Quasi cinque giorni interi di corpo a corpo con i rifiuti di un grande evento del cibo e del bere come il Salone del Gusto/Terra Madre mi spingono a scrivere qualche riga di bilancio. Come presidente dell’Associazione Eco dalle Città che ha avuto l’incarico, ancora una volta, da Slow Food, di presidiare – con le “Sentinelle dei Rifiuti” ora più ampiamente ridefinite ” Sentinelle Antispreco”– le isole ecologiche dove il pubblico conferisce i rifiuti. Stoviglie, bicchieri, tovagliolini, avanzi di cibo, cannucce, stecchini, stuzzicadenti, coni di carta, bottiglie di plastica o raramente di vetro: questi i rifiuti che abbiamo contribuito a differenziare, guidando, controllando, talvolta placcando i consumatori di cibo e bevande della manifestazione.
Se si dice che siano passate trecentomila persone, potete immaginare quanta folla ci fosse in certi momenti a gettare rifiuti nei bidoni delle isole ecologiche. Siamo comunque piuttosto soddisfatti della nostra fatica, nella quale sono state impegnate persone anche molto diverse tra loro: ragazzi/e molto giovani e ultracinquantenni, studenti universitari e richiedenti asilo, studenti medi inquadrati nel Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. Tutti (tranne gli ultimi) retribuiti: una piccola boccata d’ossigeno rispetto a disoccupazione e sottoccupazione. E tutti molto divertiti, nel senso che si sono impegnati molto e sono stati anche gratificati da molti, uteti e standisti.
Ma è dei rifiuti che voglio parlare. Queste giornate hanno innanzitutto confermato che nei grandi eventi, ma anche in quelli medi e forse persino in quelli piccoli, il corretto conferimento dei rifiuti va costantemente seguito e monitorato, presidiato, perché altrimenti spontaneamente ci sono troppi errori, perché la gente non sta portando sacchi o cestini di rifiuti da casa al cortile ma sta passando più o meno di fretta. E se anche solo un quarto dei conferimenti sono sbagliati si compromette il tutto, i livelli di impurità sarebbero davvero troppo alti. Per semplificare i controlli delle Sentinelle e per raggiungere risultati migliori, Slow Food aveva preteso da espositori e venditori che non solo i piatti, ma anche le posate e i bicchieri fossero compostabili. Così è stato con pochissime eccezioni fino a venerdì sera. Poi da sabato, con la grand folla un certo numero di venditori, non sappiamo quanti, ha iniziato a utilizzare bicchieri di plastica non compostabile. In alcuni casi anche i cucchiaini. Così non abbiamo potuto praticare l’ automatismo “bicchiere va nell’organico” e abbiamo dovuto controllare ogni oggetto uno ad uno.
La differenza tra plastica compostabile e non compostabile nei bicchieri non è sensibile al tatto. Il che significa che abbiamo dovuto guardare scritte, segnali e numerini di ogni bicchiere: talvolta sono davvero quasi invisibili. Rispetto alla edizione precedente di Terra Madre c’era una complicazione in più e cioè che i bicchieri, compostabili o non compostabili, presentano spesso la scritta PLASTICA, che molti identificano come plastica NON compostabile. Invece è semplicemente un obbligo di etichettatura, ma il bicchiere può essere compostabile. E per non farci mancare niente, c’è anche la scritta “Contiene plastica” su bicchierini di carta che comunque vanno gettati nella carta. Ma la scritta genera dubbi, ovviamente.
A un certo punto della manifestazione, affaticato da tutto questo scrutare i fondi di bicchiere, ho telefonato a Marco Versari, presidente di Biorepack, che per consolarci mi ha detto che l’anno prossimo ci sarà un più evidente marchio del consorzio su bicchieri e stoviglie compostabili.
Tornando al grande evento, la controprova dell’importanza del lavoro delle Sentinelle sta nella constatazione che laddove non c’erano, ovvero vicino a contenitori improvvisati davanti o dietro i banchi degli stand, i rifiuti sono venuti mischiati e quasi sempre sono finiti indifferenziati. Mi chiedo se non si può arrivare alla semplicità di avere solo tre tipi di rifiuti in questi contesti: vetro/lattine, bottiglie di plastica e tutto il resto organico (anche la carta che si usa in contesti di cibo e bevande lo è). Sarebbe possibile?
Un’altra domandona finale riguarda la possibilità di passare al riutilizzabile, cioè tutto riutilizzabile, ma mi rispondo da solo: non riesco a immaginarlo a Slow Food. In un festival musicale forse si può imporre che ci sia solo cibo che si mangia con le mani (ma i tovagliolini?) e che si usi un bicchiere riutilizzabile riempiendolo più volte e sciacquandolo più volte. Ma in un evento così affollato basato sull’assaggio, su assaggiare tante cose, non riesco a immaginare che si possa fare a meno dell’usa e getta. Sono pronto a cambiare idea di fronte a esperienze concrete. Ma intanto va data tutta l’importanza alla sostenibilità di ciò che purtroppo si usa una volta sola. Single use.