Decarbonizzazione, “nel 2023 in Italia investimenti per 127 miliardi, necessario raddoppiare per i target di riduzione di CO2”

Questo è quanto emerge dalla terza edizione di Zero Carbon Policy Agenda (2024) realizzata da Energy&Strategy - School of Management Politecnico di Milano che evidenzia come tutti gli investimenti realizzati nel Paese siano insufficienti, soprattutto nei settori maggiormente responsabili delle emissioni, come trasporti e produzione di calore. Vittorio Chiesa, direttore di E&S: “Bisogna fare di più e meglio, proprio per non rendere vano lo sforzo profuso finora. Il cambio di passo è ancora possibile, soprattutto se si considera il grande potenziale inespresso: l’Italia ha ottenuto con il PNNR oltre 194 miliardi di euro, ma ha destinato alle misure climatiche poco più del minimo previsto dall’Europa e gli interventi stanno andando a rilento”

Emissioni CO2 del digitale Decarbonizzazione investimenti Italia

Nel 2023, l’Italia ha investito oltre 127 miliardi di euro per favorire la decarbonizzazione, pari a un quarto del totale degli investimenti realizzati nel Paese. Un risultato importante, ma che non basta per raggiungere gli obiettivi climatici europei per il 2030.

Lo studio Zero Carbon Policy Agenda 2024, redatto dall’E&S della School of Management del Politecnico di Milano, rivela che la riduzione delle emissioni di CO2 è stata finora inferiore rispetto a quanto necessario. Per raggiungere i target europei, il taglio delle emissioni dovrebbe raddoppiare. I settori che necessitano di maggiori sforzi sono i trasporti, la produzione di energia e calore e i consumi residenziali e commerciali.

Nonostante un trend positivo a lungo termine, grazie al calo dei consumi energetici e alla crescita delle rinnovabili, l’Italia ha un margine di miglioramento rispetto alla media europea. Il PIL italiano è cresciuto meno di quello degli altri Paesi UE, limitando la capacità di investire in transizione ecologica.

Gli investimenti privati in ESG e finanza sostenibile stanno crescendo, ma le aziende quotate mostrano un impegno maggiore rispetto a quelle non quotate. Il Politecnico di Milano sottolinea l’importanza di sfruttare appieno il potenziale del PNRR e dei fondi REPowerEU, che l’Italia ha ottenuto in quantità significative ma non sempre destinati in modo ottimale agli obiettivi climatici.

Vittorio Chiesa, direttore di E&S, afferma che “si tratta di numeri importanti che testimoniano la rilevanza della decarbonizzazione in Italia, ma è necessario fare di più e meglio”. Il cambio di passo è ancora possibile, soprattutto se si considera il grande potenziale inespresso sia del pubblico che del privato.

Le azioni intraprese dai privati stanno dimostrando un impatto significativo grazie all’ESG e alla finanza sostenibile, che stanno trasformando il panorama degli investimenti. Questi approcci integrano criteri ambientali, sociali e di governance nelle decisioni finanziarie, promuovendo uno sviluppo economico responsabile e duraturo. Secondo Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio, “gli indicatori ESG hanno spinto le imprese a decarbonizzare”, anche se la valutazione delle performance è frammentata e priva di una standardizzazione universale, generando una notevole eterogeneità tra i vari provider.

Una significativa disparità emerge tra le aziende quotate, fortemente influenzate dal giudizio del mercato in termini ambientali, e quelle non quotate. Con l’aumento della dimensione aziendale, diminuisce l’attenzione verso le tematiche green. In base all’indicatore Emission Intensity, che mette in relazione le emissioni di CO2 con il business delle aziende, le prime 40 imprese italiane per capitalizzazione di Borsa hanno ridotto le loro emissioni da 0,62 kton CO2/mln di euro di valore aggiunto nel 2018 a 0,39 nel 2022. Tuttavia, tra le principali imprese italiane per fatturato non quotate, il 70% non adotta nemmeno una valutazione ESG, indipendentemente dal settore. La riduzione dell’Emission Intensity per queste aziende è significativamente meno marcata, attestandosi a 0,77 kton CO2/mln di euro, con un CAGR che si ferma a -8%, rispetto al -12% delle aziende quotate.

Sviluppare il potenziale delle imprese di minori dimensioni in materia di decarbonizzazione è essenziale, facilitato dall’evoluzione di un quadro regolatorio europeo specifico. Tuttavia, in Italia persistono diverse criticità. Attualmente, 4.150 aziende sono già coinvolte nei nuovi obblighi imposti dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che richiederà sforzi organizzativi e costi significativi per la sua implementazione. A partire dal 2027, circa 740 grandi aziende nazionali, principalmente nel settore manifatturiero e servizi finanziari e assicurativi, dovranno integrare pratiche di due diligence di sostenibilità nelle loro operazioni, estendendo la loro responsabilità anche alle filiazioni e ai partner commerciali lungo l’intera catena del valore. Si tratta di un cambiamento normativo impegnativo che genera preoccupazione tra le imprese.

È realmente percorribile questa strada in Italia? “Durante l’ultima legislatura dell’Europarlamento, l’Italia non si è distinta per il supporto alle principali proposte di decarbonizzazione, posizionandosi tra i Paesi meno virtuosi, al pari della Repubblica Ceca, e meglio solo di Ungheria e Polonia, quest’ultima riconosciuta come lo Stato meno green in assoluto,” afferma Chiaroni. Un’indagine condotta in collaborazione con ADL Consulting sulle “green keywords” nei programmi elettorali delle forze politiche italiane evidenzia che i temi legati alla decarbonizzazione hanno un peso marginale, oscillando tra lo 0,4% e l’1,5% del totale. Inoltre, la nuova composizione del Parlamento UE non include più la maggioranza che ha garantito l’entrata in vigore dei principali provvedimenti negli ultimi cinque anni, ponendo un’ipoteca sul futuro. La situazione di attesa attuale potrebbe provocare un ulteriore stallo nel processo di decarbonizzazione, a rischio di bloccare gli investimenti necessari.