Nel suo primo anno di attività la Carovana Salvacibo ha macinato chilometri e distribuito centinaia di tonnellate di frutta e verdura per provare a tamponare l’emergenza alimentare nata con la pandemia. Se da un lato il successo del progetto sostenuto dal Comune di Torino e dall’Unione Buddhisti Italiani si deve agli autisti del furgoncino rosso e agli Ecomori, dall’altro la Carovana non esisterebbe senza l’attivismo del CAAT e dei suoi grossisti.
Per questo abbiamo intervistato Gianluca Cornelio Meglio, Direttore generale del Centro Agro Alimentare Torinese, che da aprile 2020 durante il primo lockdown ha aperto le porte del CAAT a progetti di recupero e distribuzione delle eccedenze per sostenere la popolazione. Una intervista per capire meglio la politica della società e il suo futuro, e che vede il CAAT sempre più proiettato verso azioni che fanno della sostenibilità ambientale e sociale un punto di riferimento per lo sviluppo e la crescita di uno degli hub più importanti del nord Italia per la distribuzione di ortofrutta.
Dopo un anno dall’inizio della pandemia il CAAT è al centro di tutto il circuito virtuoso di aiuti alimentari della provincia di Torino. Cosa vi ha spinto ad assumere questo ruolo?
Il CAAT è una infrastruttura che oggi ricopre un ruolo fondamentale all’interno della filiera della commercializzazione e distribuzione di grandi quantitativi di prodotto ortofrutticolo, ogni anno entrano al suo interno quasi 600 mila tonnellate di merce da tutto il mondo. Ma il valore sociale della nostra realtà è la grande sfida che stiamo portando avanti, ovviamente non da soli, in questo momento difficile. Proprio nel corso del 2020, e con il primo lockdown, quella che era la realtà storicamente presente all’interno del CAAT e che svolgeva una attività di recupero di eccedenze alimentare e donazioni per poi favorire la ridistribuzione sul territorio come il Banco Alimentare, ha visto affiancarsi nuove esperienze come quella della Carovana Salvacibo e Solidarietà Alimentare.
Queste realtà oggi hanno permesso di raggiungere, in maniera molto più capillare di prima, le singole famiglie in difficoltà che talvolta nell’ambito di organizzazioni più strutturate avevano concrete difficoltà ad accedere a queste forme di aiuto.
Quanto cibo è uscito dal CAAT per sostenere i cittadini in emergenza?
Il trend è stato in forte crescita. Confrontando i dati del 2019 con quelli dello scorso anno c’è un aumento di 280 mila chilogrammi. Insieme a questi dati mi piace anche raccontare di una esperienza maturata in questo periodo con l’obiettivo di valorizzare ancor di più la risorsa alimentare evitando che diventi un rifiuto. Una parte di questa risorsa è stata destinata all’Istituto Colombatto per essere trasformato tramite le mese e distribuito a chi si trova in un forte disagio sociale ed economico.
Quale è stata la reazione dei grossisti nei confronti dei progetti di aiuto alimentare?
La risposta è stata fantastica, nel senso che è bastato solleticare il lato umano dei grossisti e oggi non c’è neanche la necessita che un rappresentate della Carovana Salvacibo o degli altri progetti vada a chiedere del cibo perché sono i grossisti stessi che aspettano l’arrivo allo stand di questi progetti e in molti casi già preparano o trasferiscono il prodotto nei luoghi di groupage e raccolta per il trasposto all’esterno. L’adesione da parte dei grossisti è stata quasi totale perché a differenza di tante altre iniziative benefiche qui si è potuto misurare concretamente quello che è il beneficio e il valore generato sul territorio. Personalmente, e insieme Simona Riccio, sia per curiosità e anche per portare la vicinanza del CAAT alle famiglie in difficoltà siamo andati a visionare la Scuola dei Mestieri dove l’associazione Urpetu (che raggruppa la comunità peruviana a Torino) distribuisce il cibo che arriva dal CAAT. Questo ci ha dato la possibilità di toccare con mano la catena che permette alla singola famiglia di ricevere gli aiuti.
Il CAAT e i rifiuti, cosa state facendo per migliorarne la gestione?
Per contenere la produzione di rifiuti abbiamo messo in campo una serie di iniziative. Da novembre 2019 abbiamo introdotto una nuova raccolta differenziata che a differenza della precedente sta dando ottimi risultati. Riusciamo a separare l’organico e una serie di rifiuti particolari e tipici di un centro agro alimentare come le reggette e gli angolari, rifiuti che definisco antipatici per quanto riguarda il loro smaltimento. Senza dimenticare gli altri imballaggi che oggi vengono separati in una area dedicata. Dal punto di vista ambientale il CAAT ha fatto dei passi avanti con risultati misurabili e con un sistema di tracciabilità che prevede l’utilizzo di cassonetti con un microchip, così da individuare le anomalie e consente di intervenire con sanzioni nei confronti dei titolari. Questo ha permesso che all’interno della galleria commerciale vengano raggiunte percentuali di corretta differenziazione superiori al 90%.
In questo ultimo anno abbiamo scoperto l’importanza della responsabilità sociale e ambientale delle aziende. Il CAAT da questo punto di vista come si posiziona?
Il tema è molto attuale. Nel mondo privato quelli che sono i bilanci di sostenibilità o sociali sono temi di dominio comune. Mentre all’interno di realtà come la nostra o comunque nel mondo del pubblico quelli che sono i temi della sostenibilità sotto il profilo ambientale, sociale e di governance tendono ad essere mal digeriti, nel senso che vengono visti ancora con sospetto. Il CAAT con il bilancio del 2020, per la prima volta, presenterà il bilancio sociale proprio perché quando oggi parliamo del valore di una azienda non possiamo pensare soltanto a quello che è il rendiconto economico e finanziario.
Per carità deve esserci, perché in un momento come questo una società come il CAAT non può sottrarre risorse a quelle che sono priorità da un punto di vista sociale e territoriale ma deve diventare un soggetto che concorra a creare valore non solo all’interno ma anche all’esterno. Quindi con questo primo bilancio sociale vogliamo comunicare agli stakeholder il valore che si è creato grazie alle azioni che sono state portate avanti dalla società anche sul territorio. Un valore che va declinato dal punto vista ambientale, e mi riferisco anche alla raccolta differenziata che concorre a minori costi per lo smaltimento dei rifiuti ma anche a minori emissioni in atmosfera. Le attività per il revamping e quindi il passaggio da una illuminazione a led che non solo comporterà delle economie ma anche minore impatto in termini di consumo energetico per l’illuminazione degli spazi.
Ci sono altre iniziative in campo sociale, il valore generato dalle attività che sono organizzate all’interno del centro, come la Carovana Salvacibo, sono tutte misurabili, i quantitativi sono reali e raccontano di prodotti che sono arrivati direttamente alle famiglie. Questo è un valore che fino a ieri magari non è stato comunicato, non era noto, oggi diventa noto e misurabile da parte dei nostri stakeholder.
Poi c’è un tema anche di attenzione rispetto al work life balance delle persone che operano all’interno del cento, perché oggi diventa segno distintivo anche il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa. Quindi tutto questo, con altri argomenti, cercheremo di comunicarlo all’esterno e questo primo bilancio sociale vuole rappresentare l’inizio di un percorso che nei prossimi anni vedrà sempre più coinvolti gli stakeholder per creare un percorso virtuoso di condivisione, chiedendo anche a loro cosa si aspettano da un centro agroalimentare in termini di valore creato all’esterno.
Può già anticipare qualche novità futura?
Sicuramente noi stiamo portando avanti anche il tema della sostenibilità dal punto di vista della mobilità. Questo è un tema che oggi vede molti nostri utenti utilizzare dei mezzi altamente inquinanti e il centro su questo vuole assolvere anche una funzione di promozione per un passaggio a una mobilità sostenibile creando delle infrastrutture all’interno che consentano alla nostra utenza di accedere al centro e ricaricare il proprio mezzo elettrico. Stiamo pensando di predisporre un servizio di co-sharing e di delivery, quindi immaginare un servizio che preveda un noleggio rapido per implementare il sistema delle consegne in ambito territoriale e metropolitano. Questo va di pari passo a un ruolo diverso e a una funzione diversa che i nostri operatori nei prossimi anni dovranno avere.
Assistiamo e registriamo il sorgere di nuove piattaforme di e-commerce da parte delle imprese e la società sta lavorando a un market place, quindi un progetto di digitalizzazione del centro agroalimentare che gioco forza in futuro richiederà che determinati servizi comuni saranno organizzati e gestiti dal CAAT.
Per raggiungere questi obiettivi avete bisogno di un supporto a livello istituzionale a più livelli? O meglio, si parla tanto di Recovery Fund e dei denari per sostenere la transizione ecologica del Paese, per voi questo può essere da stimolo anche economico per raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissati?
Teniamo presente che il CAAT è innanzitutto, e per sua natura, una realtà che dialoga costantemente con il Comune di Torino in quanto azionista di riferimento e con tutti i comuni limitrofi perché l’attività che svolge il centro crea delle relazioni che vanno ben oltre l’ambito metropolitano. Prendiamo come esempio gli orari di funzionamento del centro, paradossalmente a questo elemento sono interessati soggetti provenienti dalla Liguria, dalla Francia, dalla Val d’Aosta. Quindi quando parliamo di politiche sulla mobilità è chiaro che dovranno essere coinvolti altri enti come i comuni e la stessa regione proprio perché alcuni equilibri come l’impatto del traffico sulle principali arterie riguardano un territorio che va ben oltre i confini metropolitani.
Esiste una rete di centri agro alimentari che oggi è rappresentata da Italmercati che a livello nazionale porta avanti dei progetti volti ad intercettare dei finanziamenti anche in chiave recovery fund. Una attenzione rispetto a questi anelli di congiunzione tra le produzioni e i luoghi di consumo che di fatto sono dei baluardi anche per la sicurezza alimentare dei clienti finali. Dietro queste attività c’è tanto lavoro fatto dalle persone che già fanno una attività lavorativa pesante, perché ricordiamoci che gran parte di questi centri opera durante la notte per garantire ai prodotti di raggiungere il cliente nel minor tempo possibile con le maggiori condizioni di freschezza e qualità. C’è una filiera fatta di tanti soggetti che spesso viene poco considerata e che andrebbe conosciuta in tutta la sua complessità che ad oggi consente di tutelare anche le produzioni. Perché il lavoro fatto in un cento modo, con il giusto rispetto e la giusta attenzione rispetto al prezzo consente di tutelare le produzioni territoriali. Quando si parla di valorizzazione del Made in Italy è bene anche farlo con una giusta e trasparente comunicazione.
Quindi in futuro rischiamo di vedere un prodotto di un presidio Slow Food commercializzato all’interno del CAAT?
Più che un rischio secondo me è un auspicio. L’attenzione del centro verso quelle che sono le eccellenze del territorio è assolutamente presente. Da parte nostra c’è la massima apertura verso quelle che sono le produzioni locali. Già oggi all’interno del Caat abbiamo oltre 150 produttori che rappresentano un pilastro non solo da tutelare ma da valorizzare.
Facciamo un passo indietro. Torniamo alla responsabilità sociale. È risaputo che dietro alcune produzioni agricole c’è alla base un sistema di sfruttamento dei lavoratori. Il CAAT oggi ha la possibilità e gli strumenti per disincentivare la commercializzazione di determinati prodotti il cui valore si basa sullo sfruttamento?
Ad oggi non c’è uno strumento per fare questo. Generalmente lo sfruttamento dei lavoratori è figlio di logiche che rispondono a campagne promozionali, alla scontistica, a quantitativi da garantire su contratti annuali blindati. Queste logiche esulano i centri agroalimentari ma riguardano situazioni e organizzazioni più complesse, perché noi non entriamo nella commercializzazione del prodotto e quindi non abbiamo rapporti con le singole produzioni. In vent’anni di esperienza all’interno dei mercati, prima a Milano e oggi a Torino, il grossista ha tutto l’interesse a tutelare e valorizzare il produttore perché è la fonte del proprio guadagno. Prima ho parlato di grossisti come selezionatori intendevo proprio questo. Quello che spesso emerge è che tra i grossisti e i produttori si creano dei rapporti decennali e di lungo periodo, rapporti che tengono conto di quelle che sono le difficoltà esistenti in produzioni legate a congiunture temporali e che rispondono a n variabili creando una alleanza tra produttore e grossista. Questa alleanza per certi versi spinge verso una maggiore tutela anche dei lavoratori.
In conclusione. Lei è il Direttore generale del CAAT, mi dica la verità, quanta frutta e verdura le regalano?
Assolutamente evito ogni forma di regalo. Sono un utente del mercato di Porta Palazzo, nonostante lavori al CAAT compro in piazza per un semplice motivo. Io vivo a Porta Palazzo, scendo di casa e ho tutta la varietà possibile.