A Busan Rete ONU propone la “transizione giusta”

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Pietro Luppi, direttore del Comitato scientifico di Rete ONU (Operatori nazionali usato), che ha partecipato come osservatore in Corea del Sud ai negoziati per il Trattato Internazionale contro la plastica. Luppi era a Busan in veste di esponente europeo dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers, il sindacato mondiale degli operatori più vulnerabili dell’Economia Circolare. "Il nostro lavoro di advocacy verso i governi è avvenuto spalla a spalla con ecologisti, sindacati e movimenti indigeni che chiedono di gestire la transizione nel modo più equo possibile, includendo tutti gli interessati, creando opportunità di lavoro dignitose, senza lasciare nessuno indietro”

di Pietro Luppi

Nel quinto incontro del Comitato Negoziale Intergovernativo incaricato di predisporre il Trattato Internazionale contro l’inquinamento della plastica, tenutosi tra il 24 novembre e il primo dicembre a Busan, in Corea del Sud, a dominare erano i venti di guerra. Guerra commerciale, economica e anche militare. I paesi occidentali chiedevano ai paesi emergenti, che hanno in mano la produzione del petrolio e gran parte dell’industria della plastica, di ridurre la produzione della plastica, ma senza aprirsi a ragionamenti profondi sulla sostenibilità economica e sociale di questa profonda riconversione. Un atteggiamento che è valso loro l’accusa, da parte della maggioranza dei paesi emergenti, di non avere realmente l’ambiente tra i propri obiettivi ma solo strategie per frenare lo sviluppo dei paesi che, industrializzandosi, minacciano l’egemonia economica dell’occidente.

L’unico vero minimo comune denominatore tra le posizioni di tutti i governi era l’Economia Circolare che, pur non risolvendo il problema alla radice, perché non porta in sé gli strumenti per invertire il mostruoso trend di aumento della produzione della plastica, ridurrà perlomeno lo smaltimento dei rifiuti riducendo gli impatti ambientali più gravi. A Bexco, il monumentale centro di congressi di Busan, piazzato in mezzo a una foresta di grattacieli che fa invidia alle più pretenziose città statunitensi, non c’erano solo le delegazioni di 175 governi del mondo, ma anche una gran folla di osservatori. Oltre mille rappresentanti di ONG e società civile, e almeno 250 centinaia di delegati dell’industria petrochimica: la più grande rappresentanza industriale nella storia mondiale dei trattati. 

Tra gli osservatori c’ero anche io, inviato da Rete ONU, l’associazione di categoria italiana degli operatori dell’usato; non accreditato direttamente come Rete ONU ma in quanto esponente europeo dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers, il sindacato mondiale che rappresenta gli operatori più vulnerabili dell’Economia Circolare. Rete ONU, che ha aderito all’alleanza nel 2022, rappresenta 4000 waste pickers, che rappresentano l’unica componente organizzata di un universo di almeno 60.000 persone: una popolazione invisibile che lavora duramente, tutti i giorni, raccogliendo beni riutilizzabili che poi vengono rivenduti nelle strade, nelle fiere e nei mercati delle pulci. Rete ONU rappresenta anche altri 9000 addetti del riutilizzo, in gran prevalenza microimprenditori e lavoratori di cooperative sociali che gestiscono negozi dell’usato e attività di raccolta.

Non si sa esattamente quanti waste pickers esistano nel mondo, ma si stima che siano tra i 20 e i 34 milioni; l’alleanza ne affilia in modo diretto circa 400.000, e rappresenta l’unica componente organizzata del settore. Il modo di lavorare dei waste pickers del global south è diverso: lì a essere raccolti sono soprattutto materiali riciclabili, che poi vengono venduti ad intermediari; una delle loro lotte chiave riguarda l’acquisizione di magazzini e macchinari per avanzare nella catena di valore e migliorare le proprie condizioni economiche.

Invece in Italia, così come nei paesi dell’Europa occidentale e in Nordamerica, l’attività principale è il riutilizzo, e la vendita degli oggetti è diretta. Ad accomunare i waste pickers del global north con quelli di Africa, Asia ed America Latina è la loro vulnerabilità sociale ed economica, e la condizione di informalità.

A Busan il nostro lavoro di advocacy verso i governi è avvenuto spalla a spalla con gli ecologisti, i sindacati e i movimenti indigeni che compongono la Coalizione per la Transizione Giusta. Just Transition, secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro, significa “gestire la transizione nel modo più equo possibile, includendo tutti gli interessati, creando opportunità di lavoro dignitose, senza lasciare nessuno indietro”. Un concetto importante da rivendicare perché la transizione ecologica globale, indispensabile per salvare il pianeta, potrebbe generare disarticolazioni settoriali e disruption le cui prime vittime saranno i soggetti più deboli delle filiere: quelli che non hanno mai visto il proprio ruolo pienamente riconosciuto e che spesso non hanno i mezzi per difendere il loro diritto a lavorare. Soggetti che, se opportunamente coinvolti nei nuovi scenari, potrebbero portare grandi benefici al sistema.

A Busan la delegazione dei waste pickers si è riunita con le delegazioni governative di tutti i blocchi geopolitici, evitando accuratamente di farsi strumentalizzare dalle parti in campo; sono state quindi incontrate le delegazioni di Canada, Federazione Russa, Brasile, Italia, Regno Unito, Arabia Saudita, India, Pakistan, Norvegia, Colombia, Stati Uniti, Uruguay, Sudafrica, Nepal, Bangladesh, Bhutan, Filippine, Honduras, Panama, Turchia e Kenya. Un approccio trasversale che ha prodotto un sostegno pressoché unanime dei governi alla causa dei waste pickers, nonostante la divisione regnasse su quasi tutti i temi. Nell’ultima bozza del Trattato in circolazione non solo c’era un articolo interamente dedicato alla Transizione Giusta ma anche reiterate menzioni dei waste pickers lungo tutto il testo, e specialmente nell’articolo dedicato alla gestione dei rifiuti. I waste pickers chiedono che si vada ancora più in là, fissando vincoli legali per il loro coinvolgimento e riservando finanziamenti che garantiscano e rafforzino il loro percorso di autopromozione sociale. A Busan i governi non sono riusciti a mettersi d’accordo sul testo del Trattato, e le decisioni sono rinviate a un incontro che si terrà a Ginevra la prossima estate. Rete ONU e i waste pickers ci saranno.