Si è svolto lo scorso 9 ottobre 2024 presso la Camera dei Deputati il convegno “Strategie e scenari di sostenibilità alla luce dei nuovi obblighi di legge: il potenziale ruolo del deposito cauzionale” promosso da Sergio Costa, vicepresidente della Camera e già Ministro dell’ambiente. E’ stata la prima occasione di confronto tra i portatori di interesse che giocherebbero un ruolo in una futura implementazione di un sistema di deposito per imballaggi per bevande monouso nel nostro paese.
I lavori del convegno sono stati aperti dall’intervento del vicepresidente Costa“L’economia circolare è fondamentale per la transizione ecologica e il deposito cauzionale deve essere un pilastro in Italia così come già avviene in Europa. Il tema ormai non è più “se” farlo, ma “come”. Le problematiche tecniche si superano e questa mattinata serve proprio ad avviare e consolidare un confronto su questo. Io adesso auspico una convergenza politica trasversale e condivisa tra tutti i partiti. Pensiamo che nessuno si metterà di traverso a una proposta di legge che possiamo depositare dopo averla fatta circolare, con approccio inclusivo, tra gli stakeholders. È una sfida che lancio a tutto il Parlamento in questa sala che è il tabernacolo della democrazia legislativa”.
Costa ha spiegato che, seppur l’Italia si trovi in Europa in una posizione avanzata sul fronte dell’economia circolare, sia necessario ora un ulteriore salto di qualità, anche per raggiungere gli importanti target europei della direttiva SUP e del nuovo Regolamento Imballaggi. Altre nazioni in Europa – ha ricordato Costa – l’hanno implementato da tempo superando il target del 90% di raccolta dei contenitori per bevande e per l’Italia è importante andare verso un sistema che abbatterebbe diverse tipologie di costi, sia a carico dello Stato come la Plastic tax, che a carico dei Comuni per la gestione dei rifiuti da imballaggio e del relativo littering, ma anche le emissioni di Co2.
Dopo la proiezione della clip del documentario Chiudere il cerchio: alla scoperta del sistema di deposito slovacco (prodotto dalla Campagna “A Buon Rendere”) è intervenuto Enzo Favoino, suo responsabile scientifico che ha esordito dicendo che il deposito cauzionale è oramai la regola a livello europeo, perchè fornisce una risposta efficace ai target europei di intercettazione degli imballaggi per bevande che non sono stati mai stati raggiunti a livello mondiale senza un DRS. “A livello europeo i network di produttori di bevande (Produttori e imbottigliatori di acque minerali, di bevande gassate e la stessa Plastic Europe sono tutti a favore del DRS, per un efficientamento della nostra filiera. La cosa è confermata anche dal Manifesto per la circolarità di UNESDA, l’associazione dei produttori di soft drinks UE, Manifesto che è stato sottoscritto da Assobibe. Chi ha visione industriale è a favore del DRS. I benefici riguardano un aumento dei tassi di raccolta e di riciclo, la disponibilità di materiali per un riciclo closed loop, una riduzione dei gas serra, la prevenzione del littering e la riduzione dei relativi oneri operativi ed economici a carico delle Amministrazioni Locali, e una riduzione della Plastic tax “. Favoino ha proseguito il suo intervento illustrando in dettaglio i benefici di un sistema DRS, e ricordando che attualmente PET e alluminio post consumo vanno ad alimentare altri settori come il tessile e l’automotive, in un processo di riciclo tecnicamente definito downcycling, che costringe a perpetuare prelievo ed importazione di risorse primarie da altre parti del Pianeta.
Chiarimenti sui costi di implementazione del sistema di deposito cauzionale
Negli ultimi due anni sono girate sui media o in convegni alcuni numeri riguardanti i costi di implementazione di un sistema di deposito cauzionale (DRS) in Italia, frutto di studi sul tema finanziati dal Conai con alcune voci di costo sovrastimate. Ad esempio sul fabbisogno di RVM Reverse Vending Machine per la raccolta automatizzata ipotizzato in 100.000 unità (quando in Germania ne sono state installate circa 30.000) dal costo di due-tre miliardi, oppure il costo dell’infrastruttura informatica: ipotizzato tra i 500 milioni e 1 miliardo di euro.
Lo studio della campagna “Sistema di deposito cauzionale: quali vantaggi per l’Italia ed il riciclo”ha stimato in realtà per l’Italia, con approccio analitico, un fabbisogno di RVM intorno alle 25.000 unità – affiancate da punti di restituzione manuali, es. per i piccoli Comuni che hanno solo negozi di vicinato – e una spesa sui 5 milioni di euro o poco più per l’infrastruttura informatica e antifrode, desunta dai costi sostenuti negli altri Paesi UE parametrata sulla realtà nazionale.
Favoino ha inoltre sottolineato nel suo intervento alcuni aspetti caratterizzanti dei sistemi cauzionali, che spesso vengono travisati nella narrativa circolante in Italia da parte degli oppositori del sistema che ipotizzano ricadute negative sullo Stato o sui cittadini: un sistema cauzionale si auto finanzia senza interventi di alcun tipo da parte dello Stato o di altri enti pubblici. Lo studio ha quantificato i costi di gestione annui per un DRS in Italia che verrebbe finanziato dai ricavi della vendita dei materiali ai riciclatori, dai depositi non riscossi e dal contributo EPR pagato al sistema dai produttori di bevande per ogni contenitore immesso sul mercato che vale pochi centesimi, o frazioni di centesimo.
Laura D’Aprile, Capo dipartimento sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (MASE) nel suo intervento ha auspicato un confronto tra studi e l’importanza che vengano considerati negli studi gli impatti ambientali di un DRS nel suo insieme di attività anche logistiche, e di guardare come paesi più simili a noi affrontano il dibattito sul DRS, come ad esempio la Spagna.
Sia D’Aprile che il segretario generale dell’ANCI Veronica Nicotra intervenuta subito dopo, hanno posto il problema dell’attuale infrastrutturazione impiantistica, ancora frammentata nel centro sud, presentata come un ostacolo all’implementazione di un DRS. La dirigente del MASE ha affermato che il gap impiantistico verrebbe però colmato al 2026 con i progetti finanziati dal PNRR. Nicotra ha tuttavia evidenziato che solamente il 30% dei progetti presentati dai Comuni è stato accolto per un finanziamento, e, ricollegandosi al problema della assenza di infrastrutturazione in alcune aree, ha sottolineato che la Tari rappresenta un tributo iniquo ed esorbitante per il cittadino di città come Catania, causato dall’esportazione dei rifiuti verso gli impianti al nord o all’estero.
Infine la proposta lanciata da D’Aprile, condivisa sia da Nicotra che da altri relatori, per “arrivare preparati agli obblighi del 2029” è stata quella di partire “con una sperimentazione da fare in tre aree del Nord, del Centro, e del Sud accompagnate da una valutazione LCA.”
Per quanto riguarda il suggerimento “di guardare a paesi più simili a noi come la Spagna” espresso in apertura dalla stessa D’Aprile va detto che il governo spagnolo aveva già previsto e scritto la legge sul DRS che sarebbe scattato in tempo utile per raggiungere l’obiettivo di raccolta al 2029, qualora il tasso di raccolta per le bottiglie in PET non fosse arrivato al 70% entro il 2023. Un recente studio ha rivelato che il tasso di raccolta si attesta infatti al 36%, ben lontano dal 70% previsto dalla Legge sui Rifiuti e dal 71% dichiarato da Ecoembes (Consorzio per l’EPR spagnolo). E’ pertanto altamente probabile che il DRS parta in Spagna nel 2026.
Simona Fontana, Direttrice generale CONAI, ha ribadito l’importanza per il Conai di un approccio basato sui dati “L’attenzione e l’accuratezza dei dati per noi è un valore. Il sistema Italia ha dimostrato di essere uno tra i più affidabili nel fornire informazioni all’Unione Europea”. Secondo la direttrice del Conai i dati in loro possesso dicono che l’Italia, con un’intercettazione del 70% per le bottiglie in PET, non avrà problemi nel raggiungere obiettivi della Direttiva SUP, essendo il tema già oggetto di tavoli di discussioni da due anni, con attività già messe in campo sui territori per arrivare all’obiettivo. Quello che manca, afferma Fontana, “sono le 60-70 mila ton che finiscono nel rifiuto indifferenziato recuperabili spingendo “sulla corretta raccolta differenziata”.
Giovanni Bellomi, Direttore Generale COREPLA ha esordito dicendo che non è corretto affermare che nessun paese senza un DRS ha raggiunto il 90% di intercettazione per le bottiglie in PET in quanto la Svizzera è arrivata al 92% e che ci sono Paesi UE con “DRS fallimentari”.
In realtà la situazione generale dei DRS europei in termini di risultati di raccolta, che Bellomi tende a ridimensionare, è nel suo complesso tutt’altro che fallimentare, come si può evincere dalle informazioni e aggiornamenti che la Campagna mette a disposizione sul proprio sito. La Svizzera secondo i pubblicati da Swiss Recycling riportano un tasso di raccolta delle bottiglie in PET che va dall’81% del 2022 all’83% del 2023.
Il direttore di COREPLA interviene sulla natura delle bottiglie in PET che sfuggono alla raccolta differenziata tradizionale precisando che: su 18 miliardi di bottiglie immesse al consumo ogni anno, 8 miliardi di bottiglie non vengono intercettate di cui l’86% (degli 8 miliardi) risultano essere proprio i piccoli formati. Su come intercettare questo flusso consumato “on the go” Conai e Corepla hanno dichiarato che concentreranno sforzi e impegni.
In attesa di avere maggiori dettagli sulla sperimentazione proposta dal MASE e le altre attività annunciate dai consorzi, riesce difficile immaginare che in Italia riesca quello che non è riuscito neanche alla Svizzera. Oltretutto, senza un DRS nazionale, non sarebbe possibile contare sull’azione concomitante di raccolta degli imballaggi abbandonati da parte di terzi che avviene nei paesi con tale sistema per riscattare il deposito.
Per Giovanni Albetti, Direttore Generale di CORIPET, la prima domanda da porsi in considerazione degli obiettivi europei di raccolta dovrebbe essere “come possiamo creare un sistema virtuoso che riduca il consumo di materie prime vergini, le emissioni di Co2 e che ci renda meno dipendenti dall’importazione di materie prime dai paesi extra UE “. Albetti valuta positivamente l’obbligo di contenuto riciclato per le bottiglie in PET che richiede però un flusso di materia prima seconda di alta qualità, possibile solo con raccolte selettive di alto livello. Nel sottolineare l’effetto positivo delle raccolte selettive da loro gestite sulla qualità dei materiali recuperati, segnala al contempo l’insufficienza delle stesse a raggiungere i target quantitativi. “Nel 2025 arriveremo se siamo bravi al 74% di intercettazione per le bottiglie, forse al 77 ma al 90% così come siamo non ce la faremo mai” – dichiara Albetti. ” Noi di Coripet Abbiamo installato 1500 eco-compattatori in tutta Italia la più grande sperimentazione nazionale ed è una sconfitta per noi ammettere che gli eco-compattatori non bastano per raggiungere l’obiettivo. C’è bisogno di accelerare verso un vero cambiamento che, come tutti i cambiamenti porta con sé rischi, vantaggi, svantaggi e investimenti da fare” Il direttore di Coripet conclude augurandosi che l’incontro diventi il punto di partenza per un confronto e un lavoro proficuo, con la GDO e gli Istituti di Ricerca, ma dandosi delle scadenza per dandosi delle scadenze per arrivare a decisioni.
Per David Dabiankov Lorini, Direttore ASSOBIBE è importante guardare a quello che viene fatto all’estero, ma andrebbe considerata la situazione nazionale e adottare l’approccio suggerito da Fontana direttore del Conai di guardare a cosa ci manca per raggiungere gli obiettivi per le bottiglie in PET. Posizione poi precisata attraverso un post condiviso su linkedin a distanza di qualche giorno dall’evento. Lorini conclude il suo intervento citando la difficoltà per i produttori di bevande ad accedere al PET post consumo, con investimenti da parte delle imprese che rischiano di essere vanificati in quanto gli imballaggi raccolti non vengono utilizzati per un riciclo closed loop, “bottle to bottle”. “Oggi la situazione in Italia non è favorevolissima, alle nostre aste vengono dall’estero a comprare materia prima seconda e la distolgono dal mercato italiano delle bevande. Necessario facilitare il ritorno in possesso dei materiali per chi ha obblighi di utilizzo di contenuto riciclato.“
L’unica risposta possibile a questa situazione sta nell’implementazione di un DRS, che per ora Assobibe non appoggia, con una clausola contenuta nel suo regolamento simile a quella del DRS slovacco, che garantisca ai produttori di bevande un accesso privilegiato ai materiali raccolti, per farne contenitori identici con contenuto riciclato come spiegato dalla voce dei protagonisti nel documentario prima citato.
Secondo Stefano Stellini di CIAL in Italia, con un basso consumo pro-capite (36 lattine) quando comparato ad altri Paesi UE, e con un tasso di riciclo del 93.8%, “è difficile immaginare sistemi alternativi all’attuale“. Altri dati condivisi dal direttore sono le tonnellate immesse al consumo, circa 30.000, e l’informazione sul fatto che il consumo di bevande in lattina avvenga per un 65/70% nelle case, e per il 30/35% nel circuito Horeca. Situazione che – a suo avviso – renderebbe ” insignificante” il consumo fuori casa, e pertanto “un contributo modesto al littering” dato dalle lattine.
A dire il vero, rispetto a tali affermazioni riceviamo come Campagna numerose testimonianze da parte di realtà aderenti che svolgono attività di cleanup che ci dicono che nei luoghi dove avvengono più frequentemente gli abbandoni, le lattine non mancano, anche se meno numerose delle bottiglie in vetro e in plastica.
In generale il mancato riciclo “can to can” l’unico che previene il consumo di alluminio vergine e gli impatti ambientali correlati, resta un tema importante agli effetti della decarbonizzazione del settore. Inoltre le attività di recupero post consumo delle lattine prima citate che avvengono in Italia, seppur importanti ai fini del riciclo, comportano un dispendio di risorse energetiche ed emissioni di Co2 che sarebbero evitabili con un recupero da raccolta selettiva tipico dei DRS. Infine, i target UE fanno espressamente riferimento alla separazione alla fonte, il che escluderà dal calcolo l’alluminio recuperato dalle scorie degli inceneritori.