L’ultimo blitz in ordine di tempo è avvenuto lunedì scorso: un quintale di buste sequestrate a un grossista cinese. Shopper illegali, né biodegradabili né compostabili, oltre che privi di qualsiasi certificazione di legge, pronti per essere distribuiti nei mercati e negozi di Napoli a prezzi stracciati. Di sequestri simili nell’ultimo anno le Forze dell’Ordine del capoluogo campano ne hanno fatti molti altri: in media sono stati rintracciati 100 chili di buste illegali ogni tre giorni, per un totale di 120 quintali solo da febbraio 2023. E se si torna indietro nel tempo i numeri sono ancora maggiori: “Dal 2017 a oggi abbiamo condotto 76 operazioni che hanno portato al sequestro di circa 8,6 milioni di shopper illegali – spiega Paolo D’Errico, maresciallo del Nucleo Tutela Ambientale della Polizia municipale di Napoli, diretto dal maggiore Massimo Giobbe – pari a circa 170 tonnellate. Inoltre, abbiamo elevato sanzioni per mezzo milione di euro e deferito all’Autorità giudiziaria cinque persone per frode in commercio”.
“Un’attività costante di monitoraggio fondamentale – spiega Biorepack, il consorzio che all’interno del sistema CONAI si occupa di promuovere il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile – perché, nonostante siano vietate da 12 anni (il divieto entrò in vigore nel gennaio 2012), le buste in plastica tradizionale sono ancora molto diffuse. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti aveva calcolato che circa il 40% degli shopper immessi sul mercato non è a norma. Un giro d’affari illegale che ha un valore stimato tra gli 85 e i 100 milioni di euro”.
“Le attività di contrasto sono encomiabili e indispensabili. Alla Polizia municipale di Napoli vanno i nostri ringraziamenti e il nostro sostegno, per più di un motivo” dice Carmine Pagnozzi, Direttore Generale di Biorepack. “C’è ovviamente un problema economico: gli shopper illegali, spesso provenienti dall’Oriente ma anche di manifattura locale, non rispettano i requisiti stabiliti dalle normative e quindi hanno costi di produzione notevolmente inferiori rispetto a quelli a norma. I sacchetti contraffatti fanno una concorrenza assolutamente sleale e causano un grave danno economico agli operatori che agiscono nella legalità, mettendo a repentaglio lo sviluppo di una filiera che rappresenta un’eccellenza made in Italy”.
C’è poi un problema ambientale, tutt’altro che marginale: “Gli shopper illegali – prosegue Pagnozzi – sono realizzati il più delle volte con polimeri non biodegradabili e non compostabili, che potrebbero contenere per di più additivi vietati e potenzialmente tossici. Quando vengono gettati erroneamente insieme ai rifiuti umidi causano difficoltà di gestione e un aumento dei costi di trattamento per gli impianti di compostaggio, in quanto aumentano gli scarti da frazioni non compostabili che devono poi essere smaltiti. In ogni caso, a contatto con gli alimenti, questi shopper illegali potrebbero rilasciare sostanze dannose perché privi di ogni controllo che invece è obbligatorio per gli shopper e per tutti i manufatti in bioplastica compostabile certificati secondo lo standard EN 13432”.
I motivi che hanno portato ai sequestri degli shopper illegali sono molteplici. “Il più delle volte – racconta D’Errico – si tratta di borse per asporto merci e alimenti prive di qualsiasi requisito di legge: certificazioni di biodegradabilità, compostabilità e relative etichettature. Altre volte vengono riportati slogan ambientali falsi e ingannevoli. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti che in realtà sono privi dei requisiti stabiliti dallo standard europeo EN 13432”.
La Polizia municipale di Napoli è una delle più attive in Italia nel contrasto al fenomeno. Ma analoghe azioni vengono svolte in molte altre città. “Il consorzio Biorepack, nelle sue periodiche attività di monitoraggio, segnala alle forze dell’Ordine le situazioni più sospette, in modo da facilitare il loro lavoro” spiega Pagnozzi. Ma anche i cittadini possono fare la loro parte: da un paio d’anni è infatti attiva una piattaforma online, realizzata in collaborazione con Assobioplastiche. “Questo strumento, accessibile dal sito istituzionale del Consorzio (www.biorepack.org), permette all’utente di fornire tutte le informazioni relative alle sospette violazioni. In questo modo, dopo i dovuti accertamenti di laboratorio, Biorepack può presentare un esposto alle autorità competenti”.