Le associazioni ambientaliste hanno bocciato il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) inviato a Bruxelles. WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport & Environment hanno espresso il loro dissenso nei confronti della prima bozza inviata dal Governo italiano all’Europa.
Le cinque associazioni hanno emesso una nota con un giudizio complessivo che sottolinea come il Piano sembri mancare di una visione chiara, sia contraddittorio e, nonostante affermi di voler perseguire la decarbonizzazione, contempli diverse misure che potrebbero rallentarla.
WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport & Environment hanno espresso il loro giudizio sul PNIEC inviato dal MASE a Bruxelles. Secondo le cinque associazioni ambientaliste, il Piano manca di una visione chiara, è contraddittorio e, nonostante affermi di voler perseguire la decarbonizzazione, incorpora diverse misure che potrebbero ostacolarla.
Di seguito il comunicato delle associazioni
Gli obiettivi sulle rinnovabili elettriche si fermano infatti ad un 65% al 2030 quando molte organizzazioni di settore, associazioni ambientaliste ed istituti di ricerca sostengono si possa fare decisamente di più. La sintesi del PNIEC stabilisce che entro il 2030 si possano installare circa 74 GW di nuova capacità complessiva di fotovoltaico ed eolico, ma Elettricità Futura aveva presentato uno studio secondo cui, nello stesso lasso di tempo, si potrebbero installare ben 85 GW. Inoltre, secondo lo studio commissionato da Greenpeace, Legambiente e WWF a ECCO e Artelys se ne potrebbero installare addirittura 99 GW. Insomma, gli obiettivi assunti dal PNIEC non sarebbero adeguati al percorso zero emissioni del sistema elettrico al 2035 come simulato nel citato studio ECCO-Artelys.
Allo stesso tempo il Piano continua ad assegnare un ruolo troppo rilevante al gas naturale (che è un combustibile fossile costituito prevalentemente da metano, un gas con potere climalterante fino a 83 volte superiore a quello della CO2) e alle infrastrutture connesse. Si dà persino ampio risalto ai nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna, decantandone l’importanza strategica quando i dati ci dicono che questi impianti non solo non sono assolutamente serviti a superare la fase critica, non essendo ancora operativi, ma costeranno cari a contribuenti e consumatori. Non si prende in esame la già nota ridondanza di infrastrutture di approvvigionamento (sia gasdotti sia rigassificatori), destinati ad essere sempre più inutili con il progressivo diffondersi delle fonti rinnovabili che faranno crollare massicciamente i consumi di gas (con 85 GW di nuove rinnovabili nel 2030 consumeremo 20 miliardi in meno di m3 di gas!). Ipotizzare poi che occorrano altre Aste di capacity market per sostenere nuovi impianti termoelettrici a gas è assurdo e in controtendenza. Le future aste dovranno piuttosto focalizzarsi solo su sistemi di accumulo integrati con le rinnovabili.
Particolarmente inquietante la benedizione del “metodo Piombino” definito quasi una best practice da estendere a tutto: una semplificazione estrema che ha saltato tutti i passaggi che tutelano ambiente e sicurezza, anche della popolazione, mentre per le fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, le autorizzazioni continuano a impiegare anni.
Le associazioni ambientaliste considerano del tutto ideologico il ruolo strategico attribuito alla CCS (cattura e sequestro del carbonio), una serie di pratiche poco più che sperimentali, potenzialmente rischiose e oltremodo costose che sono solo funzionali solo a mantenere in piedi l’industria dei combustibili fossili. Nessuno ha ancora rendicontato quanto si è speso e cosa abbiano prodotto le due sperimentazioni già effettuate, quella di Brindisi-Cortemaggiore e quella del Sulcis.
WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport & Environment giudicano improprio il ruolo assegnato all’idrogeno (H2). L’idrogeno deve essere solo verde (ossia da fonti rinnovabili) e vista la limitata disponibilità che se ne avrà anche in futuro andrà destinato solo a quei settori e ambiti che non possono essere direttamente elettrificati.
Per quanto riguarda il settore dei trasporti, mancando di compiere scelte chiare si manca anche di orientare in maniera utile le risorse energetiche per i differenti comparti del settore, quindi di dare un indirizzo chiaro al processo di decarbonizzazione.
Appaiono positivi gli impegni (ancorché non supportati da target numerici) per la mobilità dolce, lo spostamento modale verso forme di trasporto più sostenibili, lo sharing e il potenziamento del trasporto pubblico locale. Ugualmente positive appaiono le stime per il contributo dell’elettricità rinnovabile al trasporto su strada e a quello su rotaia. Ma dove la bozza di PNIEC del Governo Meloni deve invece destare preoccupazione è nella previsione del contributo dei biocarburanti, sostanzialmente raddoppiati e impiegati in larga misura nel settore stradale.
Il consumo di carburanti nei motori per i trasporti rimane lo stesso: 40 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2030 come nel 2021. La nuova mobilità elettrica (stradale come quella ferroviaria è prevista solo come aggiuntiva). L’Italia sembra voler puntare solo su un forte incremento del consumo di carburanti di origine biologica, con l’ambizione di raggiungere numeri incompatibili con la disponibilità di feedstock effettivamente sostenibili e mancando di distinguere tra biocarburanti realmente “avanzati” e vettori che spesso sono più climalteranti degli idrocarburi fossili. Le associazioni ricordano che per la produzione di questi carburanti l’Italia è fortemente dipendente dall’import (per quasi il 90%); che su gran parte delle materie prime impiegate permangono forti dubbi di truffe (segnalate anche dalle istituzioni europee); e, infine, che l’utilizzo di questi carburanti non incide sul gravissimo problema dell’inquinamento atmosferico, che in Italia causa circa 60.000 morti premature l’anno.
Un altro aspetto grave e puramente ideologico che emerge non tanto nel Sommario, ma nella versione completa ma apparentemente non definitiva del Piano, è la forte e ingiustificata apertura al nucleare di cosiddetta “nuova generazione”. Quarta generazione, SMR (piccoli reattori modulari) sono cose di cui si discute da tempo, ma nessuna di esse è davvero realizzabile e, soprattutto, nessuna di esse è in grado di risolvere i problemi tecnici che da sempre affliggono il nucleare da fissione.
Le associazioni ambientaliste sottolineano inoltre che la sintesi dell’aggiornamento del PNIEC e il documento integrale che sta per essere inviato a Bruxelles sono stati diffusi solo in modo informale, talvolta su siti a pagamento, senza essere pubblicati sul sito del Ministero o trasmessi al Parlamento come richiederebbe un minimo standard di trasparenza. Questa situazione aumenta le preoccupazioni già espresse dalla società civile, che ha richiesto un processo trasparente e veramente partecipativo, in cui vi sia un momento di confronto con diverse parti interessate (multi-stakeholders).
La fase iniziale della cosiddetta consultazione, denunciano le associazioni, si è svolta senza la presenza di un testo o almeno di linee guida che indicassero le direzioni da seguire, ma si è basata su un questionario generico dal quale non si poteva comprendere il senso delle scelte. È pertanto necessario avviare e seguire al più presto un processo di dialogo pubblico trasparente, per consentire alla società civile di svolgere il proprio ruolo di stimolo e di contributo costruttivo.