La proposta di legge sulla fast fashion in Francia, approvata mercoledì 19 marzo in Commissione del Senato, ha subito un significativo ridimensionamento suscitando le critiche delle associazioni ambientaliste e per i diritti umani. La Coalizione Stop Fast Fashion, che riunisce 14 organizzazioni tra cui Emmaüs, France Nature Environnement, Les Amis de la Terre e Zero Waste, denuncia un vero e proprio indebolimento delle misure iniziali.
Secondo le organizzazioni le modifiche apportate dalla Commissione per lo sviluppo sostenibile del Senato francese hanno eliminato le disposizioni che avrebbero regolamentato i comportamenti delle grandi aziende europee, più volte al centro di scandali per le loro pratiche poco sostenibili. Un tentativo in sostanza di svuotare la legge della sua efficacia.
La ministra del Commercio, Véronique Louwagie, ha giustificato i cambiamenti spiegando che la nuova versione del testo fornisce una definizione più precisa della fast fashion, basata sul numero di articoli in vendita e sulla mancata incentivazione alla riparazione dei capi.
Diverse aziende del settore tessile francese ed europeo avevano espresso preoccupazioni sugli effetti collaterali della normativa, temendo che avrebbe colpito un numero eccessivo di marchi. Secondo loro, il focus dovrebbe restare sulle grandi piattaforme asiatiche come Shein e Temu.
Un altro cambiamento riguarda la pubblicità: la Commissione ha eliminato il divieto totale di pubblicità per la moda fast fashion, sostituendolo con una regolamentazione più blanda. La relatrice del testo, Sylvie Valente Le Hir, ha spiegato che il divieto assoluto sarebbe potuto essere considerato una limitazione alla libertà d’impresa. Tuttavia, una restrizione rimane: gli influencer non potranno promuovere marchi di fast fashion.
Le associazioni chiedono inoltre il ripristino delle sanzioni basate sull’etichettatura ambientale, un sistema sviluppato dall’ADEME per valutare l’impatto ecologico dei prodotti.