Le capsule e le cialde per il caffè sono ormai un’abitudine quotidiana per milioni di cittadini italiani. Bastano pochi dati per fotografare il fenomeno: ogni 100 grammi di caffè torrefatto venduto in Italia – rivelano i dati Mediobanca relativi al 2022 – oltre 37 sono contenuti nelle capsule monouso e altri 6 nelle cialde. In parole povere: poco meno della metà, una cifra vicina a quella della moka (47,5 grammi).
In termini numerici, ogni anno, il mercato delle capsule, secondo i calcoli della società AMI Consulting, si attesta sugli 80 miliardi di unità vendute nel mondo ed è previsto che superi i 90 miliardi entro i prossimi cinque anni. Circa 50 miliardi di capsule sono consumate in Europa e 2,8 miliardi nel nostro Paese.
Il fenomeno ha ovviamente implicazioni non solo di strategia industriale e commerciale ma anche di tipo ambientale. È infatti essenziale organizzare adeguati sistemi di gestione del fine vita di cialde e capsule, in modo da conferirle correttamente nella raccolta differenziata e ridurne l’impronta ecologica. In tal senso, gli investimenti dei grandi player del settore in favore di una “transizione al compostabile” dei materiali utilizzati per le capsule è più che comprensibile. Ma la strada da fare è ancora lunga: ad oggi, è compostabile solo il 6% delle capsule utilizzate, a fronte del 22% in alluminio e 72% in plastica.
Per far luce sulle dinamiche del comparto e per sottolineare i vantaggi garantiti dall’uso di materiali compostabili per una corretta gestione del fine vita delle capsule, Biorepack, consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile, ha organizzato un incontro pubblico in occasione dell’undicesima edizione di TriestEspresso Expo, la più importante fiera dedicata al mondo del caffè.
“Al di là del modo in cui ci concediamo il piacere del caffè, è fondamentale che gli scarti del prodotto e gli imballaggi utilizzati per contenerli vengano smaltiti nel modo giusto”, dichiara Carmine Pagnozzi, direttore generale di Biorepack. “In caso contrario, milioni di chili di caffè, invece di essere conferiti tra i rifiuti umidi, rischiano di finire nell’indifferenziato e, da lì, in discarica. E ciò impedisce di inviare agli impianti di trattamento grandi quantità di scarti organici da trasformare in prezioso compost, con il quale riportare sostanza organica e fertilità ai nostri terreni agricoli. È quindi importante sostenere gli sforzi in senso circolare delle aziende del comparto”.
Peraltro, le buone pratiche non mancano di certo. A dimostrazione che già oggi l’uso di materiali compostabili per realizzare le capsule (e permettere quindi ai consumatori di conferire tutto fra i rifiuti umidi, evitando errori e perdite di tempo) rappresenta una valida alternativa ai materiali tradizionali.
“Grazie alla nostra filiera industriale oggi possiamo offrire tre tecnologie di trasformazione per capsule compostabili in Mater-Bi come pure soluzioni ad alta barriera per l’imballaggio” – ha spiegato durante l’incontro Alberto Castellanza, Director of Markets and Products Development di Novamont – “e anche capsule che possono raggiungere fino al 100% di contenuto rinnovabile e con carbon footprint verificata in accordo con lo standard internazionale ISO 14067:2018”.
Per rendere concreta la transizione al compostabile, i grandi investimenti industriali sono stati ovviamente fondamentali. “Sin dal 2013 Fi-Plast ha dedicato gran parte delle sue risorse di Ricerca e Sviluppo a trovare soluzioni biocompostabili tecnicamente funzionali per l’applicazione Capsule Caffè. Già due anni dopo, i nostri clienti erano presenti negli scaffali con capsule biocompostabili che ancora oggi sono perfettamente attuali”. La testimonianza è di Gianluigi Mariani, direttore generale di Fi-Plast. “Da sempre abbiamo ritenuto che il passaggio dalle plastiche tradizionali ai nostri prodotti Estabio fosse un itinerario da percorrere insieme, fianco a fianco con i nostri clienti, partendo dalla progettazione fino alla certificazione dei prodotti finiti e anche attraverso l’impegno educativo presso i giovani, al fine di ottenere dai prodotti biocompostabili la massima riduzione possibile dell’impatto ambientale”.
Ma gli investimenti sono indispensabili anche per garantire al consumatore che le nuove soluzioni tecnologiche, oltre ad agevolare lo smaltimento del caffè esausto, non intacchino qualità e aroma del prodotto. “Oggi le capsule compostabili sono analoghe, come prestazioni, a quelle di altri materiali. A livello organolettico, di protezione e di funzionamento con i macchinari, sia professionali sia domestici” sottolinea Mariani.
Una conferma arriva anche da GISE, dinamica start-up bolognese, che pur essendo nata solo 2022 ha da subito posto grande attenzione sul settore Ricerca & Sviluppo e che, proprio a TriestEspresso ha presentato la capsula compostabile per il sistema chiuso GISE. “Su questo tema i consumatori stanno mostrando sempre maggiore interesse: ridurre il nostro impatto sul Pianeta è infatti una sfida collettiva” osserva Andrea Palmieri, Food & Sensory Manager – Master of coffee di GISE. “Le capsule compostabili sono una indubbia risposta a questa richiesta del mercato perché confermano di lavorare molto bene, a livello di caratteristiche meccaniche, di infusione, di resistenza alle temperature. Sono quindi un salto in avanti indubbio a livello di sostenibilità. Soprattutto perché velocizzano le operazioni di smaltimento una volta consumate minimizzando i rischi di un errato conferimento, attribuendo così ai prodotti GISE CAFFE’ un significato e un valore ancora più profondo”.