Far conoscere a territori, cittadini e cittadine i rischi legati alle dispersioni e agli sprechi del gas metano immesso direttamente in atmosfera, un gas fossile con un effetto climalterante fino a 86 volte più potente di quello della CO2, ma anche spingere l’Italia e l’intera Europa ad approvare norme e regolamenti ambiziosi, finalizzati a ridurre, nel tempo, fino ad azzerare tali emissioni: nasce “C’è Puzza di Gas”, la nuova campagna di informazione e sensibilizzazione di Legambiente sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF). Otto le tappe previste in Italia (in Sardegna, Abruzzo, Sicilia, Basilicata, Liguria, Veneto, Campania e Emilia-Romagna) che coinvolgeranno l’intera filiera del gas fossile, dalle centrali elettriche a quelle di compressione, dai gasdotti ai pozzi estrattivi, creando l’occasione per affrontare il tema delle dispersioni dirette di gas fossile partendo dalle istanze locali attraverso presidi, conferenze stampa, flash mob e iniziative. La prima tappa si è svolta l’8 luglio in Sardegna, con il sit-in a Portoscuso (SU) presso quello che potrebbe essere il futuro Terminal GNL di Portovesme (banchina est) per dire di no alla supermetaniera che condannerebbe la Sardegna a perdere l’occasione di un vero sviluppo locale sostenibile fatto di energie pulite con benefici ambientali, industriali e sociali. Infatti, la scelta di partire da questo territorio è emblematica: la Sardegna è il luogo ideale per avviare e accelerare una completa e giusta transizione a fonti rinnovabili. Ma, al contrario, è oggi oggetto di un programma di metanizzazione che di fatto imporrebbe all’Isola l’utilizzo di gas fossile almeno fino al 2050/2060.
“L’obiettivo della nuova campagna — ha commentato Annalisa Colombu, presidente di Legambiente Sardegna — l’unica regione italiana a non avere una infrastruttura ramificata di gas fossile. La nuova campagna non poteva che partire da qui, per continuare a denunciare l’inammissibilità del progetto della supermetaniera nella piccola area portuale di Portovesme: un progetto che tiene sotto scacco il futuro dell’isola, rendendola dipendente dal gas fossile e facendo perdere così ai territori l’occasione di innovazione energetica e crescita locale”.
“La cittadinanza – aggiunge il sindaco di Portoscuso, Ignazio Atzori — si ribella contro il progetto della SNAM RETE GAS che costituisce un attacco violento alla nostra dignità ed al nostro futuro basato sulla sostenibilità. Portoscuso ha già pagato tanto per la industrializzazione degli anni ’70”.
Le otto tappe di “C’è puzza di gas”
Dopo la prima tappa in Sardegna a Portoscuso (SU) della campagna “C’è puzza di gas”, a settembre la campagna approda in Abruzzo a Sulmona (AQ) presso la futura Centrale di compressione; poi a ottobre in Sicilia a Gela (CL) presso il Terminal del Greenstream e in Basilicata a Val d’Agri (PZ) nel Centro Oli COVA; a novembre è la volta della Liguria, a Porto Venere (SP) presso il Terminal GNL di Panigaglia. A dicembre in Veneto, una regione caratterizzata da decine di infrastrutture fossili, a gennaio in Campania presso la Centrale Termoelettrica di Acerra (NA); e infine a febbraio in Emilia-Romagna a Minerbio (BO) presso il Centro di Stoccaggio e contro la futura Centrale di Compressione di approdo della Rete Adriatica del gas.
Il nemico silenzioso del clima
Le dispersioni dirette di metano nell’atmosfera hanno luogo in diversi settori, come quello agroalimentare e quello energetico. Proprio quest’ultimo è responsabile del 19% delle emissioni di metano totali in Europa. Si pensi che lungo l’intera filiera del gas fossile si hanno perdite strutturali e legate alla scarsa manutenzione stimate tra l’1 e il 3% del totale. Emissioni che arrivano dai pozzi di estrazione, raffinerie, gasdotti, centrali di compressione, centri di stoccaggio e impianti di rigassificazione: perdite che rappresentano un enorme spreco di risorse, oltre che una grave minaccia per il clima. Al problema delle perdite di gas fossile dalle infrastrutture si aggiunge poi quello legato alle pratiche di Venting (rilascio diretto di metano in atmosfera) e Flaring (rilascio tramite combustione in torcia), tra le più inquinanti adottate in molti siti industriali. Il nostro Paese, secondo l’indice Imported Flare Gas (IFG) studiato dalla Global Gas Flaring Tracker, si trova infatti in ottava posizione tra Paesi che importano da fornitori ad alta intensità di Flaring.
Le soluzioni
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, in Italia è possibile abbattere del 73% le emissioni dirette di metano nel settore energetico, e il 33% di esse può essere evitato senza costi netti. Cinque gli ambiti su cui Legambiente ritiene importante un intervento non soltanto nazionale, ma anche europeo, vista la discussione aperta proprio su un Regolamento comunitario ad oggi ritenuto poco ambizioso, ma che sicuramente ha il merito di trattare il tema. A partire dal sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica (MRV): ad oggi, infatti, non esistono adeguati strumenti normativi che impongono un monitoraggio costante di quanto avviene nelle diverse infrastrutture e ciò rende complesso identificare e quantificare le fughe, ostacolando un’analisi dettagliata sull’entità reale del problema. Il secondo ambito di intervento è legato al rilevamento e riparazione delle fuoriuscite (LDAR): compagnie e gestori energetici dovrebbero essere obbligati a condurre delle attività di rilevamento e riparazione delle fuoriuscite di metano, intervenendo immediatamente ed in maniera efficace su ogni perdita. Il regolamento europeo invece propone di intervenire solo sulle perdite di una certa grandezza, lasciando che il resto del gas metano venga sprecato. Solo così si aiuterebbe ad evitare il 42% delle emissioni dirette che si verificano oggi in Italia. Segue la necessità di vietare il rilascio e la combustione in torcia, dato che le attuali norme affrontano parzialmente il problema. E ancora monitorare, chiudere e bonificare i pozzi inattivi nel più breve tempo possibile. Infine, avviare programmi di cooperazione internazionali per limitare, fino ad azzerare, le emissioni al di fuori dei confini dell’Unione Europea considerando che la maggior parte delle emissioni dirette arriva proprio fuori dai confini e che importiamo il 90% di gas.