La plastica biocompostabile ritorna ad essere un dilemma, ma forse un dilemma che resta nelle alte sfere della diplomazia inter-europea, senza conseguenze sulla vita quotidiana. Persino per gli addetti ai lavori è difficile orizzontarsi, figuriamoci per chi non lo è. Di certo il problema è che si è arrivati alla vigilia della entrata in vigore della direttiva SUP, 3 luglio, senza che si sia sciolto il nodo del contrasto tra la esperienza soprattutto italiana della bioplastica (si intende degradabile e compostabile) e la severità del testo della Commissione Europea che la considera al pari della plastica tradizionale.
La direttiva mira ad evitare/impedire l’utilizzo di stoviglie usa e getta. Avendo però escluso dal divieto i bicchieri, si concentra sui piatti, le posate, le cannucce. Si proibisce anche l’uso di pellicole di plastica per irrobustire i piatti di carta. Il monouso nei piatti e nelle posate sarebbe ammissibile (Ue) solo con carta pura o polimeri vegetali puri. In pratica sarebbe impossibile.
Un bel rompicapo. Lodevole l’idea che si usino piatti solo se riutilizzabili, quindi lavabili. Ma difficile da realizzare. L’uso della bioplastica mista a carta sarebbe una mediazione, puntando a compostabillità e/o riciclo. Se è vietato, forse sarà più difficile che si riesca davvero a proibire i piatti monouso. Vi immaginate tra un mese che dall’Italia comincino a sparire davvero tutti i tipi di piatti monouso?
Per motivi di realismo la stessa Commissione Ue non ha osato proibire i bicchieri (mentre in Italia si punta a escludere quelli di plastica tradizionale) e per quanto riguarda i sacchetti ha consentito una gamma di soluzioni diverse, dalla tassazione, alla promozione dei sacchetti bio.
Ora che si sta arrivando al 3 luglio senza armonia tra norme europee e italiane, c’è chi recrimina perchè l’Italia avrebbe puntato troppo sulla bioplastica e chi recrimina perchè non è fatto abbastanza per convincere la Commissione della bontà delle nostro soluzioni. Seguiremo le tappe di questa inedita vicenda.