamo come un bene si trovi a dover fare un percorso, dal suo luogo di produzione alle nostre case, molto più lungo di quello che noi conosciamo. I consumatori vedono solo quello dallo scaffale a casa, ma igiene, sicurezza e integrità vanno garantite lungo tutta la filiera produttiva e distributiva. Ancora una volta, ogni materiale può rivelarsi più adatto a contenere prodotti diversi in contesti diversi. Il pack non è eliminabile, ma per far co-esistere esigenze performative e sostenibilità si deve agire attraverso attività di eco-design in chiave di prevenzione, per minimizzare l’impatto sull’ambiente. Bisogna ridurre il consumo delle materie prime di cui sono fatti gli imballaggi per renderli ove possibile più leggeri e sottoli, ma anche incentivare l’uso di materia ottenuta da riciclo e la produzione di pack sempre più riciclabili.